Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26051 del 20/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 26051 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MANNA ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 27223-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587,
in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA,
DE ROSE EMANUELE, STUMPO VINCENZO, TRIOLO VINCENZO giusta
mandato speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro
SCIRTUICCHIO LAURA;
– intimata –

20GB
.A3

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Data pubblicazione: 20/11/2013

R.G. n. 27223/11
Ud. 10.10.13
INPS c. Scirtuicchio

avverso la sentenza n. 5889/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI del 16/11/2010,
depositata il 09/12/2010;

Consigliere Relatore Dott. ANTONIO MANNA;
udito l’Avvocato Antonietta Coretti difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso come
da relazione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE
I – II consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c. ha depositato la seguente relazione
ai sensi degli artt. 380-bis e 375 c.p.c.:
cc

1. – Con ricorso al Tribunale di Bari Laura Scirtuicchio, operaia agricola a tempo determinato,
conveniva in giudizio l ‘INPS chiedendo che venisse accertato il proprio diritto alla liquidazione
d’un maggior importo di trattamento di disoccupazione agricola che includesse, nella relativa base
di calcolo, anche la voce denominata “quota di TFR”.
La Corte d’appello di Bari, con pronuncia n. 5889/10, rigettava l’appello dell’INPS contro al
sentenza di prime cure che aveva accolto la domanda di riliquidazione del trattamento di
disoccupazione agricola per l’anno 2002, con inclusione nella base di calcolo della quota di TFR.
2. — Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale ricorre 1 ‘INPS, affidandosi a tre
motivi.
2.1. — Parte intimata è rimasta tale.
3. — Con il primo motivo di ricorso l ‘INPS si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 47
d.P.R. n. 639/70, nel testo risultante dalle successive modifiche, per avere la Corte territoriale
negato l ‘applicabilità del regime di decadenza in esso previsto alle domande di riliquidazione di
prestazioni previdenziali già riconosciute.
3.1. — Con il secondo e il terzo motivo di ricorso l’istituto lamenta violazione dell ‘art. 18 co. 18,
di n. 98/2011, convertito con modificazioni in legge n. 111/2011, nonché degli artt. 46, 51 e 55 del
CCNL operai agricoli e florovivaisti del 10.7.2002 in relazione all ‘art. 6, co. 4, lett. a), d.lgs. n.

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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2013 dal

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314/97, e all’art. 3 di. 14.6.96 n. 318, convertito in legge 29.7.96 n. 402, nonché in relazione agli
artt. 1362 e ss. c.c., 2120 c.c. e all’art. 4, commi 10 e 11, legge n. 297/82, censurando la sentenza

disoccupazione agricola, anche la voce denominata “quota di TFR”.
4. — Il primo motivo di ricorso è infondato.
Si premetta che l’originario testo dell’art. 47 d.P.R. 30.4.70 n. 639 stabiliva quanto segue:
“Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi all’autorità
giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod. proc. civ.. L’azione giudiziaria può essere proposta
entro il termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso
pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la
pronunzia della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti
pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date di cui al
precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a carico dell’assicurazione
contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria”.
Tali termini erano stati ritenuti dalle S. U. di questa S.C. (Cass. S. U. 21.6.90 n. 6245) di
decadenza, di tipo peraltro procedimentale, vale a dire finalizzata unicamente a delimitare
l’efficacia temporale della condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, rappresentata
dall ‘attivazione e dall’esaurimento del procedimento amministrativo.
Col successivo art. 6 di. 29.3.91 n. 103, convertito con modificazioni in legge 1°.6.91 n. 166,
ritenuto da Corte Cost. n. 246/92 di interpretazione autentica del cit. art. 47, venne poi stabilito:
“1 – I termini previsti dal D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, commi 2 e 3 sono posti a pena
di decadenza per l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. la decadenza determina
l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della
relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini
decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2 – Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano
ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Successivamente, con l’art. 4 d.l. 19.9.92 n. 384, i commi 2 e 3 del cit. art. 47 sono stati sostituiti
dai seguenti:
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per avere incluso, nella retribuzione da prendere a base per la liquidazione dell’indennità di

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“Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione giudiziaria può essere
proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della

termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei
termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla
data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di prestazioni
della gestione di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 24 l’azione giudiziaria può essere proposta, a
pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma”.
L’art. 4, u.c. ha poi stabilito che le disposizioni indicate “non si applicano ai procedimenti
istaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla
medesima data”.
Infine, l’art. 38 co. 1, lett. d), del d.l. 6.7.2011 n. 98, convertito in legge n. 111/2011, ha
aggiunto al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: “Le decadenze previste dai commi
che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di
prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine
di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della
sorte”, precisando al quarto comma che “le disposizioni di cui al comma 1, lett c) e d) si
applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente
decreto”.
Tale essendo il quadro di riferimento normativo, da ultimo la giurisprudenza (cfr., ad es., Cass.
20.1.2010 n. 948 e 26.1.2010 n. 1580), sulla base di Cass. S. U. 29.5.09 n. 12720, che ribadisce le
tesi della precedente Cass. S.0 18.7.96 n. 6491) era, per quanto qui interessa e fino alla citata
recente novella del 2011, nel senso dell ‘inapplicabilità della decadenza alle domande di
adeguamento di prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente dall’ente
previdenziale.
La cit. sentenza del 29.5.2009 n. 12720 aveva affermato che “La decadenza di cui al D.P.R. 30
aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito,
con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in
cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestazione previdenziale in sè considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già
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decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del

