Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2605 del 03/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 03/02/2011), n.2605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. (nuova denominazione della Fiat Auto

S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso

lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati DIRUTIGLIANO DIEGO, BONAMICO FRANCO,

TOSI PAOLO, COMBA ANDREA, UBERTI ANDREA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.F.;

– intimata –

sul ricorso 22291-2007 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 50,

presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati VACIRCA SERGIO, BONETTO SERGIO, POLI

ELENA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. (nuova denominazione della Fiat Auto

S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso

lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati DIRUTIGLIANO DIEGO, BONAMICO FRANCO,

TOSI PAOLO, COMBA ANDREA, UBERTI ANDREA, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 837/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/06/2006, R.G.N. 1441/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;

udito gli Avvocati COSSU BRUNO e VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7-4/27-5-2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Torino accogliendo il ricorso presentato da M.F. nei confronti della datrice di lavoro, FIAT AUTO s.p.a., dichiarava illegittimo il collocamento in CIGS della ricorrente per l’intero periodo (9-12-2002/30-11-2003) e condannava la convenuta al pagamento delle differenze fra quanto percepito e quanto spettante come retribuzione normale nonchè al pagamento delle spese.

La società proponeva appello avverso la detta decisione, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

L’appellata si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 28-6-2006, respingeva l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale affermava che, pur dovendosi ritenere che il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 comma 5, avesse abrogato il disposto della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, che prevedeva l’obbligo di esplicitazione, nella comunicazione di apertura della procedura, dei “criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonchè le modalità della rotazione”, non imponendo la legge alcun comportamento ulteriore rispetto all’obbligo di discutere di tali criteri in sede di esame congiunto, nondimeno, nel caso, l’esame dei verbali delle riunioni delle parti sociali non offriva alcuna indicazione circa l’esame in concreto dei criteri di scelta e, quindi, circa il contenuto di tali criteri, nè circa le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione.

Per la cassazione di tale sentenza la FIAT GROUP AUTOMOBILES s.p.a.

ha proposto ricorso con otto motivi, corredati dai quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., che va applicato nella fattispecie ratione temporis.

La M. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato con un unico motivo.

La società, dal canto suo, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale della lavoratrice.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la società lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, deducendo che la Corte territoriale ha erroneamente supposto che la norma indicata, nel disciplinare l’esame congiunto, abbia imposto un requisito di forma scritta, ad substantiam o ad probationem, ed ha, pertanto, illegittimamente ritenuto inammissibili le prove testimoniali articolate in ordine al contenuto dell’esame svolto.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, la società lamenta violazione del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, nonchè dell’art. 2697 c.c., oltre che vizio di motivazione, deducendo che l’azienda non si era mai sottratta al confronto con le parti sociali e che solo la esclusiva valorizzazione del dato formale aveva indotto la Corte di merito ad escludere l’ammissibilità della prova testimoniale e a non valutare gli elementi indiziari desumibili dalla documentazione prodotta.

Con il terzo motivo, prospettando violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 e agli artt. 1325 e 2697 c.c.) la società si duole che, nonostante il silenzio del legislatore e, comunque, l’incertezza del dato testuale, i giudici di appello hanno introdotto, con riferimento alle ragioni ostative alla rotazione, un requisito di forma scritta ad substantiam non prescritto dalla legge, erroneamente ritenendo inammissibili le prove testimoniali sul punto formulate.

Con il quarto motivo la società denuncia violazione del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 e dell’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, quanto all’indicazione delle ragioni ostative alla rotazione, anche in relazione alla documentazione depositata, attestante la comunicazione e la discussione intervenuta al riguardo, non esaminata dalla Corte di merito.

Con il quinto motivo la società censura ancora la sentenza impugnata per violazione di legge (art. 360, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2) deducendo che i giudici di appello hanno trascurato di considerare che le ragioni ostative alla rotazione non erano, per definizione, assolute ed immodificabili, ma contingenti e mutevoli, per cui l’azienda del tutto legittimamente aveva modificato le proprie originarie determinazioni al riguardo.

Con il sesto motivo la società lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ed ancora del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, nonchè vizio di motivazione, in relazione al verbale del Ministero del lavoro del 5-12-2002.

In particolare la società rileva che erroneamente la Corte territoriale ha omesso di considerare il valore probatorio da attribuire al detto verbale con il quale il Ministero del lavoro aveva certificato la regolarità della procedura svoltasi.

