Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26074 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/11/2020, (ud. 02/10/2019, dep. 17/11/2020), n.26074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Luigi Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7585-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro te-:ocre,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SIMESA SPA, elettivamente domiciliate in ROMA VIA DELLE QUATTRO

FONTANE 20, presso studio GRIPPO CAPPELLI & PARTNERS STUDIO

GIANNI ORIGONI, rappresentato e difeso dall’avvocato BOCELLA NICOLA

MARIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5676/2015 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 30/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/10/2019 dal Consigliere Dott. D’AURIA GIUSEPPE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

A seguito della sentenza della Corte di Giustizia UE sez. 3 del 14 12 2006, era sancita la illegittimità del divieto imposto dall’ordinamento italiano di detrarre l’Iva assolta sull’acquisto di autovetture utilizzate nell’ambito di attività di impresa o professionale. Per adeguarsi a tale decisione il legislatore italiano aveva emesso il D.L. 15 settembre 2006, n. 258, convertito nella L. n. 278 del 2006. Nei termini di legge, il contribuente presentava istanza di rimborso utilizzando il format, predisposto dal legislatore. Su richiesta dell’Agenzia delle Entrate era tempestivamente depositata ulteriore documentazione. Di fronte al silenzio serbato dalla Amministrazione per un lungo tempo il contribuente impugnava il silenzio rifiuto del richiesto rimborso Iva. Con sentenza n. 1595 / 26 /2015 la commissione provinciale di Milano accoglieva per il ricorso per la parte di iva non detratta nel periodo 2003 /2006.

Con sentenza n. 5676 del 2015 la C.T.R. della Lombardia respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, tramite l’Avvocatura dello Stato, affidandosi per l’accoglimento del ricorso ai seguenti motivi, cosi sintetizzabili:

1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1;

2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e /o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4.

Resisteva con controricorso il contribuente, assumendo che la sentenza impugnata era da confermare contrastando in toto i motivi di gravame dell’Agenzia.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo la parte ricorrente assume che il giudice sia incorso in violazione di legge, invertendo l’onere probatorio, che trattandosi di rimborso gravava sul contribuente.

Invero l’Agenzia ricorrente non coglie l’essenza della decisione impugnata che nel respingere l’appello, ha ritenuto assolto l’onere probatorio da parte del contribuente con il deposito della documentazione richiesta.

invero il giudice del merito ha considerato che vi era stata una fase endo-procedimentale in cui il contribuente, a seguito della Sentenza Europea (causa C-228 / 05) e dalla conseguente legislazione, aveva compilato un format predisposto dal legislatore per ottenere la restituzione dell’iva, illegittimamente non ammessa alla detrazione nel periodo pregresso, che nel contraddittorio delle parti erano stati chiesti dalla Agenzia determinati documenti al contribuente che aveva provveduto a depositarli, e tale documentazione (analiticamente indicata anche in sentenza)ha ritenuto soddisfatte le condizioni di legge per il rimborso.

Va ricordato che per principio generale, (di cui è permeato il sistema processuale civile, compreso quello tributario), entrambe le parti processuali hanno l’obbligo di collaborare per circoscrivere la materia realmente controversa. Tale principio poggia le proprie basi sia sul tenore dell’art. 111 Cost., artt. 416 e 167 c.p.c., sia anche sul carattere dispositivo del processo, che anche in ambito tributario prevede preclusioni successive,nonchè sul dovere di lealtà e probità posto a carico delle parti dall’art. 88 c.p.c.. In particolare, proprio la struttura ontologicamente dialettica del processo tributario, e nel caso il contraddittorio era stata addirittura anticipata alla fase endo-procedimentale amministrativa, implica che soprattutto il momento probatorio sia dominato da un generale onere collaborativo delle parti in funzione di una sollecitazione semplificatoria. Inoltre, il principio di ragionevole durata del processo non è e non può essere inteso soltanto come monito acceleratorio rivolto solo al giudice ma anche a tutti i protagonisti del processo, ivi comprese le parti, che, specie nei processi dispositivi e prevedenti una difesa tecnica, devono responsabilmente collaborare delimitando, ove possibile, la materia realmente controversa. Del resto la natura documentale dell’istruttoria nel processo tributario rende più facile la collaborazione per ridurre ai fatti veramente controversi la necessità di accertamento giudiziale. Nel caso proprio lo svolgimento della fase endo-procedimentale amministrativa in cui la parte aveva provveduto non solo a riempire il format come richiesto dallo stesso legislatore, (da considerare esaustivo per assolvere all’obbligo di rimborso imposto dalla suddetta Sentenza Europea, dovendosi presumere che comprendesse tutte le risposte ed i dati essenziali), ma anche a depositare i documenti richiesti, è stato valutato dal giudice per ritenere poi assolto l’onere probatorio. Del resto nel processo tributario, l’obbligo dell’Amministrazione di leale collaborazione è ancora più forte di quello che grava sul convenuto nel rito ordinario, in quanto le disposizioni della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 18 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d’ufficio quei documenti che, già in possesso dell’Amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l’espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale. Nel caso,in primo grado,nonostante gli anni trascorsi dall’istanza come riportato, nella ricostruzione dei fatti, l’Agenzia si limitava a richiedere un mero rinvio senza minimamente accennare ad una qualsiasi irregolarità della domanda e della documentazione prodotta come richiesto.In altri termini il giudice ha ritenuto provato il diritto al rimborso proprio sulla base della documentazione e della mancanza di sostanziale contestazione della documentazione fiscale (estratto registri Iva con indicazione fatture di acquisto delle autovetture pagina uno della sentenza) non solo nei pregressi gradi ma neppure in questo.

Pertanto il motivo va rigettato.

Con il secondo motivo il ricorrente assume che la motivazione è inesistente o apparente.

Invero tale motivo appare inammissibile in quanto in modo surrettizio il ricorrente intende ottenere una nuova rivalutazione dei fatti e della normativa, così come interpretati dal giudice di secondo grado non ammissibile in questo grado ma solo in sede di appello. Del resto non vi è stato alcun errore nella individuazione della materia del contendere visto che la sentenza della commissione regionale della Lombardia ha considerato i fatti acquisiti al processo lasciando chiaramente trasparire il percorso logico seguito, avendo ritenuto che i documenti depositati, valutati in uno con il contenuto del provvedimento amministrativo, consentissero di ritenere assolto l’onere probatorio, confermando quanto già statuito dal giudice di primo grado. Va, per altro verso, posto in rilievo come, al di là della formale intestazione dei motivi, il ricorrente deduce in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053).

Il vizio di motivazione, nel caso ratione temporis applicabile, si può ravvisare nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti. Il concetto di fatto delineato dal legislatore implica un fatto inteso nella sua accezione storico fenomenica, e non anche come nella specie la critica circa la valutazione del fatto.Trattasi di ratio decidendi che non è stata intaccata dal motivo in questione, essendosi il ricorrente limitato sostanzialmente riproporre le doglianze già sottoposte al vaglio di questa Corte con il primo motivo.

Emerge dunque evidente come il ricorrente in realtà inammissibilmente prospetti una rivalutazione del merito della vicenda, comportante accertamenti di fatto preclusi a questa Corte di legittimità, nonchè la rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Pertanto, rimanendo confermata, tale ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata, il ricorso in cassazione va rigettato, con conseguente condanna alle spese processuali (spese forfettarie, iva e cap)

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 10.000,00 oltre oneri di legge.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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