Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26095 del 16/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 16/12/2016, (ud. 21/10/2016, dep.16/12/2016),  n. 26095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24499-2015 proposto da:

APOC SALERNO SOOC. COOP. a R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del

Presidente del Consiglio di Amministrazione, elettivamente

domiciliata in ROMA, LUNG.RE DEI MELLINI 24, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO NICOLETTI, che la rappresenta e difende

unitamente e disgiuntamente agli avvocati GUIDO UBERTO TEDESCHI e

MASSIMO BRUNETTI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CIRIO DEL MONTE ITALIA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Commissari Straordinari, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LAZZARO SPALLANZANI 22/A, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO NUZZO, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

INTERCOMUNALE SANT’AMBROGIO S.C.R.L. IN LIQUIDAZIONE (CANCELLATA in

data 07/03/2014), P.M.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3731/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

emessa il 19/05/2015 e depositata il 17/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GENOVESE FRANCESCO

ANTONIO;

udito l’Avvocato Alessandro Nicoletti, per la ricorrente, che si

riporta agli scritti e chiede che la rimessione alla pubblica

udienza;

udito l’Avvocato Andrea Pantellini (delega Avvocato Massimo Nuzzo),

per la controricorrente, che si riporta al controricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c.:

“Con sentenza in data 17 giugno 2015, la Corte d’Appello di Roma, ha accolto l’impugnazione proposta da Cirio Del Monte Italia SpA in AS contro la sentenza del Tribunale di quella stessa città, con la quale era stata respinta la domanda di inefficacia, proposta dalla società in A.S., ai sensi della L.Fall., art. 67, in ordine ai pagamenti di alcune somme di denaro, quale corrispettivo delle forniture di pomodoro fresco, da parte della società Apoc Salerno Scarl ed in suo favore, con la conseguente condanna di quest’ultima al pagamento della somma introitata, oltre accessori e spese processuali. Di conseguenza, la Corte territoriale, ha dichiarato inefficaci quei pagamenti ed ha condannato l’odierna ricorrente al pagamento di quelle somme, oltre accessori e spese del doppio grado. Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso Apoc Salerno Scarl, con atto notificato l’8 ottobre 2015, sulla base di due motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 67, comma 2 e vizi motivazionali.

L’AS ha resistito con controricorso, mentre la Intercomunale Sant’Ambrogio, già chiamata in causa in prime cure e contumace in appello, non ha svolto difese.

Il ricorso appare manifestamente infondato atteso che con le censure motivazionali (sia quelle poste come tali – con il secondo mezzo -, sia quelle che a tale risultato mirano, nonostante il nomen del mezzo, come il primo motivo) cerca di sovvertire il giudizio reso dai giudici di merito, i quali, invece, hanno – sia pure sinteticamente – motivato in ordine alle ragioni, basate su un compendio di indizi (non solo i dati desumibili dal bilancio 2001 della società, poi posta in AS, o le notizie di stampa sulla sua crisi, ma anche l’appartenenza della creditrice alla filiera produttiva ed alla sua “stazza” societaria, capace di permetterle la conoscenza di informazioni riservate e non note agli estranei), elementi tutti certi e convergenti verso l’accertamento della sussistenza della scientia decoctionis, con un giudizio che appare – in questa sede di legittimità – immune da censure.

Del resto, con riferimento alle sentenze (come quella oggetto del presente giudizio) pubblicate oltre il termine di trenta giorni successivo all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 (che ha convertito il D.L. n. 83 del 2012), è stato dettato un diverso tenore della previsione processuale (al di là delle formulazioni recate dal ricorso) sostanzialmente invocata (ossia, l’art. 360 c.p.c., n. 5), con entrambi i mezzi di cassazione, la cui interpretazione è stata così chiarita dalle SU civili (nella Sentenza n. 8053 del 2014): la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Infine, non sono ravvisabili i vizi di violazione di legge ipotizzati, atteso che il governo dei fatti noti, dal cui esame è stato tratto il fatto ignoto della sussistenza della consapevolezza dello stato d’insolvenza, appare rispettoso dei principi logico – giuridici posti a base della disciplina relativa alle presunzioni.

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., e art. 375 c.p.c., n. 5″.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che il Collegio condivide la proposta sostanzialmente reiettiva del ricorso, ma ritiene di doverne modificare la parte terminativa, giungendo alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione in luogo del suo rigetto (per manifesta infondatezza, cosi come proposto dal relatore) non trovando sostanziale riscontro le osservazioni critiche svolte dalla parte ricorrente;

che, infatti, quanto all’esatta individuazione della ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata, costituita dalla deducibilità della sussistenza della scientia decoctionis non solo dalle date dai pagamenti (che la ricorrente assume come anteriori alle notizie giornalistiche sulla crisi d’impresa diffusesi da un certo momento in poi) ma anche dai dati desumibili dal bilancio 2001 della società, poi posta in AS, in ragione dell’appartenenza della creditrice alla filiera produttiva ed alla sua “stazza” societaria, capace di permetterle la conoscenza di informazioni riservate e non note agli estranei, il ricorso e la memoria difensiva non allegano nè sviluppano dati idonei a inficiare, sia in fatto che in diritto, quella seconda ragione della decisione n ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo;

che, sotto quest’ultimo profilo, infatti, resta il dato della natura societaria della cooperativa e della sua appartenenza alla filiera produttiva della trasformazione del prodotto naturale da essa fornito alla società poi in crisi, sicchè la combinazione dei due dati e del connesso valore aggiunto costituisce un apprezzamento di merito che non appare suscettibile di censura motivazionale, con riferimento alle sentenze (come quella oggetto del presente giudizio) pubblicate di trenta giorni successivo all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 (che ha convertito il D.L. n. 83 del 2012), come sopra riportato nella Relazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

che, in punto di fatto, le allegazioni difformi dall’accertamento giudiziale non hanno ingresso in questa sede, alla luce dei principi sopra richiamati;

che, perciò, il ricorso, appare inammissibile in parte qua, in ossequio a principi di diritto sopra richiamati;

che, alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, in favore della parte controricorrente, liquidate come da dispositivo, oltre che il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte;

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questa fase del giudizio, che liquida – in favore della parte controricorrente – in complessivi Euro 10.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della 6-1 sezione civile della Corte di cassazione, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2016

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