Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26035 del 20/11/2013


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Civile Ord. Sez. U Num. 26035 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

ORDINANZA

CC

sul ricorso 27897-2012 proposto da:
PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA – SEGRETARIATO GENERALE, in
persona del Segretario Generale pro-tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
2013

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

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rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

PROCURATORE REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE

Data pubblicazione: 20/11/2013

DELLA CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE LAZIO,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;
– controrícorrente –

DI PIETRO PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CRESCENZIO 19, presso lo studio dell’avvocato SCACCHI

margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controrícorrente e ricorrente incidentale nonchè contro

GAETANO GIANNI, PUBBLICO MINISTERO PRESSO IL TRIBUNALE
DI ROMA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 894/2012 della CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio – ROMA,
depositata il 25/09/2012;
uditi gli avvocati Gianni DE BELLIS dell’Avvocatura
Generale dello Stato, Francesco SCACCHI;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 08/10/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTA
VIVALDI;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore
Generale dott. Lucio CAPASSO, il quale conclude
chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del
Segretario Generale e del ricorso incidentale.

FRANCESCO, che lo rappresenta e difende, per delega a

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La vicenda in esame trae origine da un accertamento effettuato dal
Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica sulla gestione
contabile della Tenuta di Castelporziano, all’esito del quale sono risultati
ammanchi per alcuni milioni di euro.
Di ciò fu informata l’Autorità Giudiziaria che promosse nei confronti, fra gli

Tenuta, procedimento penale per il reato di cui all’art. 110, 314 e 61 n. 7,
81 c.p..
Il procedimento penale, a seguito di rinvio a giudizio, è al momento
pendente.
Nel frattempo, la stessa Presidenza della Repubblica – Segretariato
Generale chiese ed ottenne dal tribunale civile di Roma il sequestro
conservativo dei beni dei dipendenti coinvolti nella vicenda, fra i quali il
Gaetano ed il Di Pietro.
I reclami proposti furono rigettati ad eccezione di quello del Di Pietro, nei
confronti del quale il provvedimento cautelare fu revocato in sede di
reclamo, avendo lo stesso depositato la sentenza ( n. 894/2012) con la
quale la Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per il Lazio aveva
condannato, per i medesimi fatti, a risarcire alla Presidenza della
Repubblica le somme: il Di Pietro di C 477.0001 ed il Gaetano di C
954.222.
La Presidenza della Repubblica – Segretariato Generale, venuta a
conoscenza della esistenza del procedimento per responsabilità
amministrativa instaurato dalla Procura Regionale della Corte dei Conti nei
confronti dei due dipendenti per i medesimi fatti per i quali la Presidenza
aveva già agito in sede civile, ha ritenuto ” che l’operato della Corte dei
Conti non fosse rispettoso delle prerogative connesse alla speciale
autonomia di gestione della sua dotazione”.
Ha, quindi, proposto ricorso per regolamento di giurisdizione ex artt. 41
comma II e 368 c.p.c. chiedendo che la Corte di Cassazione” dichiari che
la Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per il Lazio – con la sentenza n.
894/2012 in violazione delle disposizioni in epigrafe ha leso le prerogative
della Presidenza della Repubblica ” a causa dei poteri (di autodichia)
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altri, di Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro, quali cassieri contabili della

attribuiti dalla legge all’Amministrazione” e che pertanto sussiste in
materia la giurisdizione dell’A.G.0.”.
A tal fine ha attivato la procedura prevista dall’art. 368 c.p.c..
Su richiesta del Segretariato Generale, il Prefetto di Roma ha, quindi,
emesso il decreto 9.11.2012 n. 194019/111/2012 contenente la richiesta
per la decisione della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 41, comma 2,
c.p.c..

