Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26065 del 16/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 16/12/2016, (ud. 17/11/2016, dep.16/12/2016),  n. 26065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. BIANCHIIN Bruno – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21661/2012 proposto da:

V.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato PAOLO IORIO, rappresentato

e difeso dall’avvocato FABIO OREFICE;

– ricorrente –

contro

M.T., M.P., D.C.,

M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CASAGRANDE, rappresentati e

difesi dall’avvocato FRANCESCO CAROTENUTO;

– controricorrenti –

e contro

MA.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 719/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

uditi gli Avvocati Orefice e Fumai per delega dell’Avvocato

Carotenuto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28 maggio 2003 il Tribunale di Napoli accoglieva l’opposizione proposta da D.C. ed m.a. avverso il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti su ricorso dell’avvocato V.S., per l’importo di Euro 5.158,22, a titolo di compenso riguardante l’attività professionale svolta allo scopo di favorire l’acquisto da parte degli intimati di immobile venduto in asta giudiziaria. Il decreto ingiuntivo era stato reso su parcella corredata del parere del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. Con sentenza n. 719/2012 del 29 febbraio 2012 la Corte d’Appello di Napoli ha poi rigettato anche l’appello proposto dall’avvocato V.S., pronunciando nei confronti di D.C. e degli eredi del defunto m.a., quali la stessa D.C., nonchè Ma.An., M.A., M.T. e M.P.. La Corte di Napoli negava consistenza ai motivi di gravame concernenti: la mancata impugnazione del parere consiliare davanti al giudice amministrativo; la violazione del diritto di difesa perpetrata in danno dell’opposto, essendo indicata nell’ordinanza del 21 febbraio 2003 quale data della successiva udienza il 17 aprile 2002; l’errata valutazione delle risultanze probatorie, ed in particolare della parcella munita di parere del Consiglio dell’Ordine.

L’avvocato V.S. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, cui resistono con controricorso D.C., M.A., M.T. e M.P., rimanendo intimata senza svolgere attività difensive Ma.An..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I. Il primo motivo del ricorso dell’avvocato V.S. deduce l’improcedibilità, inammissibilità e irricevibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, vista la mancata impugnazione davanti al competente giudice amministrativo del parere di congruità reso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli; il ricorrente richiama in proposito precedenti pronunce di TAR nonchè di questa Corte.

Il secondo motivo del ricorso dell’avvocato V.S. deduce, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione del diritto di difesa, non avendo egli preso parte all’udienza di prima trattazione, in quanto la data indicata dal giudice per il prosieguo della causa nell’ordinanza del 21 febbraio 2003 (relativa all’istanza ex art. 648 c.p.c.) era quella del “17/4/2002”.

Il terzo motivo del ricorso dell’avvocato V.S. deduce, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, l’infondatezza nel merito delle sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello, avendo i signori M. davanti al Consiglio dell’Ordine di Napoli offerto l’importo di Lire 5.000.000 a saldo di tutta l’attività svolta dal legale (rispetto al già versato acconto di Lire 3.000.000), sicchè essi fino all’inizio della procedura monitoria non avevano mai contestato l’an della richiesta di compenso ma solo il quantum.

Il quarto motivo di ricorso si limita a chiedere la cassazione della sentenza impugnata per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, richiamando la valenza probatoria del parere del Consiglio dell’Ordine quanto all’attività svolta ed alla sussistenza dell’incarico. Anche per questo motivo si citano dal ricorrente le pronunce di alcuni TAR ed una di questa Corte.

2. Tutti e quattro i motivi di ricorso rivelano profili di inammissibilità quanto alla denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacchè tale vizio deve essere dedotto, alla stregua dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate e mediante specifiche argomentazioni intese a dimostrare in quale modo le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie.

3. Quanto alle carenze motivazionali contemporaneamente denunciate, è pregiudiziale l’esame del secondo motivo, il quale si rivela comunque infondato.

La Corte d’Appello di Napoli ha sostenuto che fosse evincibile con l’ordinaria diligenza l’errore materiale contenuto nell’ordinanza resa in data 21 febbraio 2003, a scioglimento della riserva di pronuncia assunta all’udienza del 13 febbraio 2003, e che fissava l’udienza di trattazione per il giorno “17/4/2002”. Aggiunge la Corte di merito che il biglietto di cancelleria relativo alla comunicazione di quell’ordinanza recava la corretta data di rinvio del 17/4/2003 e che il difensore dell’opposto avvocato Viglione, avendo ricevuto con congruo anticipo l’avviso, avrebbe potuto effettuare le dovute verifiche per accertare l’errore materiale.

Ora, è certo che la comunicazione di un’ordinanza pronunciata fuori udienza ha lo scopo di portare a conoscenza delle parti non soltanto il contenuto del provvedimento, ma anche la data della nuova udienza fissata, sicchè ogni omissione al riguardo determina nullità per violazione del principio del contraddittorio (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12296 del 04/12/1997). Allorchè l’ordinanza non preveda l’udienza per il prosieguo, torna applicabile l’art. 289 c.p.c., che prevede l’integrazione dei provvedimenti istruttori che non contengono la fissazione dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali, con il conseguente onere della parte di richiedere al giudice l’integrazione del provvedimento mediante indicazione dell’udienza di prosecuzione della causa.

