Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26087 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 05/12/2011), n.26087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

V.M. (OMISSIS) titolare dell’omonima Azienda

Agricola, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 23,

presso lo studio dell’avvocato IVELLA ENRICO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BENDINELLI PAOLO, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GI&GI SRL in persona dell’amministratore unico legale

rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LARGO TEVERE DEI MELONI 27,

presso lo studio dell’avv. KROGH, rappresentata e difesa dagli

avvocati CINQUETTI DIEGO e RICCARDO SGOBBO, giusta mandato a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

MFG SRL (OMISSIS);

– intimata –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 735/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESC1A del

18.6.2010, depositata il 20/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RUSSO

Rosario Giovanni.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti. “Il relatore, cons. Adelaide Amendola esaminati gli atti, osserva:

1. I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata. Con ricorso depositato il 14 ottobre 2009 GI & Gi s.r.l. e M.KG. s.r.l. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo, sezione specializzata agraria, V.M. e, dedotto che lo stesso, in forza di contratto del 14 ottobre 2004, conduceva in affitto un fondo rustico di proprietà di Gi & GI s.r.l., del cui amministratore egli era figlio; che nel 2008, trasferita parte del cespite a M.F.G. s.r.l., erano stati sottoscritti due nuovi contratti aventi ad oggetto il medesimo predio, e da ritenersi tuttavia nulli, in quanto stipulati con l’intervento di una sola organizzazione sindacale, in violazione del disposto della L. n. 203 del 1982, art. 45; che peraltro l’affittuario non aveva mai provveduto al versamento del canone, chiesero che il contratto venisse dichiarato risolto per grave inadempimento del concessionario, con condanna dello stesso al pagamento dei canoni e alla restituzione dell’immobile e con declaratoria, altresì, di nullità dei contratti in data 1 ottobre 2008. Resistette il convenuto il quale eccepì che l’originario contratto del 2004 era stato novato dai negozi stipulati nel 2008;

che la nullità di tali contratti, riconosciuta dalla stessa controparte, non determinava la reviviscenza di quello originario, ormai estinto, ma la sostituzione di diritto delle clausole derogatrici con la disciplina legale; che conseguentemente la durata del rapporto, invalidamente fissata in quattro anni, doveva ritenersi stabilita in quindici.

2. Con sentenza del 15 gennaio 2010 il giudice adito rigettò la domanda di risoluzione, ma accolse quella di pagamento dei canoni dovuti in forza del contratto del 2004, mai corrisposti.

Proposto gravame principale dal V. e incidentale da Gi & Gi s.r.l. e M.F.G. s.r.l., la Corte d’appello, in data 20 settembre 2010, li ha respinti entrambi.

Ha osservato: i contratti stipulati nel 2008 non avevano novato quello sottoscritto nel 2004. Significativa, in tale senso, era anzitutto la precisazione che compariva nella premessa di entrambi, volta a ribadire che i nuovi patti costituivano continuazione del contratto originario. La volontà di integrare e modificare il già esistente rapporto risultava poi inconfutabilmente dalla sua perdurante e ribadita natura di affittanza; dalla durata di questa, fissata in modo da lasciare inalterata la scadenza originariamente stabilita; dalla identità del fondo che ne era oggetto.

Ha poi aggiunto che i nuovi contratti dovevano ritenersi affetti da nullità solo in ordine alle clausole illegittimamente convenute senza l’obbligatoria assistenza delle organizzazioni sindacali, non già relativamente a quelle più favorevoli al conduttore, contraente debole del rapporto, come le nuove pattuizioni in ordine al pagamento del canone. Peraltro, la circostanza che, pure a fronte della gravissima inadempienza dell’affittuario, le concedenti non avessero reagito, ma avessero anzi stipulato, ad integrazione del contratto del 2004, i nuovi contratti del 2008, dimostrava la loro volontà di non avvalersi della risoluzione, la quale non poteva pertanto essere invocata ora per allora.

3. V.M. ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi.

Gi & Gi s.r.l. e M.F.G. s.r.l. hanno resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a un solo mezzo.

4. I ricorsi possono essere trattati in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi, previa riunione, entrambi rigettati.

Queste le ragioni.

5 Nei due motivi il ricorrente principale V.M. lamenta vizi motivazionali con riferimento al negato carattere novativo dei contratti stipulati nel 2008, la cui nullità, estinto l’originario contratto del 2004, non poteva che determinare la sostituzione della clausole derogatrici con la disciplina legale.

