Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26064 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 26064 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: BIANCHINI BRUNO

SENTENZA
Sul ricorso iscritto al n. r.g.30724/2007 proposto da:

Michele SCHIRO’ ( cf: SCH MHL 27B01 H307K);
rappresentato e difeso dall’avv. Arnaldo Rosania e dall’avv. Vito Mazzarelli; presso
lo studio del secondo elettivamente domiciliato in Roma, alla via Giosuè Carducci
n.4, giusta procura a margine del ricorso
– Ricorrente –

Contro

Antonia DI LUCCHIO ( c.f.: DLC NTN 26A52 H307N1);
Fiorella ARCHETTI ( c.f.: RCH FLL 60E43 H307J)

Entrambe rappresentate e difese dall’avv. Gerardo Di Ciommo ed elettivamente
domiciliate presso lo studio dell’avv. Mario Lacagnina in Roma, via San Tommaso
d’Aquino n. 75, giusta procura in calce al controricorso
– Controd correnti —

Nonché nei confronti di
R~.10.411

/4.

IFTO-T11-4 ARCHETTI (

2AqA (3

1-

Data pubblicazione: 20/11/2013

- Intimata —
contro la sentenza n.259/2007 della Corte di Appello di Potenza; depositata il 1°
agosto 2007; notificata il 29 settembre 2007.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 29 ottobre 2013 dal

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Ignazio Patrone che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1

Michele Schirò, con citazione del febbraio del 1974, convenne innanzi al Tribunale

di Melfi Giovanni Archetti e Antonia ( o Antonietta) Di Lucchio esponendo: che nel
1968 esso attore e l’Archetti avevano acquistato un terreno edificatorio in Rioncro in
Vulture, intestato, di comune accordo, alla Di Lucchio, moglie del convenuto; che su
tale terreno, a spese comuni, avevano edificato un fabbricato, costituito da due garages e
da un appartamento al primo piano; che con successivo accordo del 1970 avevano
stabilito di acquistare altro lotto edificabile, questa volta da intestare allo Schirò, sul
quale sarebbe stato costruito un fabbricato, uguale a quello in precedenza edificato,
sempre a spese comuni; che in detto accordo si era pattuito altresì che se i coniugi
Archetti/ Di Lucchio non avessero osservato le predette pattuizioni e se l’erezione del
secondo fabbricato non fosse stata completata entro due anni ( dall’ottobre del 1970)
allo Schirò sarebbe spettata la metà del primo fabbricato. Dal momento che le parti
convenute non avevano rispettato detti accordi, l’attore chiese che fosse accertata la sua
proprietà sulla metà indivisa dell’immobile in origine edificato e che, su tale
presupposto, ne fosse disposta la divisione.
2 — Si costituì il solo Archetti, resistendo alla domanda , sostenendo: che aveva
acquistato con proprio denaro il secondo terreno in Rionero in Vulturc, contrada
Fontanelle; che lo Schirò aveva affidato i lavori di costruzione senza informarne esso
convenuto e la moglie; che il predetto si era altresì rifiutato a che l’esponente pagasse la

Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

propria parte di spese di edificazione , direttamente a mani dell’appaltatore; che il
fabbricato, una volta ultimato, era risultato di maggior superficie e con diversa
disposizione, rispetto a quello precedente. Reiterava dunque l’offerta di pagare il dovuto
per l’edificazione e, in caso di nuovo rifiuto da parte dell’attore, chiese / in via

costruito dallo Schirò , previo versamento di somma corrispondente a metà del valore.

3 — Il processo venne interrotto per morte dell’Archetti ed in seguito riassunto dalla
moglie e dalle figlie Rossella e Fiorella.

4 — Effettuata una consulenza tecnica di ufficio, l’adito Tribunale, con sentenza n.
352/2003, condannò dette convenute a pagare euro 639,37 ( pari alla metà del prezzo di
acquisto del suolo ove era stato edificato il secondo edificio) nonché curo 3.511,13
(corrispondente alla metà delle spese di costruzione del secondo immobile) oltre
rivalutazione annuale ed interessi di legge.