Tuttavia, ribadendo quanto da questa Corte affermato a proposito dell’indicazione dell’udienza di comparizione nell’atto di citazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13691 del 22/06/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11780 del 19/05/2006), va esclusa ogni violazione del diritto del contraddittorio laddove l’ordinanza resa all’esito di riserva di pronuncia contenga la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio, come nella specie, con data indicante l’anno precedente a quello in cui era stata assunta la riserva stessa (risultando, peraltro, nel biglietto di cancelleria correttamente individuato l’anno in corso ai fini dell’individuazione dell’udienza successiva), in quanto si tratta di errore materiale che non rende talmente incerta la data dell’ulteriore corso del giudizio da impedire alla parte, destinataria della comunicazione, di individuare, con un minimo di diligenza e buon senso, la data che si intendeva effettivamente indicare. La riconoscibilità dell’errata indicazione della data dell’udienza successiva con l’uso dell’ordinaria diligenza è, in ogni caso, oggetto di accertamento demandato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se, come nel caso in esame, sorretto da adeguata motivazione ed immune da vizi logici e giuridici.

4. Primo, terzo e quarto motivo di ricorso (il cui esame congiunto è opportuno per la loro connessione) sono, per il resto, del tutto infondati.

Il consolidato orientamento di questa Corte ha sempre sostenuto che, in tema di compenso per prestazioni professionali, non è affatto vincolante il parere espresso dal Consiglio dell’ordine di appartenenza, le cui funzioni devono intendersi limitate al campo amministrativo, essendo sempre riservato al giudice di sindacare la liquidazione anche nel merito, allorchè sia sorta controversia sulla misura dei compensi. In particolare, nella materia della liquidazione degli onorari degli avvocati, prima della abrogazione delle tariffe professionali ad opera del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, (convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), il parere del competente Consiglio dell’Ordine era volto solo ad attestare la conformità in astratto della parcella alla tariffa, senza vincolo per il giudice circa l’effettività della prestazione. Mentre, perciò, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 636 c.p.c., la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione e impone, quindi, al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, con la conseguenza che il giudice di merito non può assumere come base di calcolo per la determinazione del compenso le esposizioni di detta parcella contestate dal debitore. Spetta, quindi, all’avvocato che agisca per ottenere soddisfacimento di crediti inerenti ad attività asseritamente prestata a favore del cliente, l’onere di dimostrare l’an del credito vantato e l’entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, senza che a tal fine spieghi rilevanza probatoria la parcella predisposta dal professionista nell’ordinario giudizio di cognizione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5884 del 17/03/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3627 del 13/04/1999; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1513 del 19/02/1997).

Peraltro, a dimostrare l’infondatezza del primo motivo di ricorso, va osservato come un conto sia affermare che il parere di congruità sulla liquidazione degli onorari, a norma del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 14, corrisponde ad una funzione istituzionale dell’organo professionale in vista degli interessi degli iscritti e della dignità della professione, nonchè dei diritti degli stessi clienti, e consiste in un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo autoritativo, che modifica la situazione giuridica precedente avendo effetti costitutivi per il richiedente (consentendogli di promuovere la procedura monitoria ex artt. 633 e 636 c.p.c.), e perciò è impugnabile avanti al giudice amministrativo (Cass. Sez. U, Sentenza n. 14812 del 24/06/2009; Cass. Sez. U, Sentenza n. 1874 del 27/01/2009; Cass. Sez. U, Ordinanza n. 6534 del 12/03/2008); altro conto è ricordare pur sempre come il parere del consiglio dell’ordine attesta unicamente la conformità della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova ex se l’effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, giacchè la presunzione di veridicità da cui è assistita la parcella riconosciuta congrua non esclude nè inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5321 del 04/04/2003).

La Corte d’Appello di Napoli, partendo da tali corrette premesse in diritto, e rilevato come D.C. ed m.a. avessero contestato la prestazione in loro favore dell’attività stragiudiziale dedotta dall’avvocato Viglione, ha osservato come la documentazione prodotta convalidasse l’asserto che l’incarico di consulenza per l’acquisto di una casa alle aste giudiziarie era stato conferito dalla D. e dal M. all’avvocato Maria Rosaria Borrelli, moglie dell’avvocato Viglione, al quale era stato invece affidato incarico per una diversa attività giudiziaria. Alcuna consistenza decisiva a fini probatori la Corte di Napoli attribuiva, poi, all’offerta formulata a titolo transattivo. Nel terzo e nel quarto motivo di ricorso si sollecita questa Corte ad una diversa valutazione delle risultanze delle prove, nonchè alla scelta, tra dette risultanze, di altre rispetto a quelle valorizzate dalla Corte d’appello, in quanto ritenute dal ricorrente più idonee a sorreggere la sua tesi difensiva: questi argomenti involgono, tuttavia, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, assegnando prevalenza all’una o all’altra, senza essere tenuto ad esplicitare, per ognuno dei mezzi istruttori acquisiti, le ragioni per cui lo ritenga più o meno rilevante.

5. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore dei controricorrenti D.C., M.A., M.T. e M.P., mentre Ma.An. non ha svolto attività difensive.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2016

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