Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26069 del 16/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 16/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.16/12/2016),  n. 26069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26212-2013 proposto da:

M.T., ((OMISSIS)), in proprio e quale esercente la

potestà sulla figlia minore PALMA DONATA, nonchè PALMA PASQUALE

(PLMPQI89H10D8511), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIO

LAZZARI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI giusta delega in calce al

ricorso notificato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1864/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

6/5/2013, depositata il 13/5/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato MAURO RICCI difensore del resistente che si riporta

agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con sentenza n. 1864/2013, depositata in data 13 maggio 2013, la Corte di appello di Lecce confermava la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato M.T. (in proprio e nella qualità di esercente la potestà sulla minore P.D.) e P.P., eredi di P.A.L., decaduti dall’azione giudiziaria proposta nei confronti dell’I.N.P.S., intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento per ciechi assoluti. Riteneva la Corte territoriale che, rispetto alla domanda amministrativa avanzata nell’anno 2006 da P.A.L. (per ottenere la pensione di cecità assoluta – concessa ai sensi della L. n. 6 del 1982, art. 8 ai maggiorenni ciechi assoluti che si trovino in stato di bisogno economico – e l’indennità di accompagnamento – concessa ai sensi della L. n. 406 del 1968, art. 1 ai ciechi civili assoluti al solo titolo della minorazione e cioè indipendentemente dal reddito personale e dall’età -), fosse stata tempestivamente proposta solo l’azione volta ad ottenere il beneficio della pensione mentre quella intesa ad ottenere l’indennità di accompagnamento, di cui al ricorso del 27 gennaio 2010, fosse tardiva (confermandosi, sul punto, la decisione di primo grado che aveva ritenuto maturata la decadenza “triennale”).

Avverso detta sentenza M.T. e P.P. ricorrono per cassazione con due motivi.

L’I.N.P.S. ha depositato procura in calce al ricorso notificato.

Con i due motivi di ricorso i ricorrenti censurano la sentenza per violazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, conv. con la L. n. 326 del 2003, dell’art. 443 e D.P.R. n. 698 del 1994, art. 3, comma 5, omessa pronuncia e violazione della L. n. 406 del 1968, art. 1.

Rilevano che la fattispecie in questione ricade nell’ambito della vigenza dell’art. 42 cit. e lamentano che, pur in assenza di sottoposizione di P.A.L. a visita da parte della commissione competente e, quindi, di comunicazione del relativo esito, la Corte territoriale abbia ritenuto gli istanti decaduti rispetto alla domanda amministrativa e dunque erroneamente non abbia esaminato il merito e non si sia pronunciata sulla richiesta di indennità di accompagnamento quale cieca assoluta.

I motivi sono manifestamente fondati.

L’impugnata sentenza sembra far decorrere il termine di decadenza (che, confermandosi, sul punto, la sentenza del Tribunale, è stato considerato quello “triennale”) dalla iniziale domanda amministrativa (risalente al 2006) evidenziando che rispetto a tale domanda (che aveva ad oggetto tanto la pensione per ciechi assoluti quanto l’indennità di accompagnamento) risultava essere stata proposta tempestivamente solo l’azione giudiziaria volta ad ottenere il beneficio della pensione mentre per quella volta ad ottenere l’indennità di accompagnamento era maturato il termine di legge “come ritenuto dal primo giudice”.

Deve tuttavia osservarsi che, nel caso di specie, non si discute di una prestazione previdenziale ma di una prestazione di invalidità civile. Ed allora, per quanto è dato rilevare dal riferimento contenuto nella sentenza impugnata al dies a quo individuato nella domanda amministrativa ed al termine (“triennale”) per la proposizione della domanda giudiziale come ritenuto dal primo giudice, sembra essere stata erroneamente applicata la disposizione di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 prevista, però, per le prestazioni previdenziali.

Ed infatti il richiamato termine “triennale” di decadenza non trova riscontro nè nella disciplina di cui al D.P.R. n. 698 del 1994 – Regolamento recante norme sul riordinamento dei procedimenti in materia di riconoscimento delle minorazioni civili e sulla concessione dei benefici economici – (precedente rispetto alla L. n. 102 del 2009), che prevedeva solo il termine di nove mesi per la conclusione dell’accertamento sanitario, nè in quella di cui alla L. n. 533 del 1973, art. 7) che fissa, tanto per le prestazioni previdenziali quanto per quelle di assistenza, solo la regola generale del silenzio-rigetto dopo centoventi giorni, nè nella disposizione contenuta nel D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, conv. in L. n. 326 del 2003, la cui efficacia è stata differita al 31 dicembre 2004 dal D.L. n. 355 del 2003, art. 23, comma 2, conv. in L. n. 47 del 2004, che per le prestazioni di invalidità civile ha abolito il contenzioso amministrativo ed introdotto una decadenza prima inesistente, fissando il termine di sei mesi “dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa”.

Nel caso del D.L. n. 269 del 2003, art. 42 il dato letterale è inequivoco (“dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa”) e non vi è alcun riferimento, a differenza di quanto previsto, per le prestazioni previdenziali, dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 (l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione”) ovvero, per i lavoratori agricoli, dal D.L. n. 7 del 1970, art. 22 (“contro i provvedimenti definitivi adottati in applicazione del presente decreto da cui derivi una lesione di diritti soggettivi, l’interessato può proporre azione giudiziaria davanti al pretore nel termine di 120 giorni dalla notifica o dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza”), al compimento dell’iter amministrativo ai fini dell’individuazione di altro dies a quo per l’operare della decadenza.

Tale tipo di decadenza, del resto, per la funzione che svolge rispetto alla libertà di esercizio del diritto soggettivo, non diversamente da quanto avviene per le ipotesi di cui agli artt. 2964 c.c. e ss. ovvero per la decadenza processuale (per la quale norma di riferimento è l’art. 152 c.p.c.), non può che avere carattere eccezionale e pertanto deve essere applicata nei limiti espressamente previsti, non essendo consentite interpretazioni analogiche.

Così va non solo escluso che la decadenza D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 possa essere estesa all’ambito assistenziale (che costituisce tutt’altra materia, con pagamenti posti a carico dell’I.N.P.S., tuttavia non pensionistici nè riconducibili alle prestazioni temporanee di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 24) ma va anche escluso che la specifica decadenza prevista, per la materia assistenziale, dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, (peraltro con la previsione di un termine non solo breve ma così rigoroso da non consentire nemmeno di accedere alle superiori istanze amministrative, ponendo l’assicurato nella necessità di adire direttamente l’autorità giudiziaria) possa essere applicata oltre l’ipotesi specificamente prevista della comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa.

Per quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del ricorso, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio per un nuovo esame ad altro giudice di merito; il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

2 – Solo la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2 (ovviamente adesiva).

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va accolto e va cassata l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di appello di Lecce che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2016

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