5 — Detta sentenza fu impugnata dalla Di Lucchio e dalle figlie nonché, in via
incidentale, dallo Schirò; la Corte di Appello di Potenza , pronunziando sentenza n.
259/2007, respinse il gravame incidentale ed accolse solo un motivo di quello
principale, relativo alla ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure
nell’aver condannato le appellanti al pagamento della differenza di valore tra i due
fabbricati nonché la quota del prezzo di acquisto — gravante sulle medesime- del
secondo lotto; il giudice dell’impugnazione confermò invece le altre statuizioni della
gravata decisione, ritenendo che l’accoglimento dell’indicata censura determinasse
l’assorbimento dei restanti mezzi , in quanto riguardanti i criteri di determinazione degli
importi oggetto di
riforma.

6 — Quanto al gravame incidentale — diretto ad ottenere: l’accertamento della
comproprietà sul primo immobile; il risarcimento da mancato godimento sulla metà di
spettanza e l’accoglimento delle domande subordinate di rimborso del 50% del valore

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riconvenzionale, che fosse riconosciuto il proprio diritto alla metà del fabbricato

attuale del primo immobile o la restituzione di tutto il denaro esborsatol a suo tempo
anticipato per la costruzione del fabbricato intestato alla Di Lucchio- , la Corte
territoriale ritenne che la cointestazione del suolo fosse prevista nell’accordo del 1970,
non solo nel caso di inadempimento dell’obbligo di prestare il consenso per acquistare il

nell’ipotesi in cui le dette parti, originarie convenute, non si fossero fatte carico, in
ragione della metà, dell’acquisto del suolo e delle spese di edificazione: ciò posto giudicò
non essenziale il termine di due anni posto nella scrittura del 1970 ( il secondo edificio
venne poi ultimato nel 1974, in corso di causa); quanto poi all’omesso versamento della
quota di spettanza per l’acquisto del suolo e le spese occorrenti all’edificazione , ritenne
la Corte distrettuale che tale obbligo sarebbe stato condizionato alla circostanza che il
secondo edificio fosse esattamente come il primo, così che fossero analoghe anche le
spese per la costruzione di entrambi gli immobili, di tal chè, alla fine , ciascuna parte
avrebbe avuto un immobile identico e dietro esborso della medesima somma; ritenne
inoltre la Corte distrettuale che non si potesse ravvisare, nella condotta delle Di
Lucchio/Archetti, una condotta gravemente inadempiente a’ sensi e per gli effetti
dell’art. 1455 cod. civ.: sia per la maggiore ampiezza del secondo fabbricato, sia per il
maggior prezzo di acquisto del suolo); sia perché, sia pure informalmente, gli originari
convenuti avevano offerto la somma di lire tre milioni di lire ( aggiunta ad un acconto di
lire 400.000), sufficiente a coprire la metà delle spese di costruzione, sia infine per la
gestione esclusiva da parte dello Schirò della costruzione del secondo immobile.

7 Da tali considerazioni la Corte distrettuale trasse il convincimento che non si fossero

realizzate le condizioni per l’acquisizione della comproprietà del primo immobile — in
disparte la novità della relativa domanda contenuta nell’appello incidentale-.

8

Per la cassazione di tale decisione lo Schirò ha proposto ricorso, sulla base di due

motivi di annullamento; le Di Lucchio/Archetti hanno risposto con un controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

secondo lotto e costruirvi un edificio uguale a quello precedente , bensì anche

I — Con il primo motivo viene censurata la erronea interpretazione della scrittura
dell’ottobre 1970 , deducendosi la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1362,
1363, 1366, 1375, 1453, 1454, 1455, 1457 cod. civ. ; è altresì fatto valere il vizio di
insufficiente o contraddittoria motivazione.
Sostiene parte ricorrente che l’interpretazione complessiva delle clausole

contenuta nella scrittura del 21 ottobre 1970 avrebbe dovuto condurre a ritenere che la
comproprietà sul primo immobile fosse già data per accertata dalle parti e che da ciò
sarebbe derivato : a – o la cohtestazione (in caso di inadempimento dell’Archetti e della
moglie o in caso di mancata costruzione del secondo fabbricato nel termine di due
anni); b — o il pagamento della metà del valore del primo fabbricato — pacificamente
riconosciuto di proprietà comune- qualora la seconda costruzione non fosse stata
eseguita per volontà dello stesso Schirò; contesta quest’ultimo ogni diversa
interpretazione delle clausole pattizie — quale quella patrocinata dalla Corte del meritoosservando che sarebbe stato irragionevole ritenere che dalla mancata costruzione / nei
termini previsti/ del secondo fabbricato, per volontà di esso ricorrente, le parti avessero
voluto far derivare, oltre al confermato riconoscimento della comproprietà, anche il
diritto di ottenere la metà del valore del già edificato, invece del solo rimborso
dell’acquisto del secondo lotto, acquistato in comune, e il solo rimborso delle spese
occorse — sopportate da esso deducente per la costruzione del primo immobile-.

