Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26048 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 05/12/2011), n.26048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – rel. Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3183-2010 proposto da:

MAZZONI PIETRO SPA SOCIO UNICO (OMISSIS), nella persona del

proprio amministratore unico pro tempore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE LIEGI 49, presso lo studio dell’avvocato ARNULFO

CARLO, rappresentata e difesa dall’avvocato BERETTA GIOVANNI giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 142/24/2009 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO del 7/07/2009, depositata il 13/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/11/2011 dal Presidente Relatore Dott. ANTONIO MERONE;

udito l’Avvocato Beretta Giovanni difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che si riporta

alla relazione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio:

Letti gli atti del ricorso specificato in epigrafe;

Vista, condivisa e fatta propria la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. nella quale si legge:

“La CTR, accogliendo l’appello dell’ufficio ha confermato gli avvisi di accertamento in rettifica oggetto della presente impugnazione, affermando che. per superare la “presunzione di cessione”, la merce in magazzino con la dicitura “in conto lavorazione” deve, con le modi fiche del caso, ritornare al cedente e di ciò deve restare incontestabile traccia.

Ricorre per cassazione la parte privata, con due motivi, resiste la parte erariale con controricorso.

Il ricorso si rivela manifestamente privo di pregio.

Il primo motivo, pur formulato sotto la rubrica di una plurima violazione di norme di diritto, ripropone un’inammissibile diversa lettura delle risultanze di causa, in quanto la decisione ha dato congruamente conto della mancata prova, da parte del contribuente, di avere vinto la presunzione di cessione prevista dalle norme di cui s’invoca la violazione. In tali termini, la sentenza è in armonia con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui le presunzioni di cessione d’acquisto, poste dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53 sono presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle cosiddette “miste”, che consentono, cioè, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, ma unicamente entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova ivi tassativamente prefigurati e stabiliti ad evidenti fini antielusivi (Cass. n. 15312/08; 21517/05:

392/02 e, in tema di imposte dirette Cass. 16483/06).

Manifestamente priva di pregio è anche la seconda censura, essendo formulata in violazione del principio di autosufficienza, dato che non è specificato se e come sia stata formulata nei precedenti gradi; non risultando “riferibile” alla sentenza impugnata in assenza di specifiche statuizioni, della stessa a riguardo, e non essendo stata, infine, prospettata come violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (sempre che ne fosse stata sufficientemente dimostrata la formulazione nei precedenti gradi)”.

Diritto

CONSIDERATO

– che la relazione è stata notificata ai sensi dell’art. 308 bis c.p.c., comma 3;

– che la memoria depositata dalla ricorrente non consente di superare i rilievi formulati nella relazione (comunque con il primo motivo si lenta di ottenere una rivalutazione dei fatti ed il secondo motivo resta carente di autosufficienza: anche dalle indicazioni della memoria non risulta che il ricorrente abbia rispettato i canoni dell’autosufficienza);

– che, pertanto il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna alle spese, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente ai pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro milleduecento, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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