Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26085 del 27/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/09/2021, (ud. 15/04/2021, dep. 27/09/2021), n.26085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31854-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

L.F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

PALUMBO, 3, presso lo studio dell’avvocato KATIA NOBILETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ATTILIO SCARCELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4416/16/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA SICILIA, depositata il 15/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza n. 4416/16/2019, depositata il 15 luglio 2019, con la quale la Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Messina, ha accolto l’appello del contribuente L.F.F., esercente la professione di dottore commercialista, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Messina, che aveva rigettato il ricorso di quest’ultimo contro il silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione sulla sua istanza di rimborso dell’Irap pagata relativamente agli anni d’imposta dal 2000 al 2004, a detta del contribuente non dovuta per carenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.

Il contribuente si è costituito con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Il contribuente ha prodotto memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo la ricorrente Agenzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, e dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice a quo ritenuto l’insussistenza dell’autonoma organizzazione dell’attività esercitata dal contribuente, nonostante quest’ultimo, negli anni d’imposta interessati, disponesse di uno studio, dove esercitava la propria attività professionale; utilizzasse collaboratori, versando loro compensi che non sarebbero irrilevanti; ed impiegasse beni strumentali di valore rilevante.

1.1. Giova premettere la sintetica ricostruzione degli elementi costitutivi del presupposto d’imposta dell’Irap, come dettati dal legislatore ed interpretati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità.

Il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, stabilisce che il presupposto dell’I.r.a.p., già definita dall’art. 1 come imposta a carattere reale, è “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.”. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ribadito che l’Irap non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, ha rilevato che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l’autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito. Successivamente, Cass., Sez. U., 10/05/2016, n. 9451 (in continuità con Cass., Sez. U., 12/5/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i requisiti dell’impiego del lavoro altrui) ha chiarito i parametri alla cui stregua la questione di fatto deve essere valutata: “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

L’onere di fornire la prova dell’insussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, come sopra inteso, grava sul contribuente che abbia presentato domanda di rimborso dell’Irap già versata (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25311 del 28/11/2014, ex plurimis).

1.1. Tanto premesso, va ricordato che, in tema di giudizio di cassazione, la causa, dovendo essere rinviata alla pubblica udienza allorché “non ricorrono le ipotesi previste all’art. 375”, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), ben può essere definita con rito camerale anche nel caso in cui ricorra una ipotesi (tra quelle indicate dal citato art. 375 c.p.c., n. 5), diversa da quella opinata dal relatore nella relazione (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 8999 del 16/04/2009; Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7605 del 23/03/2017).

Nel caso di specie, ritiene il Collegio che il motivo sia inammissibile sotto plurimi profili, ciascuno di per sé sufficiente alla relativa declaratoria.

Invero il mezzo risulta ambiguo nella sua formulazione: da un lato esso sembra dolersi dell’errata applicazione, da parte della CTR, dei principi in materia di presupposto dell’imposizione ai fini dell’Irap e di riparto dell’onere della prova, tra contribuente e amministrazione, in merito all’accertamento della sussistenza dell’elemento dell’autonoma organizzazione, nei giudizi di impugnazione del silenzio rifiuto serbato dall’amministrazione sull’istanza di rimborso avanzata dal professionista; dall’altro, esso pare contemporaneamente lamentare un’errata valutazione degli elementi di prova acquisiti in giudizio, poiché, secondo la prospettazione dell’Ufficio, da quanto emerso nel giudizio di merito avrebbe dovuto desumersi piuttosto la sussistenza dell’elemento dell’autonoma organizzazione.

Nella sostanza, quindi, il motivo è inammissibile per la contemporanea prospettazione di diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, atteso che la lettura dell’intero corpo del relativo mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che produce l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793). Pertanto, i distinti profili di diritto e di fatto risultano, nel contenuto del motivo, censure ontologicamente non distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, se non tramite un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.

E’ quindi inammissibile il motivo, perché solleva un coacervo di censure, senza il rispetto del canone della specificità del mezzo, con la conseguente difficoltà di scindere, nella parte argomentativa dello stesso, le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio e, dunque, di effettuare puntualmente l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (cfr. Cass. 21/02/2020, n. 4616, in motivazione).

Il motivo è inammissibile altresì nella parte in cui, sotto il profilo della violazione dell’art. 2697 c.c., prospetta in realtà una diversa valutazione in fatto delle risultanze istruttorie, preclusa in questa sede di legittimità.

Infatti, al riguardo, va evidenziato che, secondo il consolidato principio giurisprudenziale reso da questa Corte, “in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (Cass. 23/10/2018, n. 26769), mentre “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito”. (Cass. civ. sez. VI, 04/04/2017, n. 8758).

Va poi comunque evidenziato che la predetta censura relativa al riparto dell’onere della prova, nei limiti nei quali potrebbe essere ammessa in questa sede, sarebbe comunque infondata. Infatti la CTR non ha posto a carico dell’Ufficio l’onere di dimostrare la sussistenza dell’autonoma organizzazione, bensì ha affermato che risulta “provato” che il contribuente “ha svolto la sua attività nel proprio studio, collaborato solo occasionalmente e in assenza di beni strumentali eccedenti quelli minimi”.

Così argomentando, il Giudice di merito ha dato corretta applicazione ai principi in materia di riparto dell’onere della prova in subiecta materia, secondo i quali, nel giudizio relativo all’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso Irap, è il contribuente a dover provare l’insussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione (Cass. 28/07/2009, n. 17533; Cass. 28/11/2014, n. 25311, cit., ex plurimis).

Anche la censura relativa all’errata valutazione, da parte del giudice di merito, degli elementi istruttori acquisiti al processo, ferma restando la sua inammissibilità, sarebbe comunque infondata.

Quanto alla mancata valutazione, ai fini della configurazione del presupposto dell’autonoma organizzazione, della “disponibilità di uno studio” presso il quale opera abitualmente il contribuente, questa Corte ha già avuto occasione di escludere l’autonoma rilevanza di tale dato, trattandosi di bene strumentale usualmente necessario all’esercizio della professione (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 16072 del 28/06/2017), finanche quando il medesimo professionista operi presso due o più strutture materiali, se queste ultime siano semplicemente strumentali ad un migliore e più comodo esercizio dell’attività professionale (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26651 del 22/12/2016).

Quanto poi ai rilievi inerenti all’elevato ammontare dei compensi corrisposti a terzi afferenti l’esercizio della professione, dei costi e delle spese per l’acquisto di beni strumentali, anch’essi sarebbero infondati, ferma restando la predetta inammissibilità.

Infatti questa Corte ha già in passato affermato i principi secondo cui in tema di Irap “l’elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integrano di per sé il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione” (Cass. 10/04/2018, n. 8728) e “l’entità elevata dei compensi corrisposti dal professionista a terzi non rappresenta un elemento sufficiente per la debenza dell’imposta da parte del professionista”, poiché “il valore dei costi… non è di per sé indice della sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, anche nel rapporto percentuale con i ricavi” (Cass. 07/09/2018, n. 21762).

Infine, quanto alla censura, pure inserita nel mezzo, secondo cui la sentenza, favorevole al contribuente e passata in giudicato, relativa al rimborso dell’Irap per l’anno 2005, non può fare stato nel presente giudizio, che riguarda anni d’imposta diversi, essa è ulteriormente inammissibile.

Infatti nella sentenza della CTR impugnata in questa sede, non si rinviene alcun riferimento ad una eventuale efficacia di giudicato nel presente giudizio di una sentenza resa al riguardo di anni d’imposta diversi. Conseguentemente, deve trovare applicazione il consolidato principio di diritto secondo cui “La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possano rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4″ (Cass. 24/02/2004, n. 3612).

2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2021

 

 

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