I.b- In via di argomentazione subordinata assume il ricorrente che, anche a voler
condividere la premessa interpretativa della Corte territoriale, quel giudicante avrebbe
errato nel ritenere non essenziale il termine entro il quale il secondo fabbricato avrebbe
dovuto essere edificato — atteso il collegamento che le parti avevano pattuito tra la
mancata costruzione tempestiva e la cointestazione ad esso ricorrente del primo
fabbricato; del tutto privo di apporto argomentativo sarebbe stato poi l’assunto che il
termine non poteva dirsi essenziale in quanto non sarebbe risultata la perdita dell’utilità
economica derivante dal contratto in caso di suo superamento, dunque non

I.a —

considerando la perdita derivante da maggiori oneri e dal mutamento delle prescrizioni
del piano regolatore.
I.c – Del pari errando nell’interpretazione delle condotte delle parti la Corte non
avrebbe tenuto conto delle ripetute diffide ad adempiere contenute in missive spedite

deducente all’adempimento nei termini pattuiti ma anche la volontà di trarre delle
conseguenze risolutorie dal mancato rispetto delle obbligazioni di cui alla convenzione.

I.d – Contesta altresì il ricorrente le argomentazioni poste a base della ritenuta non
rilevanza degli inadempimenti dei Di Lucchio/Archetti , sostenendo che la informale
offerta di pagamento di lire tre milioni da parte di costoro sarebbe intervenuta quando
già esso ricorrente aveva manifestato univocamente la propria volontà di ottenere
l’adempimento entro un preciso termine.

I.e – Anche la dedotta esclusiva ingerenza del ricorrente nei lavori di esecuzione del
secondo immobile sarebbe stata circostanza irrilevante, trattandosi di condotta
successiva al già concretato inadempimento delle controparti e che proprio da ciò
sarebbe nata la necessità della propria attività surrogatoria dell’inattività delle stesse.

Il — L’articolato motivo presenta profili di inammissibilità in unione a elementi di
infondatezza.

II.a — Non risponde innanzi tutto al vizio descritto nell’art. 360, I comma n.5 cpc la
descrizione dell’ iter argomentativo seguito dalla Corte di merito e l’accostamento della
diversa interpretazione che il ricorrente trae dai dati di causa, atteso che il mezzo è privo
di un momento esplicativo che chiarifichi dove la motivazione del primo giudice non
avrebbe permesso di ricostruire il proprio percorso logico o dove la stessa avrebbe
trascurato di valutare un elemento determinante, fatto valere dalle parti : in questa
prospettiva manca, nell’esposizione del motivo, il c.d. momento di sintesi che per i vizi
attinenti la motivazione è omologo ai quesiti di diritto — all’epoca sia l’uno che gli altri
imposti dalla vigenza dell’art. 366 cpc-

dal ricorrente alle controparti, dalle quali sarebbe emerso non solo l’interesse del

II.b — Dal momento poi che la violazione delle norme di diritto si incentrava
sull’ermeneutica negoziale, e quindi, sulla valutazione: dei presupposti
dell’inadempimento; della risoluzione per inadempimento; della clausola risolutiva
espressa e del termine essenziale, è del pari mancato un chiaro svolgimento logico di tali

portando all’attenzione nomoftlattica della Corte una specifica interpretazione delle
norme invocate a governo della fattispecie, divergente da quella che si supponeva esser
posta a fondamento della decisione (essendo così formulati: ” 1.1 – Dica la Cassazione se