Con il settimo motivo la società denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 1362 c.c., comma 2, nonchè vizio di motivazione, in relazione alla regolare stipulazione degli accordi sindacali 18-3- 2003 e 22-7-2003.

In particolare la società rileva che la Corte territoriale aveva erroneamente escluso l’efficacia sanante degli accordi citati, anche sulla base di una pretesa invalidità degli stessi, facendo propria una visione formalistica intesa a privilegiare la omessa formale convocazione delle r.s.u., piuttosto che la effettiva volontà della maggioranza delle r.s.u. medesime, in ossequio ai principi di buona fede e correttezza nonchè della libertà delle forme e del legittimo affidamento, considerato anche il comportamento successivo delle parti.

Con l’ottavo motivo, infine la società lamenta violazione del D.P.R. n. 218 del 2000, nonchè vizio di motivazione, in relazione alla posizione soggettiva della lavoratrice collocata in c.i.g.s..

Al riguardo la società rileva che la impugnata sentenza si è limitata ad una astratta valutazione della legittimità della procedura, senza valutare la specifica posizione soggettiva della parte intimata.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denunciando violazione della L. n. 59 del 1997, art. 20, in relazione alla L. n. 164 del 1975, art. 5, L. n. 223 del 1991, art. 1 e D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, la controricorrente ripropone le difese svolte nel precedente grado, e non esaminate dalla Corte territoriale, relative alla persistente vigenza degli obblighi procedimentali previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000.

Ciò posto, preliminarmente va rigettata la richiesta, da ultimo avanzata dalla controricorrente con la memoria ex art. 378 c.p.c., di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale per l’intervenuta definizione del procedimento di repressione della condotta antisindacale, promosso dalle oo.ss. nei confronti della FIAT, per violazione degli oneri di informazione strumentali all’applicazione della c.i.g.s..

La difesa della controricorrente ha richiamato le sentenze di questa Corte n. 13240 del 9-6-2009 e n. 15393 dell’1-7-2009 che hanno rigettato il ricorso proposto dalla FIAT per la cassazione della sentenza di appello che aveva ritenuto sussistente il comportamento antisindacale e dichiarato l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione adottati a seguito della procedura avviata con la comunicazione del 31-10-2002.

Da queste sentenze deriverebbero le seguenti conseguenze giuridiche:

a) il comportamento antisindacale da luogo ad un comportamento plurioffensivo e la rimozione dei suoi effetti comporta l’adozione di provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro dei singoli lavoratori;

b) l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, è configurabile come una particolare fattispecie di obbligazione solidale attiva e/o indivisibile, di modo che le pronunce in questione, intervenute tra FIAT e le oo.ss., possono essere fatte valere ai sensi dell’art. 1306 c.c. da tutti gli altri creditori (in questo caso i lavoratori) contro il debitore;

c) ai sensi dell’art. 2909 c.c., sul presupposto che l’espressione che “il giudicato fa stato fra le parti” possa essere letta nel senso che “il giudicato fa stato nei confronti delle parti”, gli effetti delle sentenze potrebbero estendersi nei confronti della parte controricorrente.

Rileva, nondimeno, il Collegio che – ferma restando la conoscibilità dei precedenti di questa Corte con la memoria ex art. 378 c.p.c. possono essere solo illustrate questioni già trattate nel ricorso e nel controricorso e non possono essere dedotte questioni di diritto nuove, seppure sotto la forma dell’eccezione di inammissibilità del ricorso. Conseguentemente, le questioni sub a) e b), del tutto estranee al presente giudizio di legittimità, non possono essere prese in considerazione.

Con la questione sub c) si deduce, invece, nella sostanza l’esistenza del giudicato esterno di cui si chiede l’affermazione anche tra le parti. Il giudicato è, tuttavia, insussistente in quanto le pronunce invocate non possono spiegare la stessa autorità in un diverso giudizio, dato che il giudicato sostanziale opera soltanto entro rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone – a differenza di quanto qui riscontrabile – che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, oltre che di petitum e di causa petendi (giurisprudenza consolidata, v. per tutte Cass. 27-1-2006 n. 1760).

Così respinta la eccezione preliminare avanzata dalla controricorrente, il ricorso principale va rigettato, per essere il dispositivo della sentenza impugnata, sebbene con erronea motivazione, conforme al diritto ed a tal fine appare opportuna per quanto occorre – una breve premessa di ricostruzione legislativa.

