Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26063 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 15/10/2019), n.26063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25841-2017 proposto da:

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO RECANATI E COLMURANO SOC. COOP. A R.L,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LILIO 95, presso lo studio

dell’avvocato TEODORO CARSILLO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO della Ditta (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Curatore Fallimentare, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato TORRESI BETTY;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 1367/2017 del TRIBUNALE di MACERATA,

depositato il 02/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA

ALDO ANGELO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – La Banca di credito cooperativo di Recanati e Colmurano ha presentato domanda di ammissione in privilegio ipotecario al passivo fallimentare della (OMISSIS) s.r.l., titolando la pretesa in contratto di mutuo fondiario stipulato con la società poi fallita nel corso del 2005.

Il giudice delegato ha negato ingresso alla domanda, “in ragione della mancata allegazione degli estratti di conto corrente dalla data di apertura sino alla chiusura”.

La Banca ha proposito opposizione L. Fall., ex art. 98 e ss. avanti al Tribunale di Macerata. Che la ha respinta con decreto depositato in data 2 ottobre 2017.

2. – Dando seguito a un rilievo della curatela, costituitasi per contrastare l’opposizione all’esclusione, il Tribunale ha rilevato, in particolare, che non risultava raggiunta la prova, di cui era onerata la Banca opponente, che alla stipula del ridetto mutuo fosse effettivamente seguita l’erogazione delle pertinenti somme.

“Il così intestato “atto di erogazione e quietanza” non fornisce prova” al riguardo: “nessuna erogazione con essa è stabilita e comprovata, atteggiandosi lo stesso soltanto a quietanza di (pregressi) pagamenti”. “Inspiegabilmente stipulato oltre quattro anni dopo la stipula del mutuo”, l’atto di quietanza “rappresenta la ricognizione di intervenute clausole che si pongono in contraddizione con le clausole contenute nel contratto di mutuo”. “La Banca omette l’ostensione di assai agevoli (per essa) mezzi di prova storica documentale dell’avvenuta asserita erogazione”: “quali assegni bancari, assegni circolari, accreditamento su conto corrente”; “data la qualità e gli obblighi di legge che gravano sulla parte mutuante”, si deve del resto “escludere che essa abbia provveduto all’erogazione di un milione di Euro attraverso la consegna di banconote”. Se l’erogazione è avvenuta, dunque, le richiamate documentazioni “certamente esistono”: tuttavia, la Banca – “pur espressamente compulsata dalla curatela a fornire la prova dell’erogazione” – “pertinacemente ometteva, sia nella fase della verifica innanzi al giudice delegato, sia nella presente fase… una sì agevole ostensione”; ciò che “rileva senz’altro ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 c.p.c., comma 2”.

3. – Avverso questo provvedimento ricorre la Banca, promuovendo cinque motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, il Fallimento.

Il ricorrente ha anche depositato memoria.

4. – Il primo e il quarto motivo di ricorso sono suscettibili di esame unitario, in ragione della loro complementarietà.

Con il primo motivo, in particolare, si lamenta “violazione e/o falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, laddove il Collegio del Tribunale di Macerata omette di considerare che la curatela, nella fase dinnanzi al giudice delegato, non ha contestato un fatto storico determinante ai fini del decidere, nello specifico l’erogazione delle somme date a mutuo e/o la prova di tale circostanza, bensì ha censurato il credito azionato unicamente sotto il profilo del quantum, tant’è che l’Amministrazione fallimentare, pur riconoscendo l’an della pretesa, ne subordina l’ammissione a una produzione documentale da cui si potrebbe evincere unicamente il quantum medesimo e giammai l’an”.

Con il quarto motivo, si assume “violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 99, comma 7, nonchè del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e del principio del contraddittorio di cui all’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità del decreto e/o del procedimento, laddove il Collegio del Tribunale di Macerata ha ritenuto ammissibili le eccezioni nuove non rilevabili d’ufficio sollevate dalla Curatela unicamente nella fase di opposizione, tali da modificare il thema disputandum, circoscritto dal fallimento stesso nella fase di insinuazione alla sola mancata dimostrazione del quantum”.

5. – Il primo e il quatto motivo non meritano accoglimento.

E’ invero principio acquisito, nella giurisprudenza di questa Corte, che nel giudizio di opposizione allo stato passivo non sussiste un divieto di nuove eccezioni e rilievi per il curatore fallimentare, posta la natura solo sommaria della cognizione di cui alla fase di verifica dei crediti (cfr. Cass., 31 luglio 2017, n. 19003: Cass., 4 giugno 2012, n. 8929).

6. – Il secondo, il terzo e il quinto motivo di ricorso sono da esaminare in modo unitario, posto che gli stessi risultano concernere profili tra loro connessi.

Il secondo motivo assume, in specie, la violazione delle norme degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c.: il decreto, “nel rigettare l’opposizione allo stato passivo, ricostruisce il percorso logico giuridico, dal quale è poi scaturita la motivazione, non ponendo a fondamento della decisione tutte le prove documentali e presuntive proposte dalla parte opponente”.

Il terzo motivo afferma la violazione dell’art. 2697 c.c. “in combinato disposto con l’art. 115 c.p.c.”: il decreto “grava la parte opponente dell’onere di dimostrare l’avvenuta erogazione delle somme date a mutuo e ancora l’avveramento di alcune condizioni afferenti il citato prestito; circostanze queste non censurate nel provvedimento emesso dal giudice delegato, nè tanto meno poste in contestazione dalla curatela tanto nella fase di insinuazione, quanto nella fase di opposizione”.

