Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26062 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 15/10/2019), n.26062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24567-2017 proposto da:

G.N.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

114/B, presso lo studio dell’avvocato COLETTA SALVATORE,

rappresentato e difeso dall’avvocato APREA MATTIA;

– ricorrente –

contro

A.A., LA RISACCA SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del

liquidatore, T.V., D.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato RIPA MORENA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1802/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA

ALDO ANGELO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – Nel maggio 2010, il socio G.N.E. ha impugnato avanti al Tribunale di Latina la delibera dell’assemblea della s.r.l. La Risacca, che lo aveva revocato dalla carica di amministratore della società. Per resistere all’azione si è costituita la s.r.l. la Risacca, nonchè gli altri soci della stessa, V.T., D.M., A.A..

Con sentenza depositata in data 10 marzo 2014, il Tribunale ha respinto la domanda, ritenendo insussistenti i vizi di illegittimità della delibera che erano stati lamentati che erano stati lamentati

2. – Proposta da N.G. impugnazione avverso tale pronuncia, la Corte di Appello di Roma ha pure dichiarato la legittimità della delibera assembleare in questione.

La sentenza n. 1802/2017, pubblicata il 16 marzo 2017, ha rilevato, in particolare, che non poteva ritenersi illegittima la delibera perchè convocata da parte di taluni soci (rappresentativi di un terzo e oltre del capitale sociale) in luogo diverso da quello dato dalla sede sociale, secondo quanto per contro assunto dall’appellante. “La possibilità che l’assemblea sia tenuta in luogo diverso dalla sede sociale” – ha argomentato la Corte territoriale – “è esplicitamente consentita dallo statuto sociale ai sensi dell’art. 7, comma 2” (a tenore del quale, “le assemblee dei soci sono convocate a cura dell’organo amministrativo anche fuori dalla sede sociale purchè in Italia”).

3. – Avverso la detta pronuncia presenta ricorso N.G., chiedendone la cassazione sulla base di un motivo.

Resistono la società e i soci, con unitario controricorso. Ricorrente e resistenti depositano, inoltre, memorie ex art. 380-bis c.p.c..

4. – Il motivo di ricorso predica “vizio di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 e artt. 2479 e 2479-bis c.c. disciplina delle assemblee di s.r.l. – legittimazione alla convocazione – luogo di convocazione dell’assemblea rapporto tra statuto e disciplina generale di legge – nullità delle delibere assunte in violazione dello statuto e della legge”.

Ad avviso del ricorrente, “l’argomentazione e l’interpretazione del giudice di merito è in netto contrasto con la norma statutaria del La Risacca s.r.l. e della generale disciplina di legge ex artt. 2479 e 2479 bis c.c.”.

“L’art. 7 dello statuto di La Risacca s.r.l. ammette la convocazione fuori dalla sede sociale solo a due condizioni”, nella specie oggettivamente non verificatesi: “che a convocare sia l’organo amministrativo; che l’assemblea si costituisca nella forma totalitaria”.

Ora, “dette ipotesi, in quanto eccezionali deroghe alla disciplina portata dall’art. 2479-bis c.c., vanno interpretate in maniera restrittiva e rigorosa”. Le stesse non possono pertanto essere correttamente estese anche al caso di convocazione diretta da parte dei soci: lo statuto regola solo indirettamente questa eventualità (“la convocazione, la costituzione e la deliberazione delle assemblee… sono regolate dalle disposizioni del codice civile”; così nel comma 1, dell’art. 7), là dove il richiamo alla convocazione in luogo diverso dalla sede sociale è esplicito tanto per la convocazione da parte dell’amministratore, quanto per quella totalitaria.

5. – Il ricorso non merita di essere accolto.

Per esporre nel modo più chiaro i pertinenti rilievi, conviene muovere dalla constatazione che il motivo proposto dal ricorrente si articola in due componenti argomentative.

La prima è che la lettera dello statuto della società consente lo svolgimento dell’assemblea fuori sede solo in due casi: di apposita convocazione da parte dell’amministratore e di assemblea totalitaria. La seconda è che, dal canto suo, la norma dell’art. 2479-bis c.c., comma 3 (“salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo l’assemblea si riunisce presso la sede sociale”) consente solo in via eccezionale la deroga statutaria, anzi imponendo un’interpretazione comunque stretta, ovvero restrittiva, delle clausole di deroga che vengano nel concreto introdotte dall’autonomia statutaria.

Ora, la Corte di Appello romana ha interpretato la clausola dell’art. 7 dello statuto de La Risacca s.r.l. in modo diametralmente opposto a quanto invece divisato dal ricorrente.

Va quindi osservato che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il merito dell’interpretazione delle clausole degli statuti societari non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità. Nè il ricorrente indica, in proposito, un errato uso dei canoni ermeneutici ex art. 1362 c.c. e ss. da parte della sentenza impugnata. Neppure potrebbe ritenersi, ancora, non ragionevole o non plausibile la ricostruzione adottata dalla Corte territoriale (tra l’altro non emergendo ragioni atte a discriminare – in punto di luogo delle riunioni assembleari della s.r.l. la Risacca – tra quelle provocate dai soci e quelle predisposte dall’organo amministrativo).

D’altro canto, va pure notato (con rilievo in sè stesso assorbente) che la norma dell’art. 2479-bis c.c., comma 3, non risulta possedere i profili di eccezionalità che il ricorrente – che peraltro omette di rendere esplicite le ragioni di questo suo convincimento – le assegna come connaturate e quindi in via generale e astratta (a prescindere, dunque, da eventualità specificità e peculiarità che vangano a caratterizzare delle singole fattispecie concrete): non già in punto di ammissibilità delle clausole di deroga alle riunioni assembleari in sede; nè tanto meno in punto di ricostruzione e interpretazione delle clausole di deroga che siano state stipulate dall’autonomia statutaria.

6. – Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 6.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge; con attribuzione al difensore avv. Ripa Morena, dichiaratasi antistataria.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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