Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26043 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 26043 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA
sul ricorso 5287-2012 proposto da:
INVESTIMENTI E GESTIONI S.R.L. (P.I.

04807360658),

in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA V. VENETO 7,

Data pubblicazione: 20/11/2013

presso l’avvocato BRUNO DONATO, rappresentata e
difesa dall’avvocato FAUCEGLIA GIUSEPPE, giusta
2013
1427

procura in calce al ricorso;
SAMUELE EPISCOPO S.R.L.

(P.I.

01910660651),

in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA V. VENETO 7,

1

presso l’avvocato BRUNO DONATO, rappresentata e
difesa dall’avvocato FAUCEGLIA GIUSEPPE, giusta
procura in calce al ricorso successivo;
– ricorrente + ricorrente successivo contro

CORTE D’APPELLO DI SALERNO, FALLIMENTO INVESTIMENTI
E GESTIONI S.R.L.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 66/2012 della CORTE

D’APPELLO

di SALERNO, depositata il 20/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott. SERGIO
DI AMATO;
udito, per le ricorrenti, l’Avvocato FAUCEGLIA
GIUSEPPE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo, assorbito il

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA

secondo motivo, rigetto dei restanti.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20 gennaio 2012 la Corte di appello di
Salerno rigettava i reclami proposti dalla s.r.l. Samuele
Episcopo e dalla s.r.l. Investimenti e gestioni avverso la

sentenza in data 26 luglio 2011 con cui il Tribunale di
Sala Consilina, su richiesta del pubblico ministero, aveva
dichiarato il loro fallimento. In particolare, la Corte di
appello osservava che: A) il pubblico ministero aveva
legittimamente formulato la richiesta di fallimento sulla
base della segnalazione con cui il giudice dell’esecuzione
di Sala Consilina, nell’ambito di una procedura esecutiva a
carico della s.r.l. Samuele Episcopo, gli aveva indicato
“in maniera sufficientemente specifica gli elementi” dai
quali aveva desunto il possibile stato di decozione sia
della predetta società, sia della s.r.l. Investimenti e
gestioni, derivata dalla prima a seguito di una scissione;
B) il rigetto, da parte del giudice delegato
all’istruttoria, dell’istanza del difensore di estrarre
copia della documentazione presentata dal p.m. a corredo
della richiesta di fallimento, non aveva comportato un
vizio della procedura sia perché le reclamanti non avevano
precisato né quale fosse la documentazione né quali fossero
state le conseguenze lesive All’esercizio del diritto di
difesa, sia perché, comunque, alle stesse era stata
garantita la più ampia possibilità di esporre le loro
3

ragioni; C) la duplice dichiarazione di fallimento con
un’unica sentenza non aveva prodotto pregiudizi alle
società; D) non vi era stata violazione dell’art. 2506

quater,

comma terzo, c.c., secondo cui “ciascuna società è

solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo

del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei
debiti della società scissa non soddisfatti dalla società
cui fanno carico”; nella specie, infatti, la società
scissa, cioè la s.r.l. Samuele Episcopo, era inadempiente
in relazione al debito di e 450.841,55=, transitato nella
nuova società, cioè la s.r.l. Investimenti e gestioni, e
quest’ultima, d’altro canto, era inadempiente in quanto
subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi relativi al
complesso patrimoniale trasferitole con la scissione.
Inoltre la scissione era stata realizzata per finalità
diverse da quelle tipiche, e cioè per attribuire alla
s.r.l. Samuele Episcopo un apparente stato di solvibilità,
realizzando così una ipotesi di abuso del diritto; E) lo
stato di insolvenza era rimasto accertato dalle rilevanti
esposizioni emerse nella procedura esecutiva a carico della
s.r.l. Samuele Episcopo e non era escluso dalla
contestazione di un credito senza dedurre elementi che
consentissero un giudizio di serietà. Infine, quanto al
dedotto intervento di un terzo che si era assunto i debiti
delle società, difettava la prova che lo stesso si fosse
reso cessionario dei crediti gravanti sulle due società.
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La s.r.l. Samuele Episcopo e la s.r.l. Investimenti e
gestioni propongono distinti ricorsi per cassazione,
deducendo ciascuna quattro motivi di identico contenuto. I
fallimenti della s.r.l. Samuele Episcopo e della s.r.l.
Investimenti e gestioni non hanno svolto attività

difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo dei ricorsi le ricorrenti deducono
la violazione dell’art. 2506

quater,

terzo comma, c.c. e

degli artt. 5 e 15 1. fall. nonché il vizio di motivazione,
lamentando che la Corte di appello non aveva tenuto conto
della disciplina della scissione, configurando erroneamente
una responsabilità solidale della società scissa (s.r.l.
Samuele Episcopo) e della società beneficiaria (s.r.l.
Investimenti e gestioni) mentre la prima rispondeva
solidalmente dei debiti trasferiti alla beneficiaria solo
nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto
rimastole, mentre la seconda rispondeva solidalmente dei
debiti rimasti in capo alla società scissa solo nei limiti
del valore effettivo del patrimonio netto trasferitole.
Tali profili, al contrario, non erano stati indagati in
sede di istruttoria prefallimentare e l’insolvenza di
entrambe le società era stata rapportata all’insieme dei
debiti originariamente in capo alla società alla s.r.l.
Samuele Episcopo.