l’identico evento della mancata costrnione di un fabbricato entro un certo termine, posto dalle parti a
presupposto di conseguenze giuridiche diverse, sia da considerarsi, alla stregua della volontà delle
parti desunta da una doverosa interpretazione complessiva del contratto, produttiva di una delle
conseguenze, alternativamente previste dal contratto, indipendentemente dall’inadempimento della parte
e tale quindi da condurre all’accoglimento della domanda coerente con la conseguenza prevista nel
contratto medesimo, 1.2 — Dica la Corte se il giudice di merito sia tenuto a specificare i dati di fatto dai
quali si debba desumere l’essenzialità o meno di un termine o, con Orimento all’oggetto del negozio, i
dati di fatto dai quali debba desumersi la gravità dell’inadempimento e se tale gravità possa essere
esclusa non sulla base delle reciproche obbligazioni contrattuali ma facendo riferimento ad elementi
estrinseci e, se infine, sia offerta escludente l’inadempimento quella costituita da una somma depositata,
come nella specie, su un libretto intestato allo stesso debitore e senza alcun riferimento alle voci dalle
quali dovrebbe escludersi la congruità della somma depositata”

Il.b.1 – La censura in esame concreta allora una non consentita sollecitazione ad una
diversa interpretazione dei dati di causa e della volontà delle parti tras fusa nell’accordo
del 1970, valutazione questa che rientra nel potere esclusivo del giudice di merito e che,
nella fattispecie, è stata congruamente motivata: non può invero identificarsi l’astratta
possibilità di divergenti interpretazioni sulla direzione della volontà contrattuale delle
parti con la contrarietà a norma ed a regole di logica, quale quella posta a base
dell’impugnata decisione.

vizi nella formulazione dei quesiti di diritto, essendo gli stessi del tutto generici, non

ile quella oggetto di censura)

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II.b.2 – Va anche detto che non corrisponde al dictum della Corte territoriale la non
contestazione della comproprietà sul primo immobile, dacchè quel giudice ebbe a
ritenere assorbite ( e comunque inammissibilmente poste solo in sede di precisazione

primo immobile, esplicitamente negata ( v. fol 8 della sentenza di appello).

III — Con il secondo motivo si assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 112
cpc ; degli artt. 189 cpc e 936, comma II e 4 cod civ.; 1223, 1453 cod. civ. nonché
un’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione laddove la Corte distrettuale
ritenne, a sua volta viziata di ultrapetizione, la pronunzia del Tribunale che aveva
emesso statuizioni di condanna nei confronti dei coniugi Di Lucchio/ Archetti ( per la
ritenuta differenza di valore dei due fabbricati, per il rimborso della quota versata per
l’acquisto del secondo lotto) : si deduce in proposito che vi sarebbe stata
un’accettazione implicita del contraddittorio su tali domande nuove , non avendo le
parti allora convenute eccepito la tardività delle (nuove) richieste.

III.a Del pari erronea, per il ricorrente, sarebbe stata la negazione del rimborso della
metà del valore del suolo, ove era stata eretta la prima costruzione, e del fabbricato,
come pure la condanna alla restituzione di quanto anticipato per il fabbricato intestato
alla Di Lucchio: ciò in virtù delle regole dell’accessione che quei rimborsi ed indennizzi
consentivano.

III.b — Il primo profilo è infondato in quanto la Corte distrettuale ritenne non accettato
il contraddittorio sulle domande nuove rifacendosi ad un condivisibile indirizzo
interpretativo — successivo alle sentenze indicate nel ricorso — secondo il quale per
affermarsi esistente l’accettazione del contraddittorio per facta concludentia questi ultimi
debbono estrinsecarsi in una condotta difensiva incompatibile con la contestazione
della novità della difesa avversaria : tale argomentazione — che è il risultato di una
valutazione del contenuto delle difese delle parti operato dalla Corte del merito
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8

delle conclusioni di appello) quelle domande che presupponevano la comproprietà del

eppertanto non censurabile per violazione di legge e, per il resto, ampiamente motivato
— non ha formato oggetto di rilievo in sede di legittimità; in disparte il profilo di
inammissibilità della censura, laddove, in violazione della specificità del motivo di
ricorso, – anche detto di autosufficienza del medesimo- non riporta il contenuto delle

IV — Il secondo profilo risulta assorbito
V — La disciplina delle spese segue la regola della soccombenza, secondo la liquidazione
esposta in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in curo
5.200,00 di cui 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma il 29 ottobre 2013 , nella camera di consiglio della 2″ Sezione
Civile della Corte di Cassazione.

due contrapposte difese.

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