Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26073 del 16/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 16/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.16/12/2016),  n. 26073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21268-2015 proposto da:

I.G. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLA BALDUINA 66, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

SPAGNUOLO, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIETFA CORETTI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 682/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

27/5/2015, depositata l’8/6/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MAROTTA CATERINA;

udito l’Avvocato VINCENZO STUMPO difensore del controricorrente che

si riporta ai motivi scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

” I.G., premesso di aver lavorato alle dipendenze dell’azienda agricola “IL Miracolo s.r.l.” nell’anno 2005, con ricorso depositato in data 19/3/2012, conveniva l’I.N.P.S. dinanzi al Giudice del lavoro di Salerno e chiedeva che fosse annullato il provvedimento dell’I.N.P.S. in data 24/1/2012 con il quale, sulla base del disconoscimento del rapporto di lavoro agricolo, era stata chiesta la ripetizione dell’indebito di Euro 3.810,96 corrisposto a titolo di indennità di disoccupazione agricola per il suddetto anno 2005. Il Tribunale accoglieva le domande, compensava tra le parti le spese processuali (così in dispositivo). Avverso tale decisione proponeva impugnazione la I. (solo in punto di governo delle spese). La Corte di appello di Salerno respingeva l’appello escludendo un contrasto da dispositivo e motivazione in punto di regolamentazione delle spese e sostenendo che la ragione della compensazione fosse da rinvenirsi nella circostanza “notoria e pacifica in giudizio” dell’esistenza sul territorio campano del massiccio fenomeno delle frodi in danno dell’ente previdenziale, dovute ad una “moltitudine di fittizi rapporti di lavoro agricolo finalizzati al conseguimento di indebite prestazioni, con conseguenti risvolti anche penali, come accaduto per l’azienda agricola per la quale ha lavorato l’appellantè e nel fatto che l’I.N.P.S. era stato “obbligato a richiamare gli accertamenti svolti e le incongruenze rilevate dagli ispettori, anche a tutela degli interessi pubblici” ed aveva reso “quantomeno giustificabile la cancellazione dei braccianti coinvolti”.

Propone ricorso per cassazione I.G. affidato a due motivi.

L’I.N.P.S. resiste con controricorso.

Con il primo motivo si duole la ricorrente della ritenuta insussistenza di un contrasto da dispositivo e motivazione. Evidenzia che il Tribunale nella parte argomentativa aveva riconosciuto alla parte totalmente vittoriosa la metà delle spese processuali laddove in dispositivo era stata disposta la compensazione totale. 1,a sentenza sarebbe perciò nulla, essendo impossibile accertare, sul punto, la reale volontà del giudice.

Il motivo è infondato.

Come da questa Corte anche di recente affermato, nel rito del lavoro, il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria acquisisce rilevanza autonoma poichè racchiude gli elementi del comando giudiziale, che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione, e non è suscettibile di interpretazione a mezzo della motivazione stessa – cfr. Cass. 17 novembre 2015, n. 23463; Cass. 26 ottobre 2010, n. 21885.

E’ stato anche precisato che, nel rito del lavoro, solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza. Tale insanabilità deve escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, e peraltro, si possa escludere che sia l’esito di un ripensamento sopravvenuto, essendo la motivazione saldamente ancorata ad elementi acquisiti al processo (sì da potersi escludere l’ipotesi di un ripensamento del giudice) – cfr. Cass. 14 maggio 2007, n. 11020; Cass. 14 dicembre 2005, n. 27591; Cass. 3 agosto 2004, n. 14845; Cass. 29 novembre 2002, n. 16988.

Nel caso in esame la statuizione della compensazione totale di cui al dispositivo della sentenza di primo grado trovava una certa coerenza nella parte motiva in cui le ragioni della compensazione erano ricollegate al fatto che “l’erronea determinazione dell’Istituto causata da denunce non corrette dell’azienda e da una notoria enorme diffusione del fenomeno è emersa solo all’esito di una approfondita istruttoria”.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Evidenzia che nella specie non vi erano le “gravi ed eccezionali ragioni” per la disposta compensazione e che le argoMentazioni addotte dalla Corte territoriale a giustificazione del decisum del Tribunale non corrispondevano alle evidenze di causa caratterizzate dal disconoscimento di un rapporto di lavoro agricolo da parte dell’I.N.P.S. in assenza di ogni prova ed intervenuto dopo che l’istituto aveva svolto tutto l’iter amministrativo per accertare sia la sussistenza del rapporto sia i requisiti soggettivi ed oggettivi per concedere il beneficio della disoccupazione agricola nel periodo successivo alla prestazione lavorativa.

Il motivo è fondato.

Il giudizio è stato instaurato con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Salerno il 19/3/2012 e, dunque, opera la modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, che – per giudizi instaurati successivamente alla sua entrata in vigore -, intervenendo nuovamente sull’art. 92 c.p.c., comma 2, dopo la novella di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), già applicabile ai procedimenti instaurati a far data dal 1 marzo 2006 (art. 2, comma 4, della medesima legge, come mod. dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 quater, conv. con mod. nella L. 23 febbraio 2006, n. 51), ha previsto che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese fra le parti”.