5

Il motivo è fondato. Nella specie, secondo quanto
accertato dalla Corte di appello [“la scissione in
questione è stata realizzata per finalità non tipiche della
scissione ma (trasferendo passività e mirate attività dalla
società Samuele Episcopo s.r.l. alla Società investimenti e

gestioni s.r.1.) finalizzate essenzialmente ad attribuire
alla società Emanuele Piscopo s.r.l. un apparente stato di
solvibilità”], sembra essersi realizzata una non consentita
ipotesi di scissione c.d. negativa verso una società
neocostituita. Ricorre tale ipotesi quando il valore reale
del patrimonio assegnato sia negativo. Tale scissione è da
ritenere non consentita in quanto non potrebbe sussistere
alcun valore di cambio e conseguentemente non potrebbe
aversi una distribuzione di azioni. Ciò nonostante, dopo il
decorso, senza opposizione da parte dei creditori, del
termine di sessanta giorni dall’iscrizione nel registro
delle imprese della deliberazione di scissione e dopo
l’iscrizione dell’ultimo atto della scissione nel registro
delle imprese (artt. 2506

quater primo comma, c.c.; art.

2503 c.c., richiamato dall’art. 2506

ter

c.c.),

l’invalidità della scissione non può essere pronunciata
(art. 2504 c.c. richiamato dall’art. 2506 ter c.c.). Ne
consegue che, malgrado la ricorrenza di una non consentita
ipotesi di scissione negativa, deve trovare piena
terzo
applicazione il disposto dell’art. 2506 quater,
e.” lum:411,044a.
comma, c.c. e che 1J ceCTraill~e dell’insolvenza della

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società scissa e della società beneficiaria deve essere
valutata separatamente, avendo riguardo agli elementi
attivi e passivi del patrimonio di ciascuna società,
tenendo presenti i limiti di responsabilità in relazione
rispettivamente alle obbligazioni transitate nel patrimonio

della società beneficiaria e alle obbligazioni rimaste nel
patrimonio della società scissa.
Con il secondo motivo le ricorrenti deducono la
violazione degli artt. 5, 15, 16 e 147 1. fall., lamentando
che la sentenza impugnata aveva ritenuto possibile un unico
procedimento per la dichiarazione di fallimento di più
imprenditori.
Il motivo è infondato. Sebbene il procedimento per la
dichiarazione di fallimento sia strutturato con riferimento
ad un unico imprenditore, nulla impedisce che in un
procedimento formalmente unico sia trattato congiuntamente
l’accertamento dell’insolvenza di più imprenditori. Invero,
la trattazione in un unico procedimento dell’istanza di
fallimento verso più imprenditori può ammettersi per
ragioni di connessione, in base ai principi generali,
considerato che nella disciplina del procedimento camerale,
e più specificamente in quella dettata dall’art. 15 1.
fall, non si rinvengono previsioni contrarie o
incompatibili (sulla applicabilità al procedimento camerale
di norme relative al processo ordinario di cognizione v.
Cass. 11 luglio 2013, n. 17205; Cass. 21 marzo 2001, n.
7

4037;

Cass.,

2 aprile 1985,

n.

2260).

Resta ferma,

naturalmente, la necessità che all’esito dell’unitario
procedimento gli eventuali fallimenti restino distinti.
Con il terzo motivo le ricorrenti deducono la violazione
dell’art. 7 1. fall., lamentando che la sentenza impugnata

aveva ritenuto possibile l’iniziativa del pubblico
ministero per la dichiarazione di fallimento in presenza di
una segnalazione non di insolvenza, ma di possibile
insolvenza, con una valutazione che, pertanto, non era
stata effettuata dal giudice dal quale proveniva la
segnalazione, ma dallo stesso pubblico ministero.
Il motivo è infondato. Invero, la segnalazione del
giudice che abbia rilevato l’insolvenza in un procedimento
civile è “un atto neutro”, privo ovviamente di contenuto
decisorio ed assunto prima facie (Cass. 15 giugno 2012, n.
9857), mentre la valutazione della sussistenza dello stato
di insolvenza compete al pubblico ministero, che può
eseguire, ove lo ritenga necessario, ulteriori accertamenti
(Cass. 18 aprile 2013, n. 9409).
Con il quarto motivo le ricorrenti deducono la
violazione dell’art. 15 1. fall. ed il vizio di
motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva
erroneamente ritenuto che il mancato rilascio di copia
della documentazione acquisita dal pubblico ministero nella
fase di presentazione dell’istanza di fallimento fosse
irrilevante in mancanza della specifica indicazione della
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documentazione in relazione alla quale il mancato rilascio
avrebbe inciso in maniera significativa sul diritto di
difesa delle società. Infatti, il mancato rilascio della
copia non aveva consentito alla difesa di esercitare il
diritto di difesa ed aveva leso il contraddittorio.

poiché le ricorrenti si lamentano del mancato rilascio di
copia dei documenti acquisiti dal pubblico ministero senza
dedurre che il Tribunale abbia su di essi fondato la
propria decisione.
P . Q . M .
accoglie il primo motivo di entrambi i ricorsi e rigetta
gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di
cassazione, alla Corte di appello di Salerno in diversa
composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 ottobre
2013.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse,

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