contabile, Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro, alla Procura Contabile del
Lazio ed al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma.
Con nota del 19.11.2012 n. 33/2012 il Pubblico Ministero presso l’Autorità
giudiziaria ordinaria ha trasmesso copia del decreto prefettizio al
Presidente della sezione giurisdizionale per la regione Lazio che, in data
25.11.2012, ha dichiarato “la sospensione del procedimento ex art. 368
c.p.c.”.
Il provvedimento è stato notificato in data 4.12.2012 a tutte le parti a cura
del Pubblico Ministero.
In data 5.12.2012, il Segretariato generale della Presidenza della
Repubblica ha notificato alla Procura Contabile il presente ricorso per
regolamento di giurisdizione affidato ad un motivo, ai sensi degli artt. 41,
comma 2 e 368 c.p.c. contestando la giurisdizione del giudice contabile e
chiedendo che fosse dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
Resiste con controricorso Paolo Di Pietro il quale ha anche proposto ricorso
incidentale affidato ad un motivo.
Si è costituito con controricorso anche il Procuratore regionale presso la
Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Lazio.
La Presidenza ricorrente ha anche presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In primo luogo va dato atto che la disposizione dell’art. 19 R.D. 3. 3 1934
n. 383 (testo unico della legge comunale provinciale) la quale disciplina le
attribuzioni del Prefetto stabilendo – per quel che qui interessa – che il
Prefetto ” Esercita le attribuzioni a lui demandate dalle leggi e dai
regolamenti e promuove ove occorra, il regolamento di attribuzioni tra
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Il decreto è stato notificato in data 16.11.2012 alle parti del giudizio

l’autorità amministrativa e l’autorità giudiziaria ” non risulta essere stata
abrogata dal D.Lgs. 18.8.2000 n. 267 (Testo Unico Enti Locali).
L’istituto prefettizio non è oggetto diretto di disciplina da parte del TUEL,
ma vi appare solo

incidenter tantum,

ogniqualvolta siano dettate

disposizioni sul rapporto fra lo Stato e gli enti locali.
La parte IV del TUEL, poi, chiude la codificazione delle disposizioni
sull’ordinamento degli enti locali con tre articoli (273, 274 e 275) recanti

una norma di chiusura.
In particolare, mentre fra le “norme abrogate”, ai sensi dell’art. 274,
comma 1, lett. a) vi è il regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, l’art. 273,
che indica le norme transitorie, prevede al comma 5 che” Fino all’entrata
in vigore di specifica disposizione in materia, emanata ai sensi dell’articolo
11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, resta fermo il disposto dell’articolo
19 del regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, per la parte compatibile con
l’ordinamento vigente”.
Ora, a prescindere che forse sarebbe stato opportuno far precedere il testo
delle norme abrogate a quello delle norme transitorie, sta di fatto che la
norma dell’art. 19 è tuttora vigente.
Le norme transitorie, infatti, prolungano l’applicazione di precetti
altrimenti abrogati sospendendo, al contempo, l’entrata in vigore della
disciplina sostitutiva dettata da articoli del TUEL, ovvero stabiliscono
regimi differenziati per il periodo precedente l’entrata in vigore dello
stesso TUEL.

Ricorso principale
Con un motivo la ricorrente principale denuncia

violazione e falsa

applicazione degli artt. 103 comma 2 Cost., 52 del R.D. n. 1214/1934, 74
del R.D. n. 2440/1923, in relazione all’art. 41 c.p.c..
L’art. 41, comma 2, c.p.c. è del seguente tenore :

“La pubblica

amministrazione che non è parte in causa può chiedere in ogni stato e
grado del processo che sia dichiarato dalle sezioni unite della corte di
cassazione il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri
attribuiti dalla legge all’amministrazione stessa, finché la giurisdizione non
sia stata affermata con sentenza passata in giudicato”.
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rispettivamente, norme transitorie, l’elencazione delle norme abrogate ed