Alla norma è stata apportata successivamente una nuova modifica di tenore ulteriormente restrittivo – dal D.L. 1 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, in L. 10 novembre 2014, n. 162, applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione, nel senso che la compensazione è limitata alle ipotesi di soccombenza reciproca “ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”.

Il testo della norma applicabile ratione temporis alla fattispecie, ossia la versione introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, consente, come detto, la compensazione solo in presenza di soccombenza o nel concorso di “altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”. La locuzione “gravi ed eccezionali ragioni” è stata ricondotta – nell’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite di questa Corte – nell’alveo delle “norme elastiche”, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico – sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2012, n. 2572).

Nel caso in esame la disposta compensazione sulle spese, in assenza di una soccombenza reciproca, poteva essere disposta soltanto per gravi ed eccezionali ragioni: tra le quali, pur nell’ambito di una nozione ancora necessariamente elastica, non possono, intuitivamente, comprendersi la “circostanza notoria e pacifica in giudizio dell’esistenza sul territorio campano del massiccio fenomeno delle frodi in danno dell’ente previdenziale dovute ad una moltitudine di fittizi rapporti di lavoro agricolo finalizzati al conseguimento di indebite prestazioni” e la “doverosità” per l’I.N.P.S. di procedere ai disconoscimenti all’esito dei controlli (riguardanti le aziende e non direttamente i lavoratori) svolti nell’ambito di tale contrasto delle frodi previdenziali agricole. Trattasi, infatti, di argomentazioni che prescindono del tutto dalle concrete risultanze di causa (si evince dal verbale ispettivo ritualmente prodotto in uno con il ricorso per cassazione che l’accertamento presso l’azienda agricola il Miracolo s.r.l.” era stato svolto nel dicembre del 2009, che non aveva riguardato specificamente la posizione della I. la quale si era vista, poi, disconoscere un rapporto di lavoro risalente al 2005) e poggiano su elementi di giudizio estranei alla realtà processuale come determinatasi per effetto delle posizioni assunte dalle parti. Si richiama, a titolo esemplificativo, quanto da questa Corte già affermato: “In tema di spese giudiziali, in forza dell’art. 92 c.p.c., comma 2, (nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis”) può essere disposta la compensazione in assenza di reciproca soccombenza soltanto ove ricorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, che devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza, senza che possa darsi meramente rilievo alla “natura dell’impugnazione”, o alla “riduzione della domanda in sede decisoria”, ovvero alla “contumacia della controparte”, permanendo in tali casi la sostanziale soccombenza di quest’ultima, che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese” – Cass. 19 ottobre 2015, n. 21083 -; “L’art. 92 c.p.c., comma 2, (come sostituito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11), nella parte in cui prevede la possibilità di compensare le spese di lite allorchè concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, non consente di disporre la compensazione in parola in base al carattere ufficioso del rilievo dell’interruzione della prescrizione ed alla esiguità della pretesa creditoria, atteso che, quanto al primo profilo, esso integra un normale esito dell’attività valutativa del giudice, mentre, quanto al secondo, specialmente ove l’importo delle spese fosse tale da superare quello del pregiudizio economico che la parte avesse inteso evitare agendo in giudizio per fare valere il proprio diritto, tale statuizione si tradurrebbe in una sostanziale soccombenza di fatto della parte vittoriosa, con lesione del principio costituzionale di cui all’art. 24 Cost., nonchè della regola generale dell’art. 91 c.p.c.” – Cass. 1 giugno 2015, n. 11301.

Si aggiunga che, come pure è stato da questa Corte già precisato, “colui che attivamente o passivamente si espone all’esito del processo, oltre a conseguire i vantaggi, deve anche sopportare le eventuali conseguenze sfavorevoli che, in ordine alle spese, sono stabilite a suo carico in base al principio della soccombenza e ciò anche se si tratti di spese non rigorosamente conseguenziali e strettamente dipendenti dall’attività della parte rimasta soccombente ma derivante dagli eventuali errori in cui può incorrere il giudice nei vari gradi o nelle diverse fasi del processo” – così Cass. 19 aprile 2006, n. 9049; in senso conforme Cass. 26 febbraio 2007, n. 4386; Cass. 11 aprile 2013, n. 8886).

In conclusione, si propone l’accoglimento del secondo motivo di ricorso (con il rigetto del primo) e la cassazione, in parte qua, della sentenza impugnata; il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5. Valuterà il Collegio se la causa possa essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c..

2 – L’I.N.P.S. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria depositata dall’I.N.P.S. e dal richiamo, nella stessa contenuto, al precedente di questa Corte n. 21643/2016 nel quale, a differenza che nella presente ipotesi, la disposta compensazione era stata comunque, almeno in parte, fondata su concrete risultanze di causa (adempimenti istruttori, collegamenti del caso all’esame con inchieste giudiziarie).

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va accolto e va cassata l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di appello di Napoli che procederà ad una nuova valutazione e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2016

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