Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26058 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 15/10/2019), n.26058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8182-2017 proposto da:

I.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO

NICOLAI 16/A, presso lo studio dell’avvocato ZELLI NIARCO,

rappresentata e difesa dall’avvocato VOLANTE CLAUDIO;

– ricorrente –

contro

M.M., L.C.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA SCARABELLOTTO 8, presso lo studio dell’avvocato SGARELLA

ENRICO, rappresentati e difesi dall’avvocato PAGANO GIOVANNI;

– controricorrenti –

contro

M.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1669/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 19/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CIGNA

MARIO.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con citazione 7-2-07 I.C. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo, L.C.S., M.M. e M.V. per sentir dichiarare risolto per inadempimento dei convenuti il contratto preliminare di compravendita stipulato tra le parti in data 27-11-2002 (avente ad oggetto un immobile sito in Palermo) e dichiarare legittima la ritenzione della versata caparra (pari a complessivi Euro 131.698,00, di cui Euro 82.311,00 imputabili all’acquisto della nuda proprietà) a fronte del prezzo pattuito di Euro 167.850,00).

A sostegno della domanda espose che i convenuti promissari acquirenti ( L.C.S. e M.M. della nuda proprietà, M.V. dell’usufrutto) non avevano versato l’ulteriore acconto previsto nel preliminare (solo Euro 13.557,00 a fronte della concordata somma di Euro 20.000,00) e non avevano indicato (sebbene formalmente invitati) nei termini previsti il notaio per la stipula del definitivo.

Nel costituirsi L.C.S. e M.M. eccepirono l’inadempimento dell’attrice in quanto l’immobile presentava una irregolarità (chiusura di un terrazzo coperto) non sanata e non dichiarata nel preliminare; spiegarono quindi riconvenzionale tesa ad ottenere la declaratoria di legittimità del loro recesso e la condanna dell’attrice al pagamento del doppio della caparra ;.M.V. precisò di avere versato l’intera quota relativa all’acquisto dell’usufrutto.

Con sentenza 3615/2010 l’adito Tribunale, ritenne provato l’inadempimento dei convenuti per non avere concluso il definitivo ed infondata l’eccezione di inadempimento dell’attrice sollevata dai convenuti; pertanto, in accoglimento della domanda della Ingallina, dichiarò la legittimità del suo recesso dal preliminare nonchè la legittimità della ritenzione della caparra ed ordinò a M.V. di rilasciare l’immobile oggetto del preliminare.

Con sentenza 1669/16 la Corte d’Appello di Palermo, in riforma dell’impugnata sentenza, ha dichiarato la legittimità del recesso operato dagli appellanti L.C.S. e M.M. ed ha condannato I.C. al pagamento, in favore dei detti appellanti, della somma di Euro 164.622,20, pari al doppio della caparra confirmatoria dagli stessi versata, oltre interessi legali; in particolare ha ritenuto non grave, in relazione all’economia complessiva dell’affare, l’inadempimento dei promissari acquirenti, che tra caparra e successivo acconto, avevano versato quasi l’intero prezzo, ed ha attribuito valore preponderante all’inadempimento della promittente venditrice. che al momento della stipula del preliminare, non aveva informato i promissari acquirenti dell’esistenza dell’abuso edilizio, pacificamente esistente.

Avverso detta sentenza I.C. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

L.C.S. e M.M. resistono con controricorso.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, si duole che la Corte territoriale abbia statuito su un fatto decisivo per il giudizio, e cioè sulle irregolarità urbanistiche in seno all’immobile oggetto del preliminare, senza che su tale circostanza i convenuti L.C.S. e M.M. avessero dimostrato alcunchè; erroneamente la Corte aveva ritenuto fatto non contestato l’irregolarità urbanistica (mera esistenza di vetri tra due pareti), atteso che si trattava di fatto di valenza tecnica, che comportava competenze non in possesso delle parti e che non aveva alcuna rilevanza dal punto di vista urbanistico; erroneamente la Corte, con “violazione delle norme sull’interpretazione delle prove” aveva ritenuto che i promittenti acquirenti non fossero stati informati dell’ipotizzato abuso. Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1385 cc., si duole, in subordine, che la Corte abbia applicato nella specie, in cui vi era un inadempimento reciproco, la disposizione di cui all’art. 1385 c.c. sull’obbligo al pagamento del doppio della caparra, relativa al solo caso di inadempimento di una sola parte. Entrambi i motivi, anche in ragione dell’assoluto carattere scarno dell’esposizione del fatto, sono, in via preliminare inammissibili, in quanto, in violazione dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (come interpretato da questa S.C. a partire da Cass. 22303 del 2008 e Cass. sez. unite 28547/2008), evocano in modo del tutto generico allegazioni e risultanze probatorie ed istruttorie, senza fornirne l’indicazione specifica mediante riproduzione del relativo contenuto in via diretta o indiretta, con precisazione della parte corrispondente all’indiretta riproduzione, nonchè senza localizzarle in questo giudizio di legittimità.

In ogni modo, il primo motivo, con il quale ci si duole in sostanza di un vizio motivazionale, è inammissibile anche in quanto non in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario,(fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 21152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass. 29883/2017); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitato (inammissibilmente, per quanto detto) a contestare come sia stato esaminata dalla Corte la circostanza dell’irregolarità urbanistica, lamentandosi della ragione (non contestazione) per la quale la Corte ha ritenuto provato che siffatta irregolarità fosse sussistente e che la stessa non fosse stata comunicata alla controparte.

Il secondo motivo è, in ogni modo, anche infondato.

Come già precisato da questa S.C., invero, “la disciplina dettata dall’art. 1385 c.c., comma 2, in tema di recesso per inadempimento nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga affatto alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente. Pertanto nell’indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio”.

Correttamente, pertanto, nella specie, la Corte ha dapprima proceduto a comparare i reciproci inadempimenti e, poi, nell’esercizio del suo discrezionale potere di valutazione, ha ritenuto quello della promittente venditrice di valore preponderante e, in applicazione della norma di cui all’art. 1385 c.c., ha dichiarato la legittimità del recesso dei promissari acquirenti ed il loro diritto ad ottenere il doppio della versata caparra. In conclusione, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 8.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale. Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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