Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26056 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/11/2020, (ud. 29/10/2020, dep. 17/11/2020), n.26056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Presidente di Sez. –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25183/2019 R.G. proposto da:

P.L., P.C., P.A., da considerarsi,

in difetto di elezione di domicilio in ROMA, per legge domiciliati

ivi in PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato SALVATORE PAGANO;

– ricorrenti –

contro

B.G., B.L., B.R., da considerarsi,

in difetto di elezione di domicilio in ROMA, per legge domiciliate

ivi in PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato ROSARIO COPPOLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 405/2019 del TRIBUNALE di MESSINA, depositata

il 25/02/2019;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 29/10/2020 dal relatore Dott. Franco DE STEFANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

P.A., P.C. e P.L. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 405 del 25/02/2019, con cui il Tribunale di Messina ha respinto la loro opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., al verbale 22/09/2010 dell’ufficiale giudiziario, a conclusione dell’esecuzione per rilascio di immobile ai loro danni intentata da, B.G. e B.L. B.R., fondata sulla contestazione dell’identità del bene concretamente esecutato con quello descritto nel titolo esecutivo azionato (per essere il primo posto al piano terra ed il secondo al piano primo del (OMISSIS), identificato al (OMISSIS), con adiacente terreno di pertinenza);

in particolare, il tribunale ha ritenuto pacificamente riferito, a dispetto del tenore testuale della descrizione, il titolo all’immobile oggetto del processo esecutivo, alla stregua delle risultanze di un’ispezione giudiziale nelle more compiuta e dell’esame degli atti del giudizio di cognizione e della condotta degli esecutati;

resistono con controricorso le esecutanti;

è formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i ricorrenti si dolgono: col primo motivo, di “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione alle disposizioni di cui al combinato disposto dell’art. 2930 c.c., e dell’art. 474 c.p.c.”, di “violazione del requisito di “specificità e certezza del diritto” dell’esecuzione per consegna o rilascio” e di “carenza di motivazione su un fatto decisivo per la decisione oggetto di discussione fra le parti”; col secondo motivo, di “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 91 c.p.c., e del richiamato D.M. n. 55 del 2014, in riferimento alla determinazione delle spese e compensi di causa”, nonchè di “violazione di legge e carenza di motivazione”;

sono però superflui l’esame delta questione di inammissibilità del ricorso per inidonea ottemperanza all’art. 366 c.p.c., n. 6, nonchè l’illustrazione dei singoli motivi, come pure delle articolate repliche ad essi mosse dalle controricorrenti, perchè la peculiarità della vicenda impone di rilevare senz’altro che la domanda non poteva essere proposta;

infatti, la giurisprudenza di questa Corte, consolidata fin da prima della proposizione della domanda definita con la qui gravata sentenza e con principio ribadito anche in tempi successivi, ha escluso in radice l’autonoma impugnabilità degli atti compiuti da qualunque ausiliario del giudice e, tra questi, di quelli dell’Ufficiale giudiziario: essi vanno, invero, sottoposti al controllo del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 60 c.p.c., – o nelle eventualmente diverse, come nel caso dell’art. 591-ter c.p.c., (Cass. ord. 20/01/2011, n. 1335), forme espressamente previste dalla disciplina del singolo tipo di procedimento esecutivo azionato – e solo dopo che il giudice stesso si sia pronunciato sull’istanza dell’interessato sarà possibile opporre il provvedimento, così da questi reso, con le modalità di cui all’art. 617 c.p.c., (sul principio generale: Cass. 21/03/2008, n. 7674; prima, v. già Cass. 12/03/1992, n. 3030; poi: Cass. 30/09/2015, n. 19573; Cass. ord. 12/12/2016, n. 25317; Cass. 06/03/2018, n. 5175);

pertanto, l’opposizione diretta contro il verbale di rilascio redatto dal richiamato Ufficiale giudiziario, in luogo del solo ammissibile reclamo al giudice dell’esecuzione (ormai precluso per il lungo intervallo trascorso e comunque per il tecnico ormai irreversibile esaurimento del processo esecutivo), non poteva essere neppure proposta: ciò che impone di cassare senza rinvio la sentenza che la ha definita, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, secondo periodo, applicabile anche al rito camerale;

a quest’ultimo riguardo si è già statuito che “il procedimento in camera di consiglio presso la Corte di cassazione, previsto dall’art. 375 c.p.c., è ammissibile, nonostante la mancanza di un’espressa previsione, pure in ipotesi di manifesta improseguibilità del processo ex art. 382 c.p.c., comma 3, inducendo a tale conclusione sia ragioni di economia processuale, desumibili dall’interpretazione costituzionalmente orientata della norma secondo il canone della ragionevole durata del processo, sia l’assenza di pregiudizio per il diritto di difesa delle parti, in quanto poste in grado di interloquire preventivamente sulla questione, a seguito della notificazione della relazione con le memorie di cui all’art. 380-bis c.p.c., e la richiesta di audizione in camera di consiglio, sia per l’identità strutturale del vizio di improseguibilità del processo rispetto a quelli, parimenti in rito, per cui è prevista la pronuncia camerale” (Cass. ord. 30/01/2012, n. 1315);

ad analoga conclusione può giungersi anche nel vigore della novella introdotta dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, identici essendone i fini deflattivi e non sussistendo alcuna lesione del diritto di difesa, come evidenziato nel richiamato precedente, pur se relativo alla disciplina anteriore alla detta riforma;

pertanto, si può e si deve già in questa sede pronunciare sul ricorso, in applicazione del seguente principio di diritto: “anche dopo la novella del giudizio di legittimità introdotta dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, è ammissibile la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., pure ove si imponga la necessità di cassare senza rinvio la sentenza gravata ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, secondo periodo, ancorchè si tratti di ipotesi non prevista testualmente dall’art. 375 c.p.c.”;

a tanto consegue la liquidazione delle spese per il grado di merito malamente imposto dagli stessi ricorrenti alle loro controparti per la manifesta contrarietà della loro scelta processuale a consolidati indirizzi; ed in misura che si stima equa come pari a quella già liquidata nella pure cassata sentenza ed in base agli incrementi per pluralità di parti e manifesta fondatezza delle ragioni delle parti virtualmente vittoriose, come pure per la condotta degli opponenti come tratteggiata nei soli atti comunque accessibili direttamente da questa Corte: per tali ragioni infine condividendosi, qui rinnovate e fatte proprie anche da questo Collegio, le relative valutazioni del giudice del merito e disattese le doglianze qui mosse dai ricorrenti e ribadite con la memoria;

segue altresì la condanna dei ricorrenti, sempre tra loro in solido, pure per il presente giudizio di legittimità, in base – a tacer d’altro – al principio di causalità;

tuttavia, non può trovare applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione (Cass. ord. 25/02/2016, n. 3703; Cass. ord. 05/05/2017, n. 10932; Cass. 23/03/2017, n. 7421; Cass. ord. 23/06/2017, n. 15671), per il carattere ufficioso del rilievo dell’originaria improponibilità della domanda: al riguardo non potendo tecnicamente dirsi soccombente la ricorrente e andando interpretata restrittivamente la norma poichè lato sensu sanzionatoria.

P.Q.M.

la corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la gravata sentenza. Condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento, in favore delle controricorrenti e tra loro in solido, delle spese del grado di merito e del giudizio di legittimità, che liquida in rispettivi Euro 7.393,68 ed Euro 3.000,00 per compensi ed esborsi per Euro 200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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