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riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto
previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne

sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.
La questione era stata nuovamente rimessa dalla Sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria
18.1.2011 n. 1071, alle S. U, sulla base del rilievo che l’interpretazione prevalente non appariva
giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle finalità della norma, riguardante ogni
tipo di azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle S. U. della Corte e la data
dell’udienza avanti a queste ultime, la citata novella di cui all’art. 38 comma 1, lett. d), d. i.
6.7.2011 n. 98, è stata quindi disposta la restituzione degli atti alla Sezione lavoro, in
considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito di investire della questione
le S. U, alla luce della valutazione dell’eventuale incidenza delle norme di legge citate
sull’interpretazione dell’art. 47 vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina, esprimendo il proposito del
legislatore di modificare in materia, con una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente,
quale consolidatasi per effetto delle pronuncia delle S. U. del 2009, conferma indirettamente la
corrispondenza di quest’ultima all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla
novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle S. U. della Corte e l’indiretta conferma
della sua correttezza proveniente dallo stesso legislatore militano, in definitiva, per
l’inapplicabilità del cit. art. 47, prima delle integrazioni apportate dall’art. 38 d.l. n. 98/2011,
all’ipotesi di richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente riconosciute
e liquidate dall’ente previdenziale.
In tal senso si è da ultimo pronunciata questa S.C. (v. sentenze 8.5.12 n. 6959, 9.5.12 nn. 7083,
7084, 7085, 7086, 7087, 7088, 7089, 7090, 7095, 10.5.12 nn. 7123, 7124 ed altre ancora).
4.1. — Il secondo e il terzo motivo di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perché connessi sono manifestamente fondati, alla stregua della ormai consolidata giurisprudenza di questa S. C.
(v., da ultimo, Cass. n. 202/2011 e numerose altre conformi alla precedente sentenza n. 10546/07),
secondo cui, ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di

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abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non

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retribuzione definita dalla contrattazione collettiva da porre a confronto con il salario medio
convenzionale, ex art. 4 d.lgs. n. 146/97, non comprende il trattamento di fine rapporto.

di TFR” dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991 va esclusa dal computo
dell ‘indennità di disoccupazione, in ragione della volontà espressa dalle parti stipulanti, volontà
che è vietato disattendere ai sensi dell’art. 3 d.l. 14.6.96 n. 318, convertito con modificazioni in
legge 29.7.96 n. 402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base
agli accordi collettivi non può essere individuata in difformità rispetto a quanto definito negli
accordi stessi.
4.2. — La summenzionata giurisprudenza di questa S.C. ha, poi, trovato esplicito avallo nel d.l.
6.7.2011 n. 98, convertito, con modifìcazioni, in legge 15.7.2011 n. 111, contenente all’art. 18,
comma 18, una norma di interpretazione autentica dell’art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146, in forza del
quale detta previsione normativa si interpreta nel senso che la retribuzione utile per il calcolo delle
prestazioni temporanee in favore degli operai agricoli a tempo determinato non è comprensiva
della voce relativa al trattamento di fine rapporto, comunque denominato dalla contrattazione
collettiva.
5. – Per tutto quanto sopra considerato, si
PROPONE
l’accoglimento, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 n. 5 c.p.c., del secondo e del terzo motivo di
ricorso e il rigetto del primo.”
11 – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore siano del tutto condivisibili,
siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia. Ricorre con ogni evidenza
il presupposto dell’art. 375 n. 5 c.p.c. per la definizione camerale del processo.
III – Conseguentemente, il primo motivo di ricorso va rigettato, mentre meritano accoglimento il
secondo e il terzo. Conseguentemente, si cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti.
Decidendo nel merito ex art. 384 co. 2° c.p.c. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
la Corte rigetta la domanda di inclusione della quota di TFR nella base di calcolo del trattamento di
disoccupazione agricola.
IV – Le spese dell’intero processo si compensano per intero fra le parti, attesa la problematicità
della materia del contendere.
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4.1. — Tale principio merita di essere ribadito anche in questa sede. La voce denominata “quota

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P. Q. M.
La Corte

relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di inclusione della quota di
TFR nella base di calcolo del trattamento di disoccupazione agricola. Compensa fra le parti le spese
dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10.10.13.

rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata in

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