Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26096 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 05/12/2011), n.26096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21378-2009 proposto da:

SOCIETA’ CHARITAS di Faliti Domenica & C. Sas (esercente

l’attività

di Servizi di pompe funebri) in persona del socio accomandatario in

proprio e nella qualità di legale rappresentante sig.ra F.

D., nonchè del socio V.A.M. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dagli avvocati TODARO NICOLA, VERDERICO NICOLA

(dello Studio Legale Tributario “Todaro & Verderico

Associati”),

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro-tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 21/2008 della Commissione Tributaria Regionale

di PALERMO – Sezione Staccata di MESSINA del 5.3.08, depositata il

20/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Nicola Verderico che si riporta

agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FEDERICO

SORRENTINO che si riporta alla relazione scritta.

La Corte:

Fatto

OSSERVA

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Il Relatore cons. Mariaida Persico, letti gli atti depositati, osserva:

1….La società Charitas di Faliti Domenica & C. s.a.s. e le due socie F.D. e V.A.M. propongono ricorso per cassazione, fondato su tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, n. 21/27/08, depositata il 20 giugno 2008, con la quale, rigettato l’appello principale proposto dai contribuenti e quello incidentale proposto dall’ufficio, veniva confermata la sentenza di primo grado resa, previa riunione di tutti i distinti ricorsi, sugli avvisi di accertamento per Irpef e S.S.N. a carico di ciascuna delle socio e per Ilor e per rettifica Iva a carico della società, tutti relativi all’anno d’imposta 1996.

L’intimata Agenzia si è costituita controdeducendo.

2. In via preliminare, si deve rilevare l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per non essere stato lo stesso parte del giudizio di appello, instaurato con ricorso della sola Agenzia delle Entrate (nella sua articolazione periferica) dopo il 1 gennaio 2001, con conseguente implicita estromissione dell’Ufficio periferico del Ministero (ex plurimis, Cass. S.U. n. 3116/06; Cass. 24245/04).

3. Il primo articolato motivo del ricorso, accompagnato da un doppio idoneo quesito di diritto, lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 1990, art. 7, comma 1 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 e art. 2697 c.c. per difetto di prova, mancando l’avviso di rettifica del p.v.c. richiamato, sull’effettiva conoscenza da parte della contribuente delle sottostanti risultanze d’indagine e quindi per non adeguata motivazione dell’atto stesso.

3.1 La prima parte della suddetta censura appare inammissibile: essa è infatti totalmente in contrasto con quanto asserito nell’impugnata sentenza nella quale si legge: Si osserva in proposito che la formale consegna da parte della G.D.F. al contribuente di copia del verbale di verifica ha posto quest’ultimo nella condizione di conoscere i singoli rilievi addebitatigli, conseguentemente …. Secondo quanto costantemente affermato da questa Corte il travisamento dei fatti, da parte del giudice di appello non può costituire motivo di ricorso per Cassazione poichè, risolvendosi nell’inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 (Cass., 9/1/2007, Cass. n. 213, n. 420311).

3.1.1 Peraltro si rileva che, se il ricorrente intendesse far riferimento non tanto al verbale di verifica ma agli esiti tutti delle risultanze d’indagine, trova applicazione la giurisprudenza secondo la quale, in tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento (o rettifica) – che ha carattere di provocatici ad opponendum – soddisfa l’obbligo di motivazione, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur; conseguentemente l’atto impositivo deve ritenersi correttamente motivato ove faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione della guardia di finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato (Cassazione civile n. 6232 del 18 aprile 2003). Anche nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatali) dell’atto o del documento che risultino necessario e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. (Cass. n. sent. n. 1906 del 2008; n. 28058 del 2009).

3.2 Con riferimento alla seconda parte della doglianza si può rispondere richiamando il principio già enucleato da questa Corte che ha affermato (Cass. n. 13489 del 2009): in tema di avviso di rettifica da parte dell’amministrazione linanziaria di dichiarazione IVA, (o nel caso di avviso di accertamento) la motivazione degli atti di accertamento per reiationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dallo Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri, di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione, da parte dell’ufficio degli elementi di quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha intese realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento dei contraddittorio.

4. Con il secondo motivo si censura la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e si pone il seguente quesito: Accerti la Corte adita se in presenza di un accertamento tributario a carattere induttivo puro ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d) l’ufficio è tenuto, in ossequio al disposto di cui all’art. 53 Cost., ad un automatico riconoscimento, con metodo parimenti presuntivo e percentualizzato, dei necessari costi di esercizio sostenuti da soggetto accertato in relazione ai ricavi complessivamente posti in contestazione.

4.1 Il motivo appare inammissibile, poichè il quesito si rivela inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che si fonda esclusivamente sulla tesi della impossibilità per la C.T.R. di surrogarsi all’Agenzia delle Entrate determinando presuntivamente l’ammontare dei costi ed oneri e, comunque sulla mancanza di qualsiasi elemento di prova sul punto da parte del contribuente che a tanto era onerato. Il quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., è infatti inconferente – con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso, dovendosi assimilare un tale quesito alla mancanza di quesito – allorchè la risposta, anche se positiva per l’istante, risulta comunque priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidonea a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass., Sez. un., n. 11650 del 2008).

5. Con il terzo motivo si eccepisce la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione sul denunciato profilo di illegittimità e/o infondatezza dell’accertamento in punto di omessa considerazione e computo degli elementi di reddito regolarmente dichiarati per l’annualità accertata.

6.1 La censura appare inammissibile poichè non contiene quella indicazione riassuntiva e sintetica, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, che, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. un., n. 20603 del 2007 e Cass. n. 8897 del 2008), deve corredare il motivo con cui si lamentino vizi di motivazione. L’inammissibilità discende inoltre dal pacifico e condiviso principio, (Cass. SS.UU. n. 5802 dell’11.6.1998) secondo cui il vizio di motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale desumibile dalla sentenza, sia ravvisatale il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, posto che la citata norma conferisce alla Corte di Cassazione solo il potere di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui spetta individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

7. Si ritiene, quindi, sussistano i presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio e la definizione, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., per manifesta inammissibilità della prima parte del primo motivo, del secondo, del terzo motivo e manifesta infondatezza della seconda parte del primo motivo”.

Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che la ricorrente ha depositato una memoria difensiva con la quale, con riferimento al terzo motivo del ricorso, ha evidenziato l’esistenza del necessario momento di sintesi, contenuta nella intestazione del motivo stesso e comunque la mancanza di valutazione da parte del giudice d’appello in ordine al pur decisivo profilo di censura sollevato;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, in particolare, con riferimento al terzo motivo del ricorso relativo al vizio motivazionale, condivide la necessità che il momento di sintesi sia posto chiaramente, non potendo ritenersi tale la mera titolazione del motivo;

che, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese del giudizio possono essere liquidate nei confronti della sola Agenzia delle Entrate, unica convenuta costituita, come in dispositivo in applicazione del principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di giudizio che liquida in Euro 14.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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