Sul piano normativo, deve rammentarsi che la L. n. 223 del 1991 – che ha introdotto una riforma organica dell’istituto della c.i.g.s., ricollegandone la fruizione a particolari requisiti soggettivi dell’impresa e all’esistenza di una stato di crisi aziendale, nonchè alla predisposizione da parte dell’imprenditore di precisi programmi, limitati nel tempo – prevede che dopo l’accertamento dello stato di crisi e l’approvazione dei programmi di superamento della stessa e per tutta la loro durata, all’esito di una articolata procedura, il Ministero del Lavoro con proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione salariale (artt. 1 e 2).

Il datore di lavoro deve individuare i lavoratori da collocare in c.i.g.s. adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata. I “criteri di individuazione dei lavoratori” e le “modalità della rotazione” sono oggetto di consultazione sindacale, in forza del dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle oo.ss. e l’esame congiunto di cui alla L. n. 164 del 1975, art. 5.

Qualora il datore, per ragioni di carattere tecnico-organizzativo connesse al mantenimento dei normali livelli di efficienza non intenda attuare meccanismi di rotazione dovrà indicarne i motivi nel programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (L. n. 223, art. 1, comma 7 e 8).

Il Ministro del Lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa integrazione, può ritenere non giustificata la non adozione della rotazione e promuovere un incontro tra le parti sul punto. Ove non si pervenga ad un accordo entro tre mesi dalla data di concessione del trattamento di integrazione il Ministro stesso stabilisce l’adozione di meccanismi di rotazione sulla base delle proposte formulate dalle parti (comma 8, secondo periodo).

Su tale assetto normativo è intervenuto il D.P.R. n. 218 del 2000, emanato a seguito della delega conferita dalla L. di semplificazione amministrativa n. 59 del 1997, art. 20, che ha inserito il procedimento per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria regolato dalla L. n. 223 del 1991, tra quelli sottoposti a delegificazione mediante regolamento emesso ai sensi della L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2 (art. 20, comma 8, in relazione al n. 90 dell’allegato 1 alla legge stessa).

Il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, regolamenta l’esame congiunto della situazione aziendale e testualmente prevede che:

“1. L’imprenditore che intende richiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale, direttamente o tramite l’associazione imprenditoriale cui aderisca o conferisca mandato, ne da tempestiva comunicazione alle rappresentanze sindacali unitarie o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia.

2. Entro tre giorni dalla comunicazione di cui al comma 1 è presentata, dall’imprenditore o dagli organismi rappresentativi dei lavoratori di cui al medesimo comma, domanda di esame congiunto della situazione aziendale.

3. La richiesta di esame congiunto è presentata:

a) al competente ufficio individuato dalla regione nel cui territorio sono ubicate le unità aziendali interessate dall’intervento straordinario di integrazione salariale, qualora l’intervento riguardi unità aziendali ubicate in una sola regione;

b) ai Ministero del lavoro e della previdenza sociale – Direzione generale dei rapporti di lavoro, qualora l’intervento riguardi unità aziendali ubicate in più regioni. In tal caso, l’ufficio richiede, comunque, il parere delle regioni interessate.

4. Agli incontri per l’esame congiunto della situazione aziendale in sede regionale partecipano anche funzionari della direzione provinciale del lavoro o della direzione regionale del lavoro, a seconda che l’intervento di integrazione salariale straordinaria riguardi unità produttive ubicate in una sola provincia o in più province della medesima regione.

5. Costituisce oggetto dell’esame congiunto il programma che l Impresa intende attuare, comprensivo della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione, nonchè delle misure previste per la gestione di eventuali eccedenze di personale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione. L’impresa è tenuta ad indicare le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione.

6. L’intera procedura di consultazione, attivata dalla richiesta di esame congiunto, si esaurisce entro i venticinque giorni successivi a quello in cui è stata avanzata la richiesta medesima, ridotti a dieci per le aziende fino a cinquanta dipendenti”.

Dalla sovrapposizione di fonti normative si origina il problema del coordinamento della disciplina della fase di avvio della procedura di ammissione alla c.i.g.s., oggetto principale del ricorso in esame.

I rapporti tra le due fonti sono stati definiti dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che la disciplina del D.P.R. n. 218 non abroga la L. n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ultimo testo. Il D.P.R. n. 218 non incide, infatti, sulle prescrizioni del combinato disposto del L. n. 164 del 1975, art. 5 e L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, – riguardanti l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare l’avvio della procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonchè le modalità di rotazione – atteso che la disciplina da esso prevista attiene unicamente alla fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della integrazione salariale (cfr. Cass. 28-11-2008 n. 28464).

