Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26099 del 19/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 19/12/2016, (ud. 05/05/2016, dep.19/12/2016),  n. 26099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6359/2013 proposto da:

F.S.L. (OMISSIS), S.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo

studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, che le rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA EUGENIO MARIO ROMANO giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ALLIANZ SPA, in persona del procuratore Dr. C.P.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1756/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito l’Avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI;

udito l’Avvocato ANTONIO MANGANIELLO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.S.L. e S.F., rispettivamente sorella e madre di F.P.F., convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Monza B.G. e ALLIANZ S.p.A., esponendo che il loro congiunto F.P.F., mentre percorreva il (OMISSIS), alla guida del proprio motociclo, la strada provinciale n. 6 nel Comune di Besana Brianza, si trovò la propria direttiva di marcia improvvisamente ostruita dall’autovettura condotta dal proprietario B.G. e assicurata con ALLIANZ, autovettura che si era immessa sulla provinciale da una strada laterale, senza rispettare il segnale di STOP e così provocando la caduta del F. che decedeva per le lesioni riportate. Chiesero pertanto la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni, detratta la somma di Euro 115.100,00 già versata da ALLIANZ, ritenuta insufficiente.

Si costituirono i convenuti contestando la dinamica del sinistro e la quantificazione dei danni, deducendo il paritario concorso di colpa della vittima.

Il Tribunale adito, accertata la pari responsabilità dei conducenti, condannò i convenuti al pagamento dell’ulteriore complessiva somma di Euro 80.000,00, oltre accessori e spese di lite.

Proposto appello dalla F. e dalla S., la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 28 maggio 2012, ha confermato la sentenza impugnata, condannando le appellanti al pagamento delle spese del grado.

Rilevava la Corte che non era stata acquisita la prova che il F. fosse caduto prima del verificarsi dell’impatto tra il motociclo e l’autovettura e che sussisteva la pari responsabilità del F. per la causazione del sinistro, in considerazione della velocità tenuta e dei tempi di reazione al momento della frenata. Ribadiva la Corte che gli elementi probatori acquisiti al processo non consentivano, neppure in via presuntiva, di riconoscere il risarcimento del danno per il venir meno del concorso del figlio al mantenimento dei genitori.

Contro la suddetta decisione F.S.L. e S.F. propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso ALLIANZ S.P.A., che ha depositato memoria. B.G. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano “Ex art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione di norma di legge, in particolare dell’art. 2697 c.c., sulla ripartizione dell’onere della prova del fatto – la connessione causale tra lo scontro dei veicoli e il decesso del Sig. F. – costituente fondamento per il ricorso alla presunzione di corresponsabilità ex art. 2054 c.c., comma 2,; ex art. 360, n. 5; Omessa, contraddittoria o comunque insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia”. Sostengono le ricorrenti che, sulla base degli elementi acquisiti in atti, era stato dimostrato che il F. non era ancora a bordo del motociclo al momento della collisione con l’autovettura; ciò escludeva il nesso causale tra lo scontro dei veicoli e l’evento letale, poichè quest’ultimo si era verificato anteriormente e indipendentemente rispetto alla collisione, sicchè nella specie non era applicabile, come erroneamente ritenuto dalla corte territoriale, la presunzione di pari responsabilità ex art. 2054 c.c., comma 2.

Con il secondo motivo si denuncia “Ex art. 360, n. 5: Omessa, contraddittoria o comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia: in particolare, rilevanza della condotta di guida del Sig. F.”. Deducono le ricorrenti che erroneamente la corte di merito aveva individuato profili di colpa in capo al F., consistiti nella eccessiva velocità tenuta dal motociclista in relazione alla situazione dei luoghi e nel fatto di aver utilizzato il clacson nell’imminenza dell’incidente, dilatando così i tempi di reazione al momento della frenata. Con riferimento a tale ultimo profilo, contestano la convinzione espressa dal giudice di appello, secondo cui il F. avrebbe prima suonato il clacson e poi frenato; riguardo al superamento del limite di velocità e al mancato adeguamento della velocità allo stato dei luoghi, ripropongono i rilievi posti a fondamento dell’appello secondo cui – come si evinceva dalle indagini tecniche e dalla documentazione fotografica – il segnale di limite di velocità era in parte celato dalla vegetazione e non sussistevano ulteriori elementi che connotassero la zona come urbana e pertanto soggetta al limite di 50 Km/h; la velocità era comunque adeguata in relazione alle caratteristiche della strada percorsa; l’asserita violazione del limite di velocità non aveva fornito alcun apporto causale al sinistro.

Con il terzo motivo si denuncia “Ex art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione di norma di legge, in particolare dell’art. 2043 c.c. e, sotto altro profilo, dell’art. 2054 c.c., comma 2, sull’accertamento della responsabilità nella causazione del danno ingiusto. Ex art. 360, n. 5: Omessa, contraddittoria o comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia: in particolare, incidenza e misura delle condotte dei due conducenti”. Nel richiamare i rilievi formulati nel precedente motivo di ricorso con riferimento alla condotta di guida del motociclista, sostengono le ricorrenti che il giudice di appello non aveva valutato la rilevanza causale nel verificarsi del sinistro delle gravi menomazioni da cui era affetto il conducente dell’autovettura (sordomutismo e problemi alla vista), sicchè, in ogni caso, avrebbe dovuto essere congruamente rideterminata la percentuale di responsabilità ascrivibile a ciascuno dei conducenti.