A tal proposito, l’art. 368 c.p.c. dispone che la richiesta per la decisione
della Corte è fatta dal prefetto con decreto motivato, notificato, su
richiesta dello stesso prefetto, alle parti e al procuratore della Repubblica
presso il tribunale, se la causa pende davanti a questo, oppure al
procuratore generale presso la corte d’appello, se pende davanti alla corte.
Il pubblico ministero, a sua volta, comunica il decreto al capo dell’ufficio
giudiziario davanti al quale pende la causa. Questi sospende il

ministero entro dieci giorni dalla sua pronuncia, sotto pena di decadenza
della richiesta. La Corte di cassazione è investita della questione di
giurisdizione con ricorso a cura della parte più diligente, nel termine
perentorio di trenta giorni dalla notificazione del decreto.
La norma dell’art. 41,comma 2, c.p.c. – che è stata considerata un” vero e
proprio antiquariato giuridico ” (così S.U. 27.7.1998 n. 7340) – quindi,
consente, ancora oggi (non essendo intervenute modifiche ad opera della
riforma del 1990), alla P.A., che non sia parte in causa, tramite il Prefetto,
di far dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario dalle sezioni
unite della Corte di cassazione.
L’effetto sospensivo è connesso ad un meccanismo procedimentale che
parte dalla notifica alla magistratura requirente, la quale ne dà
comunicazione al capo dell’ufficio giudiziario che provvede a sospendere
immediatamente il processo in corso.
Questo tipo di intervento va inquadrato storicamente, perché collegato
all’evocazione reale, che consentiva al

ke

di attribuirsi qualsiasi processo

civile o penale per deciderlo nel merito.
Si ritenne, intorno all’ultimo quarto del secolo )s/\c-Zs.o, sotto la spinta di
una forte corrente di pensiero, sostenuta dalla dottrina dell’epoca, di
introdurre l’istituto dei conflitti, al fine di bloccare le eventuali invasioni del
potere giudiziario nel campo riservato all’esecutivo, non più protetto
dall’avocazione reale.
Il Governo del 1877 risolse il problema mediante “l’arma di guerra”, così
qualificata dal guardasigilli Mancini, costituita dall’intervento del prefetto,
posto in grado di bloccare l’autorità giudiziaria, anche quando la P.A. non è
parte in causa, come, ancor oggi, recita l’attuale art. 41, comma 2, c.p.c..

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procedimento con decreto, che è notificato alle parti a cura del pubblico

In tal modo è consentito al Governo, tramite il prefetto, di far valere il
difetto assoluto del potere giurisdizionale, in ogni stato e grado del
giudizio, finché la giurisdizione non sia coperta dal giudicato, mediante un
potere di veto con cui la Pubblica Amministrazione ottiene la sospensione
del processo, ai sensi dell’art. 368, co. 3, c.p.c..
” La regolamentazione attuale prevede, infatti, che costituisce onere
dell’altra parte, rimasta bloccata dal veto con cui la P.A. ha ottenuto la

provvedano sulla questione di giurisdizione” (così S.U. citata).
La richiesta del prefetto è contenuta in un decreto motivato, notificato alle
parti e al pubblico ministero presso il Tribunale, se si tratta di un processo
di primo grado, o al procuratore generale presso la Corte d’Appello, se il
processo sia in grado di appello.
Il P.M.,o il P.G., si rivolge, non al giudice investito della causa, ma al capo
dell’ufficio giudiziario, il quale, senza alcuna delibazione (a differenza di
quanto previsto dall’art. 2, comma 2, 1. 31 marzo 1877, n. 3761 per i
conflitti di attribuzione) sospende il processo, dandone notizia alle parti e
mettendo in grado quella più diligente di rivolgersi – entro il termine
perentorio di 30 giorni dalla notifica del decreto prefettizio – alla Corte di
cassazione perché si pronunci sulla giurisdizione.
Sebbene la legge definisca il decreto del prefetto come richiesta per la
decisione sulla giurisdizione della Corte di cassazione, in realtà si tratta
non di una domanda, ma piuttosto dell’esercizio di un potere di veto, con
cui la P.A. da un lato ottiene la sospensione del processo, e dall’altro, su
ricorso a carico della parte più diligente, la decisione sulla giurisdizione ad
opera delle sezioni unite ( così sempre S.U. citata).
La disposizione ha trovato solo sporadiche applicazioni nella vita
dell’attuale codice di rito.
Invero, i pochi esempi che si rinvengono attengono alla materia
fallimentare, e riguardano i rapporti tra liquidazione coatta amministrativa
e dichiarazione di fallimento ( S.U. 27.7.1998 n. 7340; Cass. ord.
23.11.1994 n. 912; S.U. 30.10.1992 n. 11848; Cass. 17.7.1980 n. 4681).
Devono essere, in primo luogo, esaminati i profili di ammissibilità dei
ricorsi proposti.