Gli argomenti addotti a sostegno di questa impostazione, secondo cui il D.P.R. n. 218 persegue lo scopo di semplificare il procedimento amministrativo che consente l’autorizzazione della c.i.g.s., ma non di alterare il complesso di garanzie assicurato dalla legge n. 223 del 1991 a tutela dei singoli lavoratori e delle organizzazioni sindacali, sono di ordine sistematico e di ordine testuale.

Sul piano sistematico, deve osservarsi che mentre gli organi pubblici (CIPI, Ministero del lavoro) partecipano all’accertamento della crisi ed emanano i conseguenti provvedimenti amministrativi, spetta ai soggetti privati (datori di lavoro e organizzazioni sindacali) gestire la crisi aziendale, secondo la disciplina della L. n. 223 del 1991, che svolge una funzione garantistica tanto delle posizioni di diritto soggettivo riconosciute ai lavoratori quanto delle prerogative istituzionali delle organizzazioni sindacali. Esiste, dunque, una chiara distinzione tra procedimento amministrativo volto all’emissione del provvedimento concessorio e la gestione della cassa integrazione ad opera di soggetti che agiscono in regime privatistico, di cui costituisce significativo momento la comunicazione dei criteri di scelta e l’individuazione delle modalità di applicazione dei relativi criteri.

A riprova viene menzionata la giurisprudenza di legittimità in materia di integrazione salariale, per la quale le posizioni di diritto soggettivo dei privati nascenti dal provvedimento di ammissione dell’impresa alla cassa integrazione degradano ad interesse legittimo ove intervengano atti amministrativi di annullamento o di revoca del provvedimento (Cass. S.U. 11-1-2007 n. 310; Cass. 27-1-2006 n. 1732), mentre all’interesse legittimo si sostituisce, per effetto del provvedimento di ammissione, la piena posizione di diritto nel rapporto tra l’imprenditore (o i lavoratori) e l’INPS (Cass. S.U. 10-8-2005 n. 16780).

Quanto al riferimento di carattere testuale, si rileva, poi, che nel D.P.R. n. 218 la semplificazione è riferita a singoli momenti del procedimento amministrativo, quali gli atti iniziali (“la domanda di intervento straordinario”, art. 3), gli accertamenti ispettivi (art. 4), i termini di conclusione del procedimento (art. 8), la validità ed efficacia del provvedimento (art. 9), e mai al complesso delle garanzie apprestato dalla L. n. 223. Inoltre, si rimarca che tra le disposizioni esplicitamente abrogate dal D.P.R. n. 218, art. 13, non è inclusa alcuna disposizione della L. n. 223.

In conclusione, dunque, deve ribadirsi, con la già richiamata sentenza n. 28464 del 2008, che per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione la L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, prescrive che il datore di lavoro comunichi alle organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in base a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975. Tale disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali, e ciò anche dopo l’entrata in vigore della disciplina del D.P.R. n. 218 del 2000, atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni, ma è volta unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione dell’integrazione salariale.

Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro (L. n. 223, art. 1, comma 7-8,), precisando, altresì, che la normativa regolamentare non ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione del datore di lavoro di avvio della procedura a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della norma del D.P.R. n. 218, art. 2, sarebbe estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri del datore di lavoro con la compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (v. Cass. 9-6-2009 n. 13240 e Cass. 1-7-2009 n. 15393, entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale promosso dalle oo.ss. nei confronti di FIAT con riferimento alla procedura di c.i.g.s. in esame).

Sulla base di queste considerazioni deve, pertanto, ribadirsi che – pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000 la comunicazione che il datore di lavoro è tenuto a dare, ai sensi dell’art. 5 della legge 164 del 1975, alle rappresentanze sindacali aziendali deve contenere l’indicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo successivamente dovranno costituire oggetto del prescritto esame congiunto.

In tal senso corretta la motivazione della sentenza impugnata, la stessa determina sia il rigetto del ricorso principale, i cui motivi si fondano sull’opposto assunto che le disposizioni introdotte dal del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2, avrebbero direttamente inciso, abrogandolo, sul complessivo sistema procedimentale delineato dalle L. n. 164 del 1975 e L. n. 223 del 1991, sia l’assorbimento di quello incidentale condizionato.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e debbono essere distratte in favore del difensore che ha sottoscritto il controricorso dichiarandosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale, condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese, che liquida in Euro 33,00 per esborsi ed in Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori con distrazione in favore dell’avv. Bruno Cossu.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2011

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