Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26046 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 17/11/2020), n.26046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20743-2018 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RICCARDO MANDELLI;

– ricorrente –

contro

C.A. SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ROBERTO CURIONI;

– controricorrente –

nonchè

D.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati RAFFAELLO BERARDI, ELISABETTA

FRIGERIO;

– controricorrente –

nonchè

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 97, presso lo

studio dell’avvocato DANIELA INCALZA, rappresentato e difeso

dall’avvocato CLAUDIA RONCORONI;

– controricorrente –

nonchè

M.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5447/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSEATI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2008 S.L. convenne dinanzi al Tribunale di Como il condominio del fabbricato sito a (OMISSIS), esponendo che:

-) tra il 15 del 16 giugno del 2007 ignoti ladri commisero un furto all’interno del suo appartamento, sito nel fabbricato di (OMISSIS);

-) i ladri asportarono, tra l’altro, 10 orologi di pregio ed una vera nuziale;

-) il furto fu agevolato dalla circostanza che il condominio di (OMISSIS), dovendo eseguire lavori di restauro del fabbricato condominiale, aveva consentito che l’impresa appaltatrice installasse sulle mura perimetrali dell’immobile ponteggi privi di sistemi d’allarme, grazie ai quali i ladri poterono ascendere sul tetto a falde del fabbricato ed introdursi, attraverso un lucernario, nell’appartamento dell’attore.

Chiese pertanto la condanna del condominio al risarcimento del danno subito in conseguenza dei fatti sopra descritti.

2. Il condominio si costituì e, oltre a chiedere il rigetto della domanda attorea, chiamò in causa l’impresa appaltatrice dei lavori, ovvero la società C.A. s.r.l..

Quest’ultima si costituì e chiamò in causa il subappaltatore, ovvero l’imprenditore individuale D.L., il quale a sua volta chiamò in causa il soggetto che aveva provveduto a noleggiarle e montare i ponteggi, ovvero l’imprenditore individuale M.S..

3. Con sentenza 23 luglio 2016 n. 1105 il Tribunale di Como rigettò la domanda attorea.

La sentenza venne appellata dalla parte soccombente.

4. Con sentenza 28 dicembre 2017 n. 5447 la Corte d’appello di Milano rigettò il gravame.

Ritenne la Corte d’appello non esservi prova che gli ignoti ladri fossero penetrati nell’appartamento dell’attore servendosi del ponteggio fatto installare dal condominio, piuttosto che per altre vie o servendosi di chiavi contraffatte.

Ad abundantiam, la Corte d’appello aggiunse che l’istruttoria compiuta non aveva fornito la prova della effettiva sussistenza del danno.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.L. con ricorso fondato su quattro motivi.

Hanno resistito con controricorso la società C.A. s.r.l.; il Condominio e d.L..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni strettamente connesse.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli artt. 115,116 e 132 c.p.c.; 118 disp. att. c.p.c.; 111 Cost..

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe “violato i canoni essenziali della motivazione” per avere trascurato di considerare indizi gravi, precisi e concordanti, i quali avrebbero dovuto indurla a ritenere sussistente il nesso di causa tra l’installazione dei ponteggi ed il furto da lui subito.

1.2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c..

Deduce che la Corte d’appello avrebbe violato le regole in tema di prova presuntiva, per avere ritenuto astrattamente possibile che i ladri si fossero introdotti nel suo appartamento provenendo da altri immobili confinanti, e non da quello condominiale convenuto in giudizio.

Osserva in contrario il ricorrente che tutti gli immobili confinanti con il proprio appartamento avevano conformazioni tali (pareti in muratura continua e prive di aperture) da rendere impossibile l’ipotesi che i ladri le avessero scalate per commettere il furto.

Con una seconda censura, pur essa contenuta in questo secondo motivo, il ricorrente aggiunge che la Corte d’appello, là dove ha ipotizzato che i ladri si fossero introdotti nell’appartamento utilizzando chiavi contraffatte, ha formulato una ipotesi implausibile, indimostrata, e non introdotta nel giudizio da alcuna delle parti.

1.3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2729 c.c..

Deduce che la Corte d’appello, violando i criteri di valutazione delle prove, ha ritenuto insufficiente la prova della effettiva consistenza del danno.