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sospensione del processo, di ricorrere alle sezioni unite affinché

Dalla lettura della norma si evince, con chiarezza, che l’art. 41, comma 2,
c.p.c. è finalizzato a regolare i rapporti fra giudice ordinario e pubblica
amministrazione, al fine di evitare sconfinamenti del giudice ordinario nella
sfera riservata a quest’ultima.
Tale norma prevede, infatti, testualmente che: ”

La pubblica

amministrazione che non è parte in causa può chiedere in ogni stato e
grado del processo che sia dichiarato dalle sezioni unite della corte di

attribuiti dalla legge alla amministrazione stessa, finchè la giurisdizione
non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato”.
I riferimenti al pubblico ministero od al procuratore generale, poi,
contenuti nell’art. 368 c.p.c. – norma questa di raccordo con l’art. 41,
comma 2 c.p.c.- , a seconda che il giudizio penda davanti al giudice di
primo grado o di appello, ne sono la riprova evidente.
Lo strumento del regolamento ex art. 41, comma 2 c.p.c., dunque, è posto
a presidio dell’area di spettanza della Pubblica Amministrazione da
invasioni del giudice ordinario (in questo senso anche S.U. 1998 n. 7340).
Sotto questo profilo, significativamente, è rimesso al Prefetto il potere di
impulso al fine di ottenere la sospensione del giudizio.
Nel caso in esame, invece, è stato proposto un ” ricorso per regolamento
di giurisdizione ex artt. 41 comma 2 e 368 c.p.c.” avverso una sentenza
emessa (in primo grado) dal giudice contabile.
Riesce, quindi, problematico in questo contesto, e per le ragioni già
evidenziate, estendere l’adottabilità di un tale procedimento alle ipotesi di
contestazione della giurisdizione del giudice contabile, perché esercitata al
di fuori dei limiti di cui al R.D. 12.7.1934 n. 1214, la cui capacità
espansiva non può essere predicata in questo caso.
Del resto, le parti del giudizio di responsabilità contabile ben possono
azionare qualsiasi contestazione che intendano muovere alla decisione
attraverso gli ordinari rimedi previsti dall’ordinamento giuridico.
Né ad affermare l’adottabilità di un tale procedimento, nel caso in esame,
vale fare riferimento all’art. 26 del R.D. n. 1038 del 1933 (recante il
regolamento di procedura per i giudizi davanti alla Corte dei Conti), il
quale stabilisce che ” Nei procedimenti contenziosi di competenza della
corte dei conti si osservano le norme e i termini della procedura civile in
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cassazione il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri

quanto siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni del
presente regolamento”.
Da un lato, infatti, il rinvio riguarda i procedimenti contabili di competenza
della Corte dei Conti, dall’altro, le norme di procedura devono risultare
applicabili al rito contabile.
La giurisprudenza si è espressa affermando che si tratti di un rinvio
“dinamico” o flessibile, sia per la successione delle leggi processuali nel

processuali civili e contabili.
Il che vuol dire che le prime vanno ad integrare le seconde secondo un
criterio di autonomia e concorrenziabilità di due ordinamenti processuali,
di cui uno – quello contabile – recepisce altre norme, purchè adattabili al
rito contabile stesso.
Ma nel caso in esame, non si tratta di operare, con riferimento al rito
contabile, un rinvio alla norme del codice di procedura civile, ma di
“esportare” – innovando sull’oggetto stesso della norma – un mezzo
previsto soltanto nei rapporti fra giudice ordinario e pubblica
amministrazione, applicandolo ad una diversa fattispecie giuridica non
contemplata dalla norma ( rapporti fra pubblica amministrazione e giudice
contabile).
Sotto questo profilo, quindi, il ricorso principale è inammissibile.
Vi è, però, un ulteriore profilo di inammissibilità da esaminare.
Sebbene la legge definisca il decreto del prefetto come richiesta per la
decisione sulla giurisdizione della Corte di cassazione, in realtà si tratta,
non di una domanda, ma piuttosto dell’esercizio di un potere di veto, con
cui la P.A., da un lato, ottiene la sospensione del processo, e dall’altro, su
ricorso a carico della parte più diligente, la decisione sulla giurisdizione ad
opera delle sezioni unite della Corte di cassazione.
Ma la Pubblica Amministrazione esercita soltanto un potere di veto
attraverso il prefetto, e non è parte del giudizio sospeso.
Ora non essere, questa, parte, l’abilita, nel concorso delle condizioni
prescritte dalla norma, a richiedere, attraverso il Prefetto, la decisione
della corte di cassazione, con l’adozione del complesso meccanismo
prescritto dall’art. 368 c.p.c..

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tempo, sia perché presuppone un giudizio di “compatibilità” tra norme

Ma, nell’ambito di questo iter procedimentale, con l’esercizio del potere di
veto e con il provvedimento di sospensione si arresta la sua
legittimazione, che non può spingersi alla proposizione della questione di
giurisdizione.
L’impulso con il quale la corte di cassazione è investita della questione di
giurisdizione, infatti, deve provenire dalla” parte più diligente” del giudizio
di merito, alla quale è riservato un termine perentorio per la sua

Soltanto alla parte è concesso di azionare l’intervento delle Sezioni Unite
sulla questione di giurisdizione.
Questa è la conclusione coerente che si trae dal principio di stretta
interpretazione della norma con riguardo all’istanza di parte.
Inoltre, la Pubblica Amministrazione, con il provvedimento di sospensione,
ha esaurito il suo interesse – che è quello di non fare progredire il giudizio
di merito -; giudizio che potrà proseguire soltanto all’esito della risoluzione
della questione di giurisdizione da parte delle Sezioni Unite della Corte di
cassazione, investita dalla parte del giudizio sospeso ” più diligente”, che
sarà – ma non necessariamente – quella più interessata alla sua
risoluzione, al fine di far ripartire il giudizio di merito sospeso.
Diversamente, nei casi di mancata o tardiva proposizione, il giudizio di
merito sarà esposto ad una sua estinzione o, comunque, alla sua
improcedibilità.
Ed allora, attribuire alla Pubblica Amministrazione un siffatto potere, da un
lato contrasterebbe con la qualità di” non parte” che le riconosce la norma
dell’art. 41, comma 2 c.p.c., e, dall’altro, con l’interesse – che la p.a. ha
già raggiunto con la sospensione del giudizio – che soltanto la parte del
giudizio di merito ha alla sua prosecuzione.
L’esame degli ulteriori rilievi di inammissibilità, evidenziati dal Procuratore
generale della Corte di cassazione e dal controricorrente Procuratore
generale contabile in relazione ad alcune modalità del procedimento di cui
all’art. 368 c.p.c. in concreto adottate, a questo punto, diviene privo di
interesse.
Da ultimo, una osservazione.
Questa forma, del tutto particolare, di regolamento di giurisdizione, nella
sua latitudine assoluta – in ogni stato e grado ( art. 41, comma 2 c.p.c.) 10

proposizione (trenta giorni dalla notificazione del decreto prefettizio).

oggi, andrebbe anche “rivisitata” e coordinata in via interpretativa con la
rielaborazione della norma dell’art. 37 c.p.c. operata dal diritto vivente,
espresso dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di legittimità
in riferimento alle condizioni di rilevabilità del difetto di giurisdizione (S.U.
9.10.2008 n. 24883; conf. S.U. 20.2. 2013 n. 4214).
Rielaborazione, questa, che è stata recepita dal codice del processo
amministrativo.