1.1. I tre motivi, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

La corte territoriale (pagg. 8 e 9 della sentenza) ha condiviso le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, il quale, sulla base del verbale della Polizia Stradale, della risposta fornita dalla compagnia assicuratrice alla richiesta risarcitoria stragiudiziale, dei rilievi tecnici del consulente di parte ricorrente, delle dichiarazioni rese dai testi B. e C. ha ritenuto che, nella specie, difettassero riscontri probatori idonei a correlare l’evento letale ad una precedente caduta del F. e rendere, quindi, giuridicamente irrilevante lo scontro tra i veicoli.

La corte di appello, pur evocando la presunzione di pari responsabilità in caso di scontro di veicoli sancita dall’art. 2054 c.c., comma 2, ha poi in concreto accertato (pagg. 8 – 10) nella stessa misura il grado di colpa ascrivibile a ciascuno dei conducenti.

Incontestata la responsabilità del conducente dell’autovettura per non avere rispettato il segnale di STOP, la corte di merito ha rilevato, con riferimento alla condotta di guida del motociclista, che “la velocità di 63,7 Km/h alla quale viaggiava la vittima” non era consona alla situazione dei luoghi posto che “l’andamento curvilineo della strada percorsa (…), la vicinanza della scuola e l’immediata prossimità di un’intersezione erano circostanze che concorrevano ad integrare condizioni pericolose di viabilità e perciò imponevano una velocità particolarmente moderata, anche inferiore al limite generale dei 50 Km/h”. Il giudice di appello ha disatteso la doglianza relativa alla parziale visibilità del cartello stradale limitativo della velocità, in quanto asseritamente coperto da vegetazione, richiamando le argomentazioni al riguardo espresse dal tribunale in merito alla irrilevanza della circostanza dedotta in mancanza di prova che nel tratto di strada precedente fosse consentita una velocità superiore a 50 Km/h e stante la presenza di altre segnalazioni visibili, tra cui quella relativa alla prossimità di un complesso scolastico. Ha ritenuto, altresì, irrilevante il richiamo alla “relazione di C.T.U. ove si ipotizzava l’insufficienza dello spazio a disposizione del motociclista per poter arrestare il mezzo, anche se lo stesso avesse proceduto alla velocità massima consentita di 50 Km/h”, atteso che tale velocità rappresentava comunque “una andatura eccessiva per impegnare un incrocio localizzato all’uscita di una curva, nelle immediate vicinanze di una scuola”.

Quanto all’utilizzo della segnalazione acustica da parte del F. in occasione del sinistro, nella decisione si precisa che tale utilizzo, di per sè non integrante una condotta colposa, aveva “con ogni probabilità provocato una dilatazione dei tempi di reazione, così aggravando, sulla spinta della necessità, le conseguenze del chiosato eccesso di velocità”. Così sintetizzati i passaggi salienti della sentenza impugnata, va rilevato come le censure formulate dalle ricorrenti, anche ove prospettano vizi di violazione di legge, si risolvano, in realtà, in doglianze riferite alla motivazione circa il valore probatorio attribuito agli elementi posti a base della decisione.

In tal modo, le ricorrenti invocano una diversa lettura delle risultanze processuali così come accertate e ricostruite dalla corte di merito, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, sia pur sotto il profilo formale della violazione di legge, come in parte auspicato, nella specie, dalle ricorrenti, consentendo alla Corte, di converso, il solo controllo sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dal giudice del merito, al quale soltanto – giova ripeterlo – spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione.

Nella specie, le ricorrenti, pur denunciando, apparentemente, una pretesa violazione di legge e una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecitano a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, tendendo così a trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione fattuale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello, non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata.

2. Con il quarto motivo si denuncia “Ex art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione di norma di legge, in particolare dell’art. 2729 c.c., nonchè ex art. 360, n. 5: Omessa, contraddittoria o comunque insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia: sul concorso del figlio convivente al mantenimento dei genitori”. Censurano le ricorrenti la sentenza impugnata per avere ritenuto che non fosse stata fornita la prova che il figlio, vittima del sinistro, fornisse un apporto economico ai genitori conviventi, con conseguente insussistenza del chiesto danno patrimoniale conseguente al decesso del congiunto. Rilevano che la corte territoriale aveva omesso di considerare che la documentata, rilevante differenza quantitativa, al momento del decesso del giovane, tra il reddito da questi percepito (Euro 24.000,00 lordi annui) e quello percepito a titolo di pensione complessivamente dai genitori (Euro 14.550,00), comportava la ricorrenza di presunzioni gravi, precise e concordanti in merito all’apporto economico del figlio alla famiglia.

Il motivo è infondato.

Richiamate le considerazioni espresse in merito alla valutazione delle risultanze probatorie riservata al giudice del merito, va rilevato come la circostanza relativa alla differenza quantitativa tra i redditi percepiti dal F. e quelli percepiti dai genitori – non specificamente esaminata dal giudice di appello – non assuma il carattere della decisività nel momento in cui la corte di merito, con congrua motivazione, ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova di una stabile attività lavorativa del F., sul rilievo che il reddito da questi percepito nel solo anno 2005 era stato conseguito in base a contratto a termine, che l’impegno all’assunzione non implicava alcuna certezza anche perchè postulava il superamento del patto di prova, che difettava la prova dell’effettiva contribuzione economica del F. alle necessità della famiglia.

3. In conclusione, il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, le ricorrenti sono tenute al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna le ricorrenti al pagamento in favore di ALLIANZ S.p.A. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 5 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2016

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