Il quinto motivo assume violazione della L. Fall., art. 99, comma 11 e art. 111 Cost., in relazione ai vizi di cui al n. 4 e al n. 5 dell’art. 360 c.p.c.: il decreto “non solo omette di valutare singolarmente e di conseguenza in logica sistematica la documentazione probatoria allegata, ma altresì non permette di comprendere il ragionamento logico giuridico sotteso al rigetto dell’opposizione, adducendo una motivazione incomprensibile ovvero una motivazione apparente”.

I detti motivi assumono, nella loro sostanza, che il decreto impugnato ha errato, in quanto ha “incentrato esclusivamente il proprio ragionamento logico-giuridico al solo esame dell’atto di erogazione e quietanza”, così trascurando sia l’ulteriore documentazione messa a disposizione dalla Banca (certificazione ex art. 50 TUB; piano di ammortamento; “riepilogo passaggio in sofferenza”), sia una serie di “fatti di causa decisivi per il giudizio” (“iscrizione ipotecaria per il doppio della somma erogata, i versamenti effettuati dalla Banca nel corso degli anni, il rimborso parziale delle rate mutuo”).

7. – Richiamandosi espressamente al “secondo motivo di ricorso”, nella depositata memoria il ricorrente è venuto a rilevare che l’interpretazione data dal decreto all'”atto di erogazione e quietanza” è “palesemente riduttiva del complesso degli atti contenuti nella dichiarazione”: in realtà, la dichiarazione che vi è riportata “si concreta in due atti, di ricognizione di debito e di promessa di pagamento “titolata”, come tali attestativi dell’obbligazione restitutoria di pagamento”, con conseguente applicazione della regola fissata dalla norma dell’art. 1988 c.c..

8. – Il secondo, il terzo e il quinto motivo di ricorso non meritano di essere accolti.

In proposito, appare opportuno osservare, prima di ogni altra cosa, che la rilevazione della natura di ricognizione di debito e promessa di pagamento, che il ricorrente effettua in sede di memoria – pure assumendone (ma non motivandola in alcuna guisa) la riconducibilità al secondo motivo di ricorso -, verrebbe in ipotesi a dare vita non già a una violazione di legge, quanto casomai a un vizio di omesso esame.

D’altro canto, il ricorrente non trascrive il testo delle dichiarazioni di cui pure assume la rilevanza (nè indica dove il detto rilievo sia stato esplicitato in sede di giudizio di merito), sì che, in proposito, neppure risulta rispettato il principio della necessaria autosufficienza del ricorso ex art. 366 c.p.c. (su questi temi, cfr., ad esempio, Cass., 10 giugno 2014, n. 13054)

Per completezza di esposizione, va aggiunto ancora che/ secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di insinuazione allo stato passivo, la ricognizione di debito avente data certa anteriore al fallimento del suo autore non determina la presunzione dell’esistenza del rapporto fondamentale, trattandosi di documento liberamente apprezzabile dal giudice” (cfr., in specie, Cass., 11 aprile 2019, n. 10215).

9. – Ciò posto, va adesso osservato che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la “questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (così l’ordinanza resa da Cass., 27 dicembre 2016, n. 27000).

D’altro canto, la motivazione svolta dal Tribunale di Macerata non viene a mostrare segni di irragionevolezza o di non plausibilità. Tanto più che questa valutazione si manifesta supportata in modo particolare – come sottolineato in modo pregnante dal decreto impugnato (cfr. la parte finale dell’ultimo capoverso del n. 2) – dall’argomento di prova rappresentato dal contegno processualmente tenuto in concreto dalla Banca: come inteso, qui, a non fare emergere in alcun modo le ragioni per cui essa non veniva a produrre (ovvero non disponeva di) nessuna documentazione che fosse direttamente attinente al fatto materiale dell’erogazione (anche le difese svolte dalla Banca nell’ambito del presente giudizio di legittimità non mostrano, in verità, di dare peso al detto profilo, peraltro di spessore decisamente non secondario nel quadro della motivazione sviluppata dal decreto impugnato).

10. – Quanto poi al vizio di omesso esame di cui al motivo n. 5, va rilevato che il decreto impugnato non manca, in realtà, di occuparsi dei “versamenti effettuati dalla Banca” (: “in disparte il rilievo che neppure dell’esistenza, dell’approvazione e dell’epoca di tali stati di avanzamento l’odierna opponente fornisce la minima prova, va comunque sottolineato che risulterebbe in contrasto pure con siffatta previsione (quanto meno) l’asserito versamento quietanzato di Euro 362.000,00 asseritamente effettuato il 25.7.2005, cioè lo stesso giorno della stipula del contratto di mutuo, ove peraltro di tale consistente asserito anticipo non si fa (con un eufemismo) singolarmente alcuna menzione”).

Il ricorrente non indica, per altro verso, la ragione per cui – in relazione alla prova dell’effettiva erogazione delle somme inerente al mutuo fondiario per cui ha formulato domanda di insinuazione – dovrebbero risultare “fatti decisivi” l’esistenza di una iscrizione ipotecaria a proprio vantaggio ovvero il versamento di somme da parte della società di poi fallita.

11. – Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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