di primo grado emessa, con espressa statuizione sulla giurisdizione della
Corte dei conti in ordine all’azione risarcitoria nei confronti di soggetti
legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di servizio, e senza
che sia stata evidenziata un’impugnazione di tale statuizione.
Non senza ulteriormente osservare che la norma dell’art. 41, comma 2
c.p.c. – emanata prima dell’entrata in vigore della Costituzione e della L.
11.3.199 n. 87 – ha perso di attualità in ragione della competenza della
Corte costituzionale a risolvere i conflitti fra potere amministrativo e
potere giudiziario.
E, proprio in questa ottica, è interessante ricordare la pronuncia n. 129 del
1981 emessa dalla Corte costituzionale che ha affermato che non spetta
alla Corte dei Conti il potere di sottoporre a giudizio contabile i tesorieri
della Presidenza della Repubblica (e della Camera e del Senato); con
riferimento ai limiti della giurisdizione contabile nel conflitto con organi
costituzionali di vertice fra i quali la Presidenza della Repubblica.
E ciò perchè il fondamento normativo della giurisdizione contabile della
Corte dei Conti posto nell’art. 103 comma 2, Cost., non risulta dotato di
un’assoluta ed immediata operatività in tutti i casi.
La capacità espansiva del T.U. n. 1214 del 1934 – è stato nuovamente
rilevato -, incontra, infatti, i limiti dell’idoneità oggettiva delle materie e
del rispetto delle norme e dei principi costituzionali ( v. anche sent. n. 110
del 1970, sent. n. 102 del 1977).
E’ stato, quindi, mediante il conflitto sollevato davanti alla Corte
costituzionale ad essere stato risolto quel caso; ciò dimostrando che quello
è lo strumento corretto per la denuncia di situazioni costituenti materia di
conflitto fra poteri dello Stato.

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Nel caso in esame, infatti, un tale strumento è stato adottato a sentenza

Conflitto che sussiste, non solo nei casi in cui si controverte circa la
spettanza di una stessa attribuzione, ma anche quando si discuta circa ”
l’estensione della giurisdizione propria della Corte dei conti, nel rapporto
con l’autonomia organizzativa e funzionale rivendicata dai tre organi
costituzionali che hanno sollevato il conflitto” ( v. Corte cost. n. 129 del
1981 in motiv.).

Con un motivo il ricorrente incidentale denuncia

violazione ne falsa

applicazione degli artt. 24, 25, 103 comma 2, della Costituzione, 52 del
R. D. n. 1214/34, 74 del R. D. n. 2440/23 in relazione all’art. 41 c.p.c..
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente incidentale rappresenta, infatti, le medesime ragioni di
censura proposte con il ricorso principale, chiedendo, però, che sia
affermata l’autodichia della Presidenza della Repubblica.
Ma le conclusioni di inammissibilità del ricorso principale valgono anche in
questo caso, in particolare per l’impossibilità di adottare il procedimento di
cui agli artt. 41, comma 2 e 368 c.p.c. con riferimento alle situazioni di
conflitto fra pubblica amministrazione e giudice contabile.
Peraltro, se, solo per ipotesi, un tale procedimento fosse percorribile,
assumendo il ricorso incidentale – una volta dichiarato inammissibile quello
principale – la funzione di ricorso principale ( v. in questo senso Cass.
25.7.2002 n. 10952), finalizzato ad ottenere la pronuncia sulla questione
di giurisdizione da parte della Corte di cassazione, allora il ricorso avrebbe
dovuto rispettare il termine perentorio per la sua proposizione, ovvero i
trenta giorni dalla notificazione del decreto prefettizio (S.U. 27.7.1998 n.
7340).
Ciò che non è avvenuto.
Il decreto prefettizio, infatti, è stato notificato a tutte le parti, ivi compreso
il Di Pietro, in data 16.11.2012, mentre il ricorso incidentale (contenuto
nel controricorso del Di Pietro) è stato consegnato per la notifica in data
11.1.2013.
Ed allora, anche sotto questo profilo, il ricorso del Di Pietro sarebbe stato
inammissibile.

12

Ricorso incidentale

Conclusivamente, i ricorsi – principale ed incidentale – sono dichiarati
inammissibili.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese fra la
Presidenza della Repubblica – Segretariato Generale ed il Di Pietro.

P.Q.M.

Compensa le spese fra la Presidenza della Repubblica – Segretariato
Generale e Paolo Di Pietro.
Così deciso in data 8 ottobre 2013 in Roma, nella camera di consiglio delle
Sezioni Unite civili della Corte di cassazione.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi, principale ed incidentale.

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