Deduce che non erano significativi gli elementi in tal senso valorizzati dalla Corte d’appello, ed in particolare:

-) egli non poteva produrre documenti dimostrativi dell’acquisto degli orologi sottratti, perchè gli erano stati tutti regalati;

-) la sua domestica, interrogata come testimone, non poteva sapere degli orologi, perchè assunta soltanto da una settimana.

La Corte d’appello, pertanto, da un lato aveva valorizzato indizi privi dei requisiti della precisione, gravità e concordanza; dall’altro lato aveva sottovalutato le prove testimoniali offerte dall’attore.

1.4. Tutti e tre i motivi sono manifestamente inammissibili, in quanto intesi a sollecitare da questa Corte un’ulteriore e non consentita valutazione delle prove.

Innanzitutto, va escluso che la sentenza impugnata possa dirsi nulla per difetto di motivazione.

Nel provvedimento impugnato la motivazione esiste ed è ben chiara: manca la prova sia del nesso di causa tra la condotta ascritta al condominio ed il danno, sia dell’ammontare di quest’ultimo.

Nè, dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è più possibile denunciare in sede di legittimità la mera “insufficienza” della motivazione, in quanto gli unici vizi motivazionali ancora denunciabili con ricorso per cassazione sono o la totale mancanza della motivazione, o la sua insuperabile contraddittorietà, o la sua totale incomprensibilità: nessuno dei quali sussistente nel caso di specie. Per contro, “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

1.5. In secondo luogo, deve escludersi che le censure come proposte dal ricorrente nel secondo e nel terzo motivo di ricorso denuncino effettivamente una falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.

Lo stabilire, infatti, se sia stata raggiunta o non sia stata raggiunta la prova presuntiva; se questa sia sufficiente od insufficiente; se gli indizi a tal fine utilizzabili abbiano o non abbiano i requisiti di gravità, precisione e concordanza, sono altrettante valutazione di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.

Questa Corte ha infatti ammesso la possibilità di censurare in cassazione la violazione o falsa applicazione delle norme sulla prova presuntiva entro limiti ben precisi, rappresentati dal c.d. “vizio di sussunzione”. Tale vizio ricorre non già per il solo fatto che il giudice di merito abbia interpretato gli indizi in un modo piuttosto che in un altro, ma soltanto in una ipotesi limitata e residuale: quando il giudice di merito, dopo aver egli stesso qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi disponibili, ne escluda l’efficacia probatoria; oppure nell’ipotesi speculare in cui il giudice, dopo aver egli stesso qualificato indizi disponibili come “non gravi, imprecisi e discordanti”, li utilizzi come fonte di prova.

Nessuna di queste due ipotesi ricorre nel caso di specie, dal momento che la corte d’appello ha ritenuto non gravi gli indizi a sua disposizione, e ne ha di conseguenza esclusa l’utilizzabilità.

1.6. Inammissibile, infine, è la censura con cui il ricorrente lamenta in sostanza una interpretazione “eccessivamente rigorosa” della prova testimoniale, dal momento che non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).

2. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 91,112,332 c.p.c..

Il motivo investe la sentenza d’appello nella parte in cui l’ha condannato alla rifusione delle spese sostenute dai tre soggetti chiamati in causa (appaltatore, subappaltatore e noleggiatore dei ponteggi).

Il ricorrente formula a sostegno della censura una tesi così riassumibile:

-) in primo grado le domande di garanzia formulate “a cascata” dal convenuto e dai vari chiamati in causa erano state rigettate, e nessuna delle relative statuizioni era stata impugnata;

-) l’appellante non aveva formulato domanda alcuna nei confronti dei tre soggetti chiamati in causa.

Questi ultimi, pertanto, dovevano ritenersi parti soltanto in senso formale del giudizio di appello, e rispetto ad essi non poteva esservi soccombenza da parte dell’appellante (odierno ricorrente).

2.1. Il motivo è infondato, alla luce del consolidato principio secondo cui “allorchè il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria – legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell’attore, pone a carico di quest’ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorchè nella seconda fase del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall’altro, l’onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza – mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l’attore ed il terzo – bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo” (Sez. 3, Sentenza n. 5027 del 26/02/2008, Rv. 601982 – 01; è conforme Sez. 2, Sentenza n. 4634 del 27/04/1991, Rv. 471873 – 01).

3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

3.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna S.L. alla rifusione in favore di Condominio “(OMISSIS)” di (OMISSIS), delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna S.L. alla rifusione in favore della C.A. s.r.l. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.000, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna S.L. alla rifusione in favore di D.L. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.000, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.L. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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