Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26054 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 15/10/2019), n.26054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25066-2017 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE DELLE

GIOIE, 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA VALENSISE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIO CARACCIOLO;

– ricorrente –

contro

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore speciale pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38,

presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

G.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 243/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 20/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data non precisata nè nel ricorso, nè nella sentenza impugnata, nè nel controricorso, S.S., all’epoca dei fatti minorenne, rappresentato dal padre S.G., convenne dinanzi al Tribunale di Locri la propria madre G.C. e la società Levante Norditalia s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in Amissima Assicurazioni s.p.a.; d’ora innanzi, sempre e comunque, “la Amissima”), esponendo che:

-) il 10.7.2000 era trasportato su un autocarro di proprietà della madre e condotto dal padre, assicurato contro i rischi della r.c.a. dalla Amissima;

-) a causa dell’improvvisa apertura dello sportello mentre l’autocarro era in marcia, cadde dall’abitacolo sull’asfalto, riportando lesioni guarite con gravi postumi permanenti.

Chiese perciò la condanna dei convenuti in solido al risarcimento del danno.

2. La Amissima si costituì negando che il minore si fosse procurato le lesioni sopra descritte in conseguenza del sinistro dedotto nell’atto di citazione.

3. Il Tribunale di Locri, dopo aver ravvisato un conflitto di interessi potenziale fra il minore il suo rappresentante legale, ed avere per tale ragione fissato un termine affinchè il primo si munisse di un procuratore speciale (le cui vesti furono assunte da tale St.Ag.), con sentenza 11 gennaio 2006, n. 33, rigettò la domanda.

Ritenne il Tribunale non esservi prova che lo sportello dell’autocarro si fosse aperto per difetto di manutenzione o costruzione; e che in ogni caso il minore aveva causato a se stesso il danno sofferto, non allacciando le cinture di sicurezza.

La sentenza venne impugnata dal soccombente.

4. Con sentenza 20 aprile 2017 n. 243 la Corte d’appello di Reggio Calabria rigettò il gravame.

La Corte d’appello ritenne che “indipendentemente dall’accertamento della responsabilità dei convenuti”, la domanda andava rigettata per mancanza “della prova dell’entità del danno subita dal minore”.

La Corte d’appello motivò tale decisione osservando che:

-) in grado di appello il danneggiato non aveva formulato nessuna istanza istruttoria tesa all’accertamento dell’entità delle lesioni subite;

-) la documentazione medica prodotta dall’attore era stata contestata dalla controparte e non era comunque esaustiva in ordine all’entità delle lesioni e alle conseguenze invalidanti.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.S., con ricorso fondato su tre motivi.

La Amissima ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivi di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2699 e 2700 c.p.c..

Afferma che la Corte d’appello ha ritenuto inutilizzabili, ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un danno alla salute, i documenti da lui prodotti, “perchè documenti di parte”, trascurando di considerare che tra i suddetti documenti erano comprese le cartelle cliniche rilasciate da ospedali pubblici dove il ricorrente era stato ricoverato, e che in quanto tali quei documenti avevano l’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico.

1.2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c..

Afferma che in primo grado la società convenuta non aveva contestato espressamente i contenuti della consulenza tecnica medico-legale di parte prodotta dall’attore, ma si era limitata unicamente a contestare il quantum monetario del risarcimento da quest’ultimo preteso.

La Corte d’appello, pertanto, avrebbe dovuto dare per ammesso il grado di invalidità permanente indicato dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio.

1.3. Col terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1226 e 2056 c.p.c..

Il motivo censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento del danno alla salute senza previamente disporre una consulenza tecnica medico-legale d’ufficio.

Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello, una volta ritenuta insufficiente la documentazione clinica prodotta dall’attore, non avrebbe potuto rigettare la domanda, ma avrebbe dovuto nominare un consulente tecnico d’ufficio per stimare l’entità delle lesioni; che la richiesta formulata in appello di accoglimento della domanda risarcitoria rigettata in primo grado “implicava ovviamente anche la domanda di ammissione delle richieste istruttorie formulate in quella sede”; che in ogni caso la Corte d’appello poteva disporre d’ufficio una consulenza tecnica, senza necessità di alcuna istanza di parte in tal senso.

2. Inammissibilità del ricorso.

2.1. Ritiene il Collegio, in dissenso rispetto alla proposta formulata ex art. 380 bis c.p.c. dal consigliere relatore, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto tutti e tre i motivi non sono rispettosi dei precetti dettati dall’art. 366 c.p.c., n. 6, per come interpretato dalla costante giurisprudenza di questa Corte.

2.2. Il primo motivo, infatti, non riassume, nè trascrive, i documenti la cui efficacia probatoria si assume malamente considerata dalla Corte d’appello; nè, tantomeno, indica in quale fase processuale siano stati prodotti, dove si trovino allegati e con quale indicizzazione.

Il motivo, inoltre, è privo della specificità richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte per qualsiasi impugnazione proposta in sede di legittimità, specificità che deve articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo, mentre nel caso di specie il motivo non spiega perchè mai sarebbero stati violati dalla Corte d’appello gli artt. 2699 e 2700 c.c. (così già Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005, nonchè, in seguito, Sez. U -, Sentenza n. 7074 del 20/03/2017).

2.3. Il secondo motivo, oltre che generico al pari del primo, è anch’esso inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6: il ricorrente, infatti, non trascrive nè riassume i termini in cui la società convenuta, in primo grado, prese posizione sulle allegazioni attoree circa il grado di invalidità permanente residuato all’infortunio.

2.4. Il terzo motivo, infine, è anch’esso La Corte d’appello, in buona sostanza, ha ritenuto che:

(a) la richiesta di consulenza “non fii accolta” in primo grado (così la sentenza impugnata, p. 3, ultimo rigo), e tale decisione non fu censurata in grado di appello;

(b) in ogni grado, non vi erano prove sufficienti per disporre una c.t.u., dal momento che i documenti in atti non erano “esaustivi”.

Per impugnare validamente una decisione di questo tipo, e cioè in modo rispettoso dell’art. 366 c.p.c., n. 6, il ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto indicare in quale atto ed in quali termini aveva formulato la istanza di c.t.u. in primo grado; avrebbe dovuto indicare per quali ragioni tale richiesta fu rigettata (oppure se fu rigettata immotivatamente); avrebbe, infine, dovuto precisare se la sentenza di primo grado rigettò davvero la istanza di c.t.u., oppure se quella istanza fu ritenuta assorbita (giacchè dall’una piuttosto che dall’altra eventualità sarebbe discesa, nel primo caso, la necessità di proporre un motivo d’appello, e nel secondo caso, di reiterare l’istanza).

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità possono essere interamente compensate tra le parti, in considerazione della oggettiva non immediata percepibilità della motivazione della sentenza d’appello, la quale potrebbe aver indotto in errore il ricorrente circa la fondatezza della propria pretesa.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.S. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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