Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2608 del 03/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 03/02/2011), n.2608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11456-2008 proposto da:

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. (nuova denominazione della Fiat Auto

S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso

lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati BONAMICO FRANCO, DIRUTIGLIANO DIEGO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 521/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/04/2007, R.G.N. 1486/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6-12/7/2006 il Giudice del lavoro del Tribunale di Torino, accogliendo la domanda proposta da Z.E. nei confronti della datrice di lavoro FIAT AUTO s.p.a., dichiarava illegittimo il collocamento in CIGS della ricorrente per l’intero periodo (9-12-2002/1-4-2003) e condannava la convenuta al pagamento delle differenze fra quanto percepito e quanto spettante come retribuzione normale, oltre al pagamento delle spese.

La società proponeva appello avverso la detta decisione, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

L’appellata si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 18-4-2007, respingeva l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale affermava che, pur dovendosi ritenere che il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, comma 5 avesse abrogato il disposto della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 che prevedeva l’obbligo di esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura, dei “criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonchè le modalità della rotazione”, non imponendo la legge alcun comportamento ulteriore rispetto all’obbligo di discutere di tali criteri in sede di esame congiunto, nondimeno, nel caso, l’esame dei verbali delle riunioni delle parti sociali non offriva alcuna indicazione circa l’esame in concreto dei criteri di scelta e, quindi, circa il contenuto di tali criteri, nè circa le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione.

Per la cassazione di tale sentenza la FIAT GROUP AUTOMOBILES (nuova denominazione della FIAT AUTO s.p.a.) ha proposto ricorso con sei motivi, corredati dai quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., che va applicato nella fattispecie ratione temporis.

La Z. è rimasta intimata.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 59 del 1997, art. 20 in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 1 ed al D.P.R. n. 218 del 2000, nonchè dell’art. 15 preleggi (art. 360 c.p.c., n. 3) sul presupposto che “i Giudici torinesi, espressamente negando che la promulgazione del D.P.R. n. 218 del 2000 avesse determinato l’abrogazione del preesistente impianto normativo inerente la procedura di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria, contrariamente a quanto argomentato dalla difesa di FIAT Auto e posto quale elemento centrale dei motivi del gravame, hanno deciso la controversia che ne occupa ritenendo che la medesima fosse ancora soggetta all’applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8”.

Con il secondo motivo la società lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1 ed ancora del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 in relazione alla nozione di ragioni ostative alla rotazione (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’accordo di programma presentato dal Governo e sottoscritto dalla società nel dicembre 2002.

In particolare la ricorrente innanzitutto deduce che “una volta appurato che il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 ha abrogato la precedente disciplina sulla procedura per la concessione della c.i.g.s., cade il presupposto attorno al quale ruota l’intera motivazione imponendo, per ciò solo, la cassazione della sentenza con tutte le statuizioni del caso” aggiungendo che ‘”anche i successivi capi argomentativi (come l’asserita non esaustività della comunicazione di avvio della procedura) vengono travolti nel momento in cui si accerta che la sede nella quale analizzare tutti i temi rilevanti non è più la comunicazione di avvio della procedura, ma il momento dell’effettivo confronto gestito e garantito dalla P.A..

Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed ancora del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 in relazione al verbale del Ministero del Lavoro del 5- 12-2002 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione al detto verbale.

In particolare la società rileva che erroneamente la Corte territoriale ha omesso di considerare il valore probatorio da attribuire al verbale del 5-12-2002 con il quale il Ministero del Lavoro aveva certificato la regolarità della procedura svoltasi e deduce che “se come erroneamente sostiene la Corte torinese, il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 ha lasciato in vita la L. n. 223 del 1991, art. 1”, “per coerenza è gioco forza ritenere che l’intervento certificatore svolto dalla P.A. copre e coinvolge non solo l’esame congiunto, ma anche la fase di apertura e quindi la regolarità della comunicazione di apertura”.

Con il quarto motivo la società lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e della L. n. 164 del 1975, art. 5, commi 4, 5 e 6, del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 in relazione al contenuto della lettera di apertura della procedura.

In particolare la ricorrente, posto che il D.P.R. ha pur sempre inciso significativamente sulla procedura, sostiene che “deve ritenersi che la valutazione circa la completezza delle informazioni fornite al sindacato non debba limitarsi al contenuto della comunicazione, ma debba valutare anche l’esame congiunto” e lamenta che “la Corte torinese, invece, ha respinto le istanze istruttorie formulate dalla società ed ha limitato il proprio esame al contenuto formale della comunicazione iniziale”.

Con il quinto la società lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1375 e 2697 c.c. in relazione agli accordi sindacali 18-3-2003 e 22-7-2003, violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 8, e succ. mod.

e insufficiente, contraddittoria e/o omessa motivazione, in ordine alla esclusione della efficacia sanante degli accordi citati, con particolare riferimento al “vizio originario della procedura”.

Con il sesto motivo la società ricorrente, infine, lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, L. n. 164 del 1975, art. 5, commi 4, 5 e 6, art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 nonchè vizio di motivazione, in relazione alla posizione soggettiva della lavoratrice collocata in c.i.g.s., non considerata dalla Corte di merito, che ha fondato la decisione su “mere carenze formali della comunicazione”.

Osserva il Collegio che la palese erroneità del presupposto iniziale secondo cui la sentenza impugnata sarebbe stata incentrata sulla applicabilità della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8 pur a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000 (laddove, invece, la sentenza della Corte torinese ha affermato l’esatto contrario ed ha fondato la decisione proprio sulla disciplina dell’esame congiunto contenuta nel detto D.P.R.). ha inficiato l’intero sviluppo dei motivi di ricorso, che, in sostanza, non colgono affatto nel segno la decisione impugnata, rispetto alla quale risultano, anzi, inconferenti, così come chiaramente inconferenti rispetto al decisum risultano anche i relativi quesiti formulati ex art. 366 bis c.p.c. (che va applicato nella fattispecie ratione temporis), con conseguente evidente inammissibilità dei motivi (cfr.

cass. S.U. 21-6-2007 n. 14385, Cass. S.U. 29-10-2007 n. 22640).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Infine non deve provvedersi sulle spese, non avendo la intimata svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2011

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