Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26067 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26067 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

sentenza con motivazione
semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

TRIPODI Grazia (TRP GRZ 40S62 H224Y), CANNIZZARO Giovanni
(CNN GNN 83B02 C616V) e CANNIZZARO Lucia (CNN LCU 74D46
112240) rappresentati e difesi, giusta procura speciale a
margine del ricorso, dall’avvocato Giuseppe Agresta ed
elettivamente domiciliati in Roma, via Berengario n. 10,
presso la dott.ssa Elia Cursaro;

ricorrenti

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (80184430587), in persona del
Ministro

pro tempore,

rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

Data pubblicazione: 20/11/2013

- controricorrente –

avverso il decreto n. 491/2008 della Corte d’appello di
Catanzaro del 10 dicembre 2010, depositato il 25 gennaio
2011.
la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 16 luglio 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. Maurizio Velardi, il quale ha
chiesto l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
Rilevato che, con ricorso depositato in data 8 maggio

2008 presso la Corte d’appello di Catanzaro, Tripodi
Grazia, Cannizzaro Giovanni e Cannizzaro Lucia chiedevano
l’equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001 in
relazione ad un giudizio civile svoltosi dinanzi al
Tribunale di Locri, iniziato dal dante causa degli odierni
ricorrenti, Cannizzaro Guglielmo, con atto di citazione del
28 giugno 1990 e definito con sentenza depositata il 26
ottobre 2006;
che l’adita Corte d’appello, dato atto che l’originario
attore era deceduto il 4 dicembre 1992 e gli eredi si erano
costituiti nel giudizio presupposto il 23 novembre 1995,
con decreto del 25 gennaio 2011, accertato altresì che il
processo presupposto aveva avuto una durata di sedici anni
e quattro mesi, determinava, a fronte di una durata

Udita

ragionevole stimata in tre anni e detratto il termine di
quattordici mesi dovuto a rinvii richiesti dalla parte, un
periodo di durata irragionevole di circa dodici anni e due
mesi;

l’indennizzo solamente per il lasso di tempo successivo
alla costituzione in giudizio dei ricorrenti, i quali
avevano riassunto il giudizio nel novembre 1995, a seguito
del decesso del loro dante causa, parte originaria del
processo;
che, a fronte degli scomputi testé indicati, la Corte
d’appello determinava il periodo di durata irragionevole da
indennizzare in circa undici anni e nove mesi;
che la Corte d’appello, in virtù della esiguità della
posta in gioco, sulla scorta della giurisprudenza nazionale
di legittimità e di quella della Corte di Strasburgo,
riduceva fino al 45% l’importo di 1.000,00 euro per anno
riconosciuto dagli standard per l’equa riparazione e
liquidava 450,00 euro per anno di ritardo, pari ad un
totale di euro 5.287,00 per ciascuno dei ricorrenti, più
interessi legali dalla data della domanda al saldo;
che per la cassazione di questo decreto Tripodi Grazia,
Cannizzaro Giovanni e Cannizzaro Lucia hanno proposto
ricorso sulla base di tre motivi;

che la Corte d’appello riteneva potersi riconoscere

che all’udienza del 24 gennaio 2013 veniva disposta la
rinnovazione della notificazione del ricorso perché
effettuata presso l’Avvocatura distrettuale e non presso
l’Avvocatura generale dello Stato;
eseguita

tempestivamente

la

rinnovazione,

l’intimata Amministrazione ha resistito con controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di
una motivazione semplificata per la redazione della
sentenza;
che con il primo motivo (violazione e/o falsa
applicazione della legge 24 marzo 2001 n. 89 art. 2, commi
2 e 3, e dell’art. 6 CEDU, ai sensi dell’art. 360, n. 3,
cod. proc. civ.) i ricorrenti si dolgono per la limitazione
del periodo di durata irragionevole da indennizzare a
quello successivo alla costituzione in giudizio per gli
eredi, escludendo, dunque, la possibilità di ottenere
l’indennizzo iure successionis oltre che iure proprio;
che il motivo è infondato;
che la Corte d’appello ha correttamente circoscritto
l’indennizzo per la non ragionevole durata del processo
alla richiesta avanzata dai ricorrenti, relativa
esclusivamente al riconoscimento della riparazione per il
patema subito

iure proprio

e non già iure

successionis,

facendo corretta applicazione del principio per cui «in
tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo

che,

2001, n. 89, qualora la parte costituita in giudizio sia
deceduta anteriormente al decorso del termine di
ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al
riconoscimento dell’indennizzo, iure proprio,

soltanto per

decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in
giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non
assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della
sua posizione processuale rispetto a quella del dante
causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il
sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in
norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001 non si fonda
sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello
Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a
beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni
patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale
presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla
sua rapida conclusione» (Cass. n. 23416 del 2009; Cass. n.
13803 del 2011);
che con il secondo motivo (violazione e/o falsa
applicazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 art. 2, commi
2 e 3, e dell’art. 6 CEDU, ai sensi dell’art. 360, n.3,
cod. proc. civ., nonché erronea, contraddittoria e/o
insufficiente motivazione su un punto decisivo della causa

