Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26058 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 26058 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA

sul ricorso 30145-2007 proposto da:
A.A.

– ricorrente –

2013

contro

1920

V.V.,

B.B.

G.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MERULANA 234,

Data pubblicazione: 20/11/2013

presso lo studio dell’avvocato BOLOGNA GIULIANO, che
li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PETRINO ALDO;
– controricorrenti non chè contro

avverso la sentenza n.

intimato –

2108/2007 della CORTE

D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/07/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/09/2013 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito

l’Avvocato

Bottai

Enrico

difensore

del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per

l’accoglimento

dei

primi

due

motivi

l’assorbimento del terzo motivo del ricorso.

e

\

B.B.;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
V.V., e B.B.,
proprietari di un fondo rustico sito in Limbiate, concesso in affitto al sig.
Z.Z., e di cui A.A. assumeva di essersi in parte

convenivano in giudizio quest’ultimo innanzi al Tribunale di Milano,
affinché, accertato il loro diritto di proprietà, il convenuto fosse condannato a
restituire il fondo.
Il convenuto resisteva chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento
dell’acquisto della proprietà del bene per usucapione.
Il Tribunale rigettava la domanda principale ed accoglieva quella
riconvenzionale.
Tale sentenza era ribaltata dalla Certe d’appello di Milano, che dichiarava
il diritto di proprietà degli attori, condannando il convenuto a rilasciare in loro
favore il fondo.
Preliminarmente la Corte territoriale riteneva, contrariamente a quanto
opinato dal giudice di prime cure, che la deposizione del teste Z.Z. fosse
ammissibile. Questi, infatti, era stato indicato sia nell’atto introduttivo del
giudizio, sia nella memoria istruttoria del 6.4.2002, anche se con il nome di
Roberto in luogo di Umberto. Tale diversa indicazione era frutto di un
evidente errore materiale, evidenziato dal fatto che il teste era stato dedotto
come figlio del Z.Z. che aveva coltivato il fondo degli attori fino all’anno
1992. E così il teste aveva poi dichiarato, con la sola precisazione che il padre,
a differenza di quanto specificato nel capitolo di prova, si chiamava Y.Y. e

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impossessato usucapendone la proprietà, con citazione notificata il 9.4.2001

non Ernesto, quest’ultimo essendo il nome del nonno, che pure si era
occupato della coltivazione del medesimo terreno in epoca precedente.
Nel merito, giudicava maggiormente attendibili i testi di parte attrice,
mentre non solo alcuni dei testi di parte convenuta risultavano aver avuto a

altrettanto puntuali nell’individuare la porzione di terreno oggetto di
controversia.
Per la cassazione di tale sentenza M.M. propone ricorso,
affidato a tre motivi, successivamente illustrati da memoria.
Resistono con controricorso V.V., B.B..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Col primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e/o falsa

applicazione dell’art. 244 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 (rectius, 4)
c.p.c.
Tanto nell’atto di citazione, quanto nella memoria istruttoria gli attori
avevano indicato a teste Z.Z., senza indicarne residenza, dati
anagrafici o altri elementi d’identificazione. Con la sentenza impugnata,
invece, la Corte d’appello di Milano ha ritenuto ammissibile la deposizione di
U.U., dichiaratosi poi figlio di Y.Y., ritenendo
sufficientemente indicato il teste nel capitolo di prova n. 1) della memoria
istruttoria, lì dove in essa si parla di E.E. e del figlio di lui Z.Z..
Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto ex art. 366-bis c.p.c.
(applicabile ratione temporis alla fattispecie): “dica l’Ecc.ma Corte di
cassazione se vi è violazione e/o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c. nella
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vario titolo rapporti con il A.A., ma le loro deposizioni non erano state

parte in cui prescrive l’indicazione specifica delle persone dia interrogare,
nell’ipotesi in cui viene ammessa, nonostante la tempestiva opposizione
dell’altra parte, la testimonianza di un teste, citato e fatto comparire da una
parte all’udienza di assunzione delle prove, avente lo stesso cognome ma un

elementi di sicura identificazione diretta (residenza e/o data di nascita) o
indiretta (rapporti di parentela); nella specie, se il teste U.U.
possa ritenersi identificato, a norma dell’art. 244 c.p.c., con l’indicazione del
diverso norme Z.Z., e con la qualifica di figlio di
E.E., anziché di Y.Y.”.
2. – Col secondo motivo è dedotta, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.,
l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza
impugnata sulla medesima questione di cui al primo motivo, lamentando che
la Corte territoriale — a prescindere dall’apprezzamento di fatto circa
l’esistenza di un errore materiale della parte attrice nel dedurre il predetto
teste — non avrebbe fornito una compiuta e congrua motivazione della propria
decisione al riguardo.
3. – Il terzo mezzo denuncia l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria
motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c.,
nella parte in cui sono state ritenute inattendibili le deposizioni testimoniali di
parte convenuta, per avere i testi a vario titolo rapporto V.V.
A.A.. Parte ricorrente sostiene che nell’ordinamento non ha riscontro un
giudizio d’inattendibilità testimoniale per l’esistenza di rapporti del teste con
la parte che l’ha indotto, e che pertanto la sua credibilità non può essere
aprioristicamente esclusa.
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diverso prenome da quello indicato nella memoria istruttoria, senza altri

4. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro
complementarietà, sono infondati.
4.1. – In materia di prova testimoniale e, in particolare, di indicazione dei
testi, devono essere bilanciate le contrapposte esigenze processuali della parte

opporre). La prima non sempre è in grado di conoscere il nominativo esatto e
completo del teste, specie se la relativa indicazione non è stata preceduta da
un contatto preliminare (tutt’altro che necessitato e non sempre
raccomandabile dal punto di vista deontologico); la seconda ha diritto di
individuare preventivamente la persona chiamata a deporre per valutarne la
capacità e comunque per predispone al meglio un eventuale controesame.
La necessità di considerare anche l’esigenza della parte che deduce il
mezzo di prova fino a che ciò non pregiudichi il contrapposto interesse della
parte avversa, trova eco nella giurisprudenza di questa Corte lì dove è stata
ritenuta ammissibile l’individuazione indiretta del testimone tramite la
funzione espletata nell’ufficio o nell’ente di cui questi faccia parte, a
condizione che tale modalità di designazione consenta di identificare con
sicurezza la persona, onde consentire all’altra parte, nel rispetto delle regole
del contraddittorio, di individuare il teste di cui l’istante intende avvalersi
(Cass. n. 9159/03). Mentre, nelle controversie soggette al rito lavoristico il
problema si è presentato sotto un altro aspetto, essendosi più volte affermato
che qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto
capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere
del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma
omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale
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che deduce la prova e di quella che vi si oppone (o che vi si potrebbe

omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma
concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere dovere di cui all’art. 421, comma primo, c.p.c. (cfr. per tutte, Cass. n.
17649/10).

dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti,
formulati in articoli separati, sui quali ciascuna deve essere interrogata.
L’introduzione di tale mezzo istruttorio è soggetta ad una formalità
unitaria, composta dall’indicazione di persone e di circostanze di fatto, le une
e le altre destinate a chiarirsi e integrarsi fra loro. Tale formalità di deduzione,
non essendo altrimenti predefinita dal legislatore, deve essere funzionale allo
scopo dell’atto, secondo il principio della nullità a rilevanza variabile che si
enuclea dall’art. 156, 2° comma c.p.c., in base alla quale la nullità può essere
pronunciata quando l’atto manchi dei requisiti di forma-contenuto
indispensabili ai raggiungimento dello scopo.
Lo scopo dell’atto, a sua volta, consiste (non già in una componente interna
ad esso, ma) nel compimento dell’atto processuale successivo. Nello
specifico, pertanto, esso è dato dall’assunzione come teste della persona a ciò
indicata, una volta superato il vaglio di capacità a deporre in relazione al
quale l’altra parte può sollevare le proprie eccezioni. Ne deriva che è inidonea
allo scopo solo l’indicazione del teste che, per insufficienza o per altra causa,
non consenta all’altra parte tale esercizio del diritto di difesa.
Coordinando, dunque, le due regole anzi dette, quella dell’art. 244 c.p.c. e
quella dell’art. 156, 2° comma c.p.c.. si ottiene che il teste deve essere
indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile,
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4.2. – L’art. 244 c.p.c. stabilisce che la prova per testimoni deve essere

e che un’imperfetta o incompleta designazione degli elementi identificativi
(nome, cognome, residenza ecc.) è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa e
al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l’assunzione
come teste di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato,

4.2.1. – Nel caso in esame il teste è stato indicato come Z.Z.,
mentre la persona che ha ricevuto l’intimazione e si è presentata a deporre ha
dichiarato di chidinarsi U.U..
La Corte territoriale ha ritenuto che non sia stato intimato ed escusso un
soggetto diverso da quello indicato, e che il differente nome riportato negli
scritti difensivi di parte attrice  sia stato frutto di
un mero errore materiale, in quanto dal capitolato di prova era chiaro che la
parte deducente aveva inteso chiamare a deporre il figlio di quel sig. Z.Z.
che aveva coltivato il terreno in questione.
La valutazione del fatto processuale operata dalla Corte di merito appare
senz’altro condivisibile, ove si tenga conto di ciò, che il suddetto elemento di
determinazione estrinseca del teste ha consentito, nonostante l’errore sul
nome, di identificare il soggetto e di intimare proprio lui e non altri, tant’è che
la parte odierna ricorrente non ha addotto né in allora né ora che vi fosse altra
persona, collegata ai fatti di causa, che rispondesse al nome di Z.Z..
Nessun rilievo, invece, hanno le ulteriori precisazioni emerse in sede di
esame testimoniale, allorché il teste ha ulteriormente chiarito di essere figlio
di Y.Y. e non di E.E., quest’ultimo essendo il nome del nonno. Si
tratta di puntualizzazioni affatto estranee al tema dell’identificazione o
dell’identità del teste e che rientrano nell’insieme delle risposte che
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così da spiazzare l’aspettativa della controparte.

quest’ultimo ha reso durante il suo esame. Pertanto, ogni considerazione
svolta al riguardo nel motivo d’impugnazione fuoriesce dall’ambito del
dedotto error in procedendo.
5. – Anche il terzo mezzo è infondato.

sé sola non decisiva —di rapporti fra il convenuto e i testi da lui indotti, ma
anche e soprattutto su altra motivazione non attaccata dal motivo in esame,
ossia quella per cui i testi di parte attrice sono stati ritenuti maggiormente
attendibili per la maggiore sicurezza mostrata nell’identificare il fondo e la
porzione di esso che è contesa fra le parti.
E tale apprezzamento di puro merito, di per sé sufficiente e logico, si
sottrae in quanto tale al sindacato di legittimità di questa Corte.
6. – In conclusione il ricorso va respinto.
7. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del
ricorrente.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in

e 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 19.9.2013.

La sentenza impugnata si basa non solo e non tanto sull’esistenza — di per

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