Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2606 del 02/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 02/02/2018, (ud. 15/11/2017, dep.02/02/2018),  n. 2606

Fatto

RITENUTO

che la Corte d’Appello di Bologna,con sentenza n. 1060/2010/accoglieva l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza che aveva accolto la domanda di P.C. azionata, nella qualità di erede di V.G. suo ex coniuge deceduto il (OMISSIS), allo scopo di ottenere la pensione di reversibilità ancorchè ella fosse separata con addebito per colpa;

che,secondo la Corte d’Appello, poichè la P. non fruiva di erogazione di alimenti in capo all’ex coniuge ed in suo favore, non poteva rivendicare dopo il decesso di costui l’attivazione di un trattamento previdenziale a suo vantaggio, posto che la pensione di reversibilità non è solo la prosecuzione in favore di terzi del pregresso diritto a pensione dell’avente titolo, ma è la prosecuzione in favore di terzi aventi diritto; nè poteva condividersi l’affermazione del giudice di primo grado che indicava nella prosecuzione di vivenza carico la fonte della riconversione del trattamento medesimo; trattandosi infatti di presunzione essa era vinta da circostanze opposte, come per l’appunto la separazione senza concorso agli alimenti in favore del coniuge cui è stata addebitata la separazione medesima;

che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.C. con un motivo di ricorso nel quale prospetta la violazione e falsa applicazione della L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, della L. n. 153 del 1969, art. 24, dell’art. 433 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) atteso che, secondo la costante giurisprudenza, la pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge in favore del quale il coniuge defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento, ma a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo il trattamento alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurato dalla pensione in titolarità del coniuge defunto;

che l’Inps ha depositato procura ed il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente è vedova separata con addebito – ancorchè sulla base di sentenza non passata in giudicato alla morte del marito – di G.G.B., deceduto il (OMISSIS), e che la sentenza impugnata le ha negato la pensione di reversibilità in quanto non era titolare di assegno di mantenimento all’atto del decesso del coniuge;

che il ricorso è fondato, posto che questa Corte di Cassazione ha già più volte chiarito (cfr., ad es. Cass. 19 marzo 2009 n. 6684, n. 4555 del. 25.2.2009, n. 15516 del 16 ottobre 2003) che a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 1987 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 e della L. 18 agosto 1962, n. 1357, art. 23, comma 4 nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato – tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte;

che in particolare è stato affermato che, dopo la riforma dell’istituto della separazione personale, introdotto dal novellato art. 151 c.c. e la sentenza della Corte Cost. non sia più giustificabile il diniego, al coniuge cui fosse stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli;

che la motivazione del giudice delle leggi, se conduce ad equiparare con sicurezza la separazione per colpa a quella con addebito, non autorizza l’interprete a ritenere che sia residuata una differenza di trattamento per il coniuge superstite separato in ragione del titolo della separazione;

che se è possibile individuare contenuti precettivi ulteriori, essi riguardano esclusivamente il legislatore, autorizzato a disporre che il coniuge separato per colpa o con addebito abbia diritto alla reversibilità ovvero ad una quota, solo nella sussistenza di specifiche condizioni;

che invero, nonostante che la Corte costituzionale, nell’occasione indicata e in altre successive (sentt. nn. 1009 del 1988, 450 del 1989, 346 del 1993 e 284 del 1997) abbia giustificato le proprie pronunce anche con considerazioni legate alla necessità di assicurare la continuità dei mezzi di sostentamento che in caso di bisogno il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornire all’altro coniuge separato per colpa o con addebito, il dispositivo della decisione dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma esaminata non indica condizioni ulteriori, rispetto a quelle valevoli per il coniuge non separato per colpa, ai fini della fruizione della pensione;

che ad ambedue le situazioni è quindi applicabile la L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, il quale non richiede (a differenza che per i figli di età superiore ai diciotto anni, per i genitori superstiti e per i fratelli e sorelle del defunto, etc.), quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità, la vivenza a carico al momento del decesso del coniuge e lo stato di bisogno ma unicamente l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato;

che in definitiva, nella legge citata la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga (anche per il coniuge separato per colpa o con addebito) concreto presupposto e condizione della tutela medesima;

che non essendosi attenuta alla regola indicata, desumibile dalla L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, quale risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità della L. 30 aprile 19659, n. 153, art. 24, la sentenza impugnata va cassata; e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può procedersi alla decisione nel merito, con l’accoglimento della domanda proposta da P.C. nei confronti dell’INPS;

che le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, accoglie la domanda originaria. Condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali dell’intero processo che liquida in complessivi Euro 2500 per il giudizio d’appello di cui Euro 1000 per diritti ed in Euro 2700 per il giudizio di legittimità, di cui 2500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge. Conferma la liquidazione delle spese effettuata dal tribunale per il giudizio di primo grado.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 15 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2018

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