il superamento della predetta durata verificatosi con

prospettato dalle parti, ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ.) i ricorrenti si dolgono per la detrazione,
decisa dalla Corte d’appello, di quattordici mesi dal lasso
di durata irragionevole, sol perché i differimenti delle

che il motivo è fondato;
che, come questa Corte ha avuto modo di sancire, «non è
consentito detrarre i rinvii chiesti dalle parti per la
pendenza di trattative, ove non risulti che essi vadano
ascritti a intento dilatorio o a negligente inerzia delle
parti stesse, tanto più ove le trattative siano in parte
andate a buon fine» (Cass. n. 25955 del 2011);
che, nel caso di specie, le parti si erano limitate a
richiedere tre rinvii, di cui uno giustificato dalla
pendenza delle trattative, e difetta ogni indagine circa
l’eventuale intento dilatorio sotteso a tali richieste di
rinvio, sicché la Corte d’appello ha illegittimamente
addebitato,

sic

et

simpliciter, i

ritardi alla parte,

scomputandoli dal termine di durata irragionevole;
che con il terzo motivo (violazione della legge 24
marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 e 3, e dell’art. 6
CEDU, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché
erronea, contraddittoria e/o insufficiente motivazione su
un punto decisivo della causa prospettato dalle parti, ai
sensi dell’art. 360, n.5, cod. proc. civ.) i ricorrenti si

udienze erano dovuti a rinvii richiesti dalle parti;

dolgono per la esiguità del

quantum

dell’indennizzo

liquidato, distante dagli standard elaborati dalla
giurisprudenza nazionale di legittimità e dalla Corte di
Strasburgo;

che «in tema di equa riparazione per violazione del
diritto alla ragionevole durata del processo, il giudice,
nel determinare la quantificazione del danno non
patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere
al di sotto del livello di “soglia minima” là dove, in
considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della
pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto,
parametrata anche sulla condizione sociale e personale del
richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata
renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del
tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del
pregiudizio sofferto” (Cass. n. 12937/2012);
che la Corte d’appello ha ritenuto di scendere al di
sotto dello standard di 1.000,00 euro per anno di ritardo,
pur mantenendosi entro il 45% dello scostamento da tale
standard secondo le indicazioni della giurisprudenza della
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, motivando con
riferimento sia allo scarso valore della posta in gioco,
secondo il principio enucleato nella massima di questa
Corte testé richiamata, sia alla ripartizione della posta

che il motivo è infondato;

in gioco secondo le quote ereditarie, che certamente
induceva a ritenere minimale il pregiudizio arrecato a
ciascun ricorrente;
che trattasi di motivazione adeguata, rispetto alla

risolvendosi nella richiesta di applicazione del parametro
ordinario di liquidazione, si infrangono sul rilievo che la
valutazione della esiguità o no della posta in gioco, alla
luce delle circostanze soggettive e oggettive del caso di
specie, è accertamento di fatto non sindacabile in sede di
legittimità, se non con riferimento ad eventuali vizi della
motivazione, nella specie non sussistenti;
che, in virtù dell’accoglimento del secondo motivo di
ricorso il decreto deve essere cassato limitatamente allo
scomputo del termine di quattordici mesi dal totale del
lasso ritenuto non ragionevole;
che, non residuando ulteriori accertamenti di fatto, la
causa può essere decisa nel merito;
che, sommando al periodo di durata irragionevole di
undici anni e nove mesi già liquidato, gli ulteriori
quattordici mesi precedentemente addebitati alla parte, si
ottiene un periodo di durata irragionevole pari a circa
dodici anni ed undici mesi;
che, per tale periodo di durata irragionevole va
applicato il quantum deciso dalla Corte d’appello, essendo

quale le deduzioni dei ricorrenti, invero assai generiche,

stato rigettato il relativo motivo di ricorso, sicché ai
ricorrenti va liquidato un indennizzo pari ad euro 450,00
per anno di ritardo, per un totale di euro 5.812,00
ciascuno, oltre agli interessi legali dalla data della

che, in considerazione del limitato accoglimento la
reciproca soccombenza, le spese del giudizio di legittimità
vanno compensate, mentre restano ferme, nella misura già
liquidata e con la disposta compensazione parziale, che non
ha formato oggetto di specifico motivo di censura, le spese
del giudizio di merito.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
cassa,

accoglie

il ricorso per quanto di ragione;

in relazione alla censura accolta, il decreto

impugnato e, decidendo nel merito,

condanna

il ministero

della Giustizia al pagamento, in favore di Tripodi Grazia,
Cannizzaro Giovanni e Cannizzaro Lucia, della somma di euro
5.812,00 ciascuno, oltre agli interessi legali dalla
domanda al saldo, ferma la statuizione sulle spese del
giudizio di primo grado; compensa interamente le spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 16 luglio 2013.

domanda al saldo,

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