Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26055 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 15/10/2019), n.26055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25726-2017 proposto da:

C.C., A.V., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA A. VESSELLA 30, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PUCCIONI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA

FRANCESCHET;

– ricorrenti –

Contro

N.C., N.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1356/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2013 N.C. e Valeria N. convennero dinanzi al Tribunale di Varese A.V. e C.C., chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza di una aggressione fisica, di cui erano rimasti vittime da parte dei convenuti.

2. I convenuti si costituirono e, assumendo di essere stati loro vittime di un’aggressione da parte degli attori, chiesero in via riconvenzionale la condanna al risarcimento del danno rispettivamente patito in conseguenza della suddetta aggressione.

3. Il Tribunale di Varese con sentenza 20.3.2015 accolse la domanda principale e rigettò quella riconvenzionale.

La Corte d’appello di Milano, adita dai soccombenti, con sentenza 30.3.2017 n. 1356 rigettò il gravame.

Ritenne la Corte d’appello che, mentre era stata dimostrata l’esistenza di un nesso di causa tra le lesioni sofferte dagli attori e la colluttazione da essi avuta con i convenuti, questi ultimi non avevano fornito alcuna prova di avere agito per legittima difesa.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da C.C. in A.V. con ricorso fondato su dieci motivi.

I due intimati non si sono difesi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza impugnata, per aver omesso di pronunciarsi sull’ammissione delle prove testimoniali da essi richieste.

1.2. Il motivo è inammissibile per plurime ed indipendenti ragioni.

In primo luogo, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, i ricorrenti non chiariscono se, dopo il rigetto delle loro istanze istruttorie da parte del giudice di primo grado, essi si dolsero della nullità della relativa ordinanza e quindi se ne dolsero nel precisare le conclusioni in primo grado: il che impedisce di stabilire se la relativa questione fosse ancora prospettabile in grado di appello.

1.3. In secondo luogo, quando il giudice di primo grado rigetti delle istanze istruttorie, chi intenda impugnare la sentenza conclusiva di quel giudizio ha l’onere di prospettare con un motivo di gravame ad hoc tale scelta del primo giudice (eventualmente anche solo prospettando che essa sia stata immotivata), ma non può limitarsi a reiterare le suddette richieste. E nel caso di specie non risulta dal ricorso se, sul punto sopra indicato, sia stato prospettato un motivo di appello ad hoc.

1.4. In terzo luogo, infine, il motivo sarebbe comunque inammissibile per difetto di decisività.

L’omessa pronuncia su un’istanza istruttoria, infatti, in tanto può condurre alla cassazione della sentenza che vi sia incorsa, in quanto possa ritenersi che la prova non ammessa avrebbe potuto, anche solo teoricamente, condurre ad un diverso esito della lite.

Nel caso di specie, invece, le prove orali chieste dagli odierni ricorrenti e trascritte alla p. 10 del ricorso tendevano a dimostrare che, dopo l’aggressione perpetrata ai danni di N.C., gli odierni ricorrenti presentavano contusioni e tachicardia: esse, dunque, non avrebbero consentito di stabilire se le une e l’altra furono davvero causate da un fatto colposo degli originari attori, o se gli odierni ricorrenti se le procurarono picchiando gli attori. La prova, pertanto, anche se ammessa e raccolta con esito conforme ai fatti capitolati, non avrebbe consentito di affermare l’esistenza d’un valido nesso di causa tra una condotta colposa degli originari attori, ed il danno lamentato dagli odierni ricorrenti.

2. Gli ulteriori motivi di ricorso.

2.1. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia, da parte della Corte d’appello, sulla loro istanza volta a sollecitare la nomina di un consulente tecnico d’ufficio perchè chiarisse la compatibilità tra le lesioni tesi patite e la condotta ascritta alle controparti.

2.2. Il motivo è manifestamente inammissibile, in quanto la scelta di nominare o non nominare un consulente tecnico d’ufficio è riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, e non è sindacabile in sede di legittimità.

2.3. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano sia il vizio di violazione di legge, sia l’error in procedendo, sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

Sostengono che la Corte d’appello avrebbe “palesemente violato” i principi costituzionali di uguaglianza, diritto di difesa e giusto processo, non ammettendo le prove orali e la consulenza tecnica da essi richiesta.

2.4. Il motivo è manifestamente inammissibile per le medesime ragioni già indicate con riferimento al primo ed al secondo motivo di ricorso.

2.5. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente.

Con essi i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare un documento da essi prodotto in primo grado, ed in particolare una richiesta inviata agli odierni ricorrenti dall’INPS, con la quale l’ente previdenziale manifestava l’intenzione di volersi surrogare nei confronti degli odierni ricorrenti per le somme erogate a N.C. in conseguenza delle lesioni patite per i fatti sopra descritti.

Deducono i ricorrenti che, sulla base di quel documento, la liquidazione del danno in favore di N.C. si sarebbe dovuta compiere previo defalco dal credito risarcitorio delle somme che la vittima percepì dall’ente previdenziale.

2.6. Nella parte in cui lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo il motivo è inammissibile.

Infatti, essendovi state due decisioni conformi nei gradi di merito, non è consentito in questa sede invocare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, giusta la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5. Tale norma, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134), giusta la previsione del D.L. cit., art. 54, comma 2, si applica ai ricorsi avverso sentenze pronunciate all’esito di giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’1 1 settembre 2012 (così già Sez. 5 -, Ordinanza n. 11439 del 11/05/2018, Rv. 648075 – 01): e nel caso di specie il giudizio di appello è iniziato nel 2015, dunque molto dopo l’introduzione della novella codicistica suddetta.

2.7. In ogni caso il motivo sarebbe stato comunque infondato, dal momento che il giudice di merito condannò gli odierni ricorrenti al risarcimento in favore di N.C. del danno non patrimoniale, pregiudizio che non forma oggetto di copertura assicurativa da parte dell’INPS, e rispetto al quale pertanto gli odierni ricorrenti non avrebbero potuto invocare il principio della compensatio lucri cum damno, così come ancora di recente stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U -, Sentenza n. 12566 del 22/05/2018, Rv. 648649 – 01, in motivazione).

2.8. Col sesto e col settimo motivo i ricorrenti censurano il modo in cui il giudice di merito ha valutato la prova testimoniale.

2.9. Essi sono manifestamente inammissibili, in quanto cozzano contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

2.10. Con l’ottavo motivo i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello, violando gli artt. 2043 e 2697 c.c., abbia accolto la domanda formulata da N.V., nonostante questa non avesse dimostrato d’aver subito nè ingiurie, nè minacce, nè lesioni personali da parte dei ricorrenti.

Anche questo motivo è manifestamente inammissibile, in quanto lo stabilire se una persona sia stata o non sia stata ingiuriata, minacciata o percossa è un accertamento di fatto, non certo una valutazione in diritto, e come tale è riservata al giudice di merito ed esula dal perimetro del sindacato di legittimità.

2.11. Con il nono e con il decimo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente un danno non patrimoniale patito dagli originari attori, e nella parte in cui ne ha fissato la stima.

Ambedue i motivi sono manifestamente inammissibili, in quanto la liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. è riservata alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ed è anch’essa insindacabile in sede di legittimità.

3. Le spese.

Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di C.C. e A.V., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA