Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26072 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2011, (ud. 16/11/2011, dep. 05/12/2011), n.26072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.L., rappresentata e difesa dall’Avv. Grasso Biagio, come

da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge presso la

cancelleria della Corte di Cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Napoli n.

25/08 RGVG depositato il 27 ottobre 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 16 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.L. per cassazione nei confronti del decreto della Corte d’appello che ha rigettato la sua domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR della Campania dal 5 agosto 1999 e ancora pendente alla data della domanda (8 gennaio 2008).

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico complesso motivo di ricorso contiene censure diverse che debbono essere esaminate separatamente.

Con la prima si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere il giudice posto a base della sua decisione un elemento (assenza del patema d’animo quale conseguenza della consapevolezza dell’infondatezza della pretesa) non dedotto dalla Amministrazione resistente.

La censura è infondata in quanto è stato invece affermato che “Il tema di equa riparazione per violazione dei termine di ragionevole durata del processo, la circostanza che la causa di merito sia configurabile come lite temeraria o che la parte abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il diritto all’equa riparazione, costituendo circostanze di abuso del processo e derogando alla regola secondo cui il diritto all’indennizzo è indipendente dall’esito del processo presupposto (L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2), deve essere provata dall’Amministrazione resistente, anche con presunzioni, in modo che possa ritenersi accertati la assoluta consapevolezza dell’infondatezza della pretesa;

l’Amministrazione non è tuttavia tenuta a dedurre formalmente le predette circostanze, non trattandosi di eccezione in senso stretto, per la quale la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi; conseguentemente, se gli elementi rilevanti ai fini della prova di tali circostanze sono stati comunque ritualmente acquisiti al processo o attengono al notorio, gli stessi entrano a far parte del materiale probatorio che il giudice può liberamente valutare (Cassazione civile, sez. 1, 09/04/2010, n. 8513).

Con l’ulteriore censura si deduce violazione di legge e difetto di motivazione per avere la Corte d’appello rigettato la domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo in considerazione della ritenuta assenza di un patema d’animo dovuta alla pendenza del giudizio stante la piena consapevolezza dell’infondatezza della pretesa.

La censura è fondata in quanto, se è vero che “Il tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la piena consapevolezza della infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità – che deve essere desunta sulla base di elementi indiziari precisi e concordanti – è causa di inesistenza del danno non patrimoniale, perchè incompatibile con l’ansia ed il malessere correlati all’incertezza sull’esito del processo (Sez. 1, Sentenza n. 25519 del 16/12/2010) è anche vero che nella fattispecie di tale consapevolezza non vi è sicura traccia dal momento che non sono elementi che ne possano far presumere la sussistenza quelli evidenziati dal giudice del merito (pregressa giurisprudenza e atteggiamento processuale) che al più possono evidenziare la scarsa probabilità di successo dell’azione intrapresa ma non certo la piena certezza del suo esito negativo, anche perchè non viene neppure affermato che la giurisprudenza che si assume ostativa, e di cui peraltro non vengono forniti gli estremi, preesistesse alla proposizione della domanda.

Il ricorso devono dunque essere accolto e cassato il decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e quindi, tenuto conto della durata del giudizio presupposto alla data della domanda (8 anni e cinque mesi e quindi ben superiore a quella ragionevole secondo i noti parametri) e della giurisprudenza della Corte (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero della Economia e delle Finanze deve essere condannato al pagamento di Euro 4.670 a titolo di equo indennizzo.

Tenuto conto dell’accoglimento solo parziale del ricorso, le spese del giudizio di merito possono essere compensata per un mezzo e poste a carico per la differenza dell’Amministrazione resistente che deve essere condannata altresì al rimborso di quelle di questa fase.

PQM

la Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e delle Finanze al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 4.670, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione della metà delle spese del giudizio di merito che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 873, di cui Euro 378 per diritti, Euro 445 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, compensato il residuo, nonchè di quelle del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 700, di cui Euro 600 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore del difensore antistatario Avv. Varriale quanto al giudizio di merito, e Avv. Grasso quanto a questa fase.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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