6.1 Le censure sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate. L’interpretazione del contratto e, in genere, degli atti di autonomia privata, costituisce attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione. Peraltro la censura con la quale si sostenga il malgoverno delle regole interpretative deve contenere non solo l’astratto riferimento agli articoli del codice che le sanciscono, ma altresì la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo in cui il giudice se ne è discostato e, quindi, delle distorsioni che in concreto ha prodotto la denunciata violazione. A ciò aggiungasi che, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, è necessaria la trascrizione del testo integrale dell’atto o della parte di atto in contestazione, al fine di porre il giudice di legittimità in condizione di verificare la rilevanza e la fondatezza delle critiche così formulate (confr. Cass. civ. 3 febbraio 2009, n. 2602; Cass. civ. 6 febbraio 2007, n. 2560; Cass. civ., 22 febbraio 2007, n. 4178).

6.2 Nella fattispecie l’impugnante si è lamentato del mancato riconoscimento del carattere novativo dei contratti stipulati nel 2008 solo sotto il profilo dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, non avendo dedotto alcun vizio di violazione di legge. La verifica del buon fondamento delle sue ragioni esigeva tuttavia l’adempimento del duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – sia di versarli in atti, sia di indicarne il contenuto. Il primo onere, riguardante il ed. contenente, andava adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte essi fossero rinvenibili; il secondo doveva essere assolto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto di tutti i contratti in contestazione (Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303), e non solo di quello del 2004.

6.3 Sotto altro concorrente profilo, va poi osservato che la novazione oggettiva del rapporto obbligatorio – la quale postula il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, ai sensi dell’art. 1230 cod. civ., e non è ricollegabile alle mere modificazioni accessorie di cui all’art. 1231 cod. civ. – deve essere connotata sia dall’aliquid novi, che dall’animus novandi (inteso come manifestazione inequivoca dell’intento novativo) e dalla causa novandi (intesa come interesse comune delle parti all’effetto novativo), con l’ulteriore e decisivo corollario che l’accertamento che su questi tre elementi (volontà, causa ed oggetto del negozio) compia il giudice di merito è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato (confr. Cass. civ. 9 marzo 2010, n. 5665;

Cass. civ. 6 luglio 2010, n. 15980).

6.4 Nella fattispecie, per quanto innanzi riportato, il giudice di merito ha escluso, in termini che non possono tacciarsi di implausibilità e di illogicità, il carattere novativo dei contratti sottoscritti nel 2008. A fronte di un apparato motivazionale esente da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento, le censure appaiono chiaramente volte a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa in sede di legittimità.

7 Quanto poi al ricorso incidentale, con l’unico motivo Gi & Gi s.r.l. e M.F.G. s.r.l. denunciano violazione dell’art. 1418 cod. civ. e della L. n. 203 del 1982, art. 45. Sostengono che la domanda di risoluzione del rapporto per morosità del conduttore sarebbe stata erroneamente rigettata dal giudice di merito, sul presupposto che il comportamento tenuto dalla società proprietaria nel 2008 costituisse rinuncia implicita ad avvalersi del rimedio risolutorio. Non avrebbe il decidente considerato che la nullità dei contratti del 2008 – invocabile nella fattispecie anche dal proprietario, che aveva rinunciato al maggior canone previsto nel contratto del 2004, in assenza di un suo rappresentante sindacale – impediva che dagli stessi potessero comunque derivare conseguenze di carattere sostanziale.

8 Anche tali critiche non hanno pregio.

E’ sufficiente al riguardo osservare che esse sono eccentriche rispetto alle argomentate ragioni della decisione. La domanda di risoluzione è stata per vero rigettata dal giudice di merito in dipendenza del fatto della stipulazione dei contratti del 2008, fatto plausibilmente assunto a elemento rivelatore della volontà delle concedenti di non far valere l’inadempienza del concessionario; fatto che resta incontroverso, indipendentemente dalla validità o meno della riduzione convenzionale del canone di affitto. Ne deriva che, a prescindere dalla non condivisibilità della tesi dei concedenti, alla luce di una lettura sistematica della L. 11 febbraio 1971, n. 11, art. 23, comma 3, come modificato dalla L. 3 marzo 1982, n. 203, art. 45 chiaramente volto a presidiare con la sanzione della nullità la sola posizione dell’affittuario, non ha senso disquisire ora della dedotta nullità della relativa clausola contrattuale, non essendo stata azionata alcuna domanda in cui l’ammontare del canone rinegoziato avesse un qualche rilievo. In tale contesto entrambi i ricorsi appaiono destinati al rigetto”.

Il collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, che non sono in alcun modo infirmate dalle deduzioni svolte nella memoria di parte ricorrente. In definitiva entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

L’esito complessivo del giudizio consiglia di compensare integralmente le spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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