Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26035 del 17/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 17/10/2018), n.26035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13748/2016 proposto da:

PFIZER ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI GIUSEPPE

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati BARBARA SANTORO e

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.F., M.F., R.P., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI

34, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO DE LORENZO, che li

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2000/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/04/2016, R.G.N. 4969/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/05/2018 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCO RAIMONDO BOCCIA;

udito l’Avvocato FRANCESCO DE LORENZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2000 pubblicata il 5.4.16, in sede di reclamo e in totale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato ai signori C.F., M.F. e R.P. nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo, ha condannato la società datoriale alla reintegra dei predetti nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino alla reintegra, in misura non superiore alle dodici mensilità, oltre accessori di legge, versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, e previa detrazione di quanto eventualmente percepito dai medesimi per lo svolgimento di altre attività lavorative nel periodo di estromissione dal lavoro.

2. La Corte territoriale ha dato atto di come:

– la società, con nota del 30.4.2014, avesse comunicato alle OO.SS. la necessità di ridurre l’organico di sei dipendenti occupati presso l’unità produttiva di Roma, attività Servizi Generali;

– quest’ultima attività era stata oggetto nel 2005 di trasferimento di ramo d’azienda;

– i lavoratori reclamanti, unitamente ad altri non parti in causa, avevano ottenuto il ripristino del rapporto di lavoro presso la società cedente, presso cui doveva ritenersi non soppressa l’unità Servizi Generali;

– i medesimi dipendenti erano stati inseriti in una prima procedura di mobilità iniziata nel 2007;

– a seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento nell’ambito di detta procedura, gli stessi erano stati formalmente reintegrati dalla datrice di lavoro, ma esonerati dalla prestazione. 3. La Corte di merito ha ritenuto come la comunicazione di apertura della procedura di mobilità avviata nel 2014 facesse riferimento alle medesime causali della procedura risalente al 2007, già dichiarata giudizialmente illegittima, e non contenesse alcun riferimento alle attuali esigenze tecnico produttive delle singole unità produttive.

4. Ha rilevato come la società non avesse dimostrato il rispetto dei criteri di scelta e come, in concreto, l’attribuzione di un punteggio pari a 100 ai lavoratori addetti a posizioni non soppresse e pari a zero per i lavoratori assegnati a posizioni soppresse, avesse consentito a parte datoriale di scegliere, a suo insindacabile giudizio, i lavoratori da espellere.

5. Ha ritenuto, sulla base della condotta datoriale come complessivamente ricostruita, che fosse dimostrato il carattere ritorsivo dei licenziamenti intimati ai reclamanti e che l’individuazione dei medesimi lavoratori fosse avvenuta con criteri ritorsivi e discriminatori, in violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5.

6. Ha applicato la sanzione di cui all’attuale testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, a cui fa rinvio L. n. 223 del 1991, l’art. 3, comma 3, come modificato dalla L. 92 del 2012, sul presupposto di un parallelismo tra il vizio del recesso in oggetto e l’ipotesi di licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 5,comma 1.

7. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Pfizer Italia s.r.l., affidato a cinque motivi, cui hanno resistito con controricorso i lavoratori.

8. La Pfizer ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso la società ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1345 e 1324 c.c., art. 1418 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c..

2. Ha sostenuto come la procedura di mobilità del 2014 fosse stata attuata per ragioni di carattere oggettivo, legate all’andamento negativo dell’azienda e alla soppressione del posto di lavoro degli attuali controricorrenti, reintegrati con sentenza della Corte d’appello n. 7396 del 2013, in ragione della persistente esternalizzazione delle attività dei Servizi Generali a cui gli stessi erano assegnati.

3. Ha rilevato come l’onere di prova della natura ritorsiva del licenziamento gravasse unicamente sui lavoratori e come nel caso di specie non fosse stata neanche fornita la prova della esclusività dell’intento ritorsivo, costituendo dato pacifico la soppressione del posto di lavoro dei controricorrenti.

4. Col secondo motivo la società ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..

5. Ha rilevato come la Corte d’appello avesse argomentato la natura ritorsiva dei licenziamenti sulla base di due indizi principali: la persistente esistenza in seno alla datrice dell’unità Servizi Generali e il ricorso alla procedura di mobilità nel 2014 sulla base di uno stato di fatto risalente al 2005.

6. Ha sostenuto l’erroneità di entrambi tali elementi indiziari.

7. Riguardo al primo, ha precisato come la sentenza del tribunale di Roma, n. 23407 del 2007, confermata nei gradi successivi, sul presupposto della mancanza dei requisiti di autonomia funzionale del ramo ceduto, unità Servizi Generali, avesse dichiarato illegittimo il trasferimento, ai sensi dell’art. 2112 c.c., degli odierni controricorrenti alle dipendenze della cessionaria Siram. In esecuzione di tale sentenza, la società aveva quindi ripristinato presso di sè il rapporto di lavoro dei predetti senza poterli riassegnare alla unità Servizi Generali, comunque esternalizzata. E proprio nella impossibilità di un’utile ricollocazione, la società aveva prima distaccato gli stessi presso Siram e poi li aveva posti in mobilità (2007). La esternalizzazione delle attività prima facenti capo all’unità Servizi Generali costituiva dato pacifico, acclarato anche nelle sentenze emesse nei successivi gradi di giudizio, n. 957 del 2010 della Corte d’appello di Roma e n. 21917 del 2013 della Suprema Corte.

8. Col terzo motivo di ricorso, la società ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, degli artt. 1362 e 1363 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..

9. Ha sostenuto l’insussistenza del secondo indizio, posto a base della decisione impugnata, affermando come la lettera di apertura della mobilità 2014, integralmente trascritta, contenesse ampia descrizione delle vicende organizzative ed economiche e della attuale struttura aziendale, idonee a rendere conto dell’esubero dei lavoratori in questione.

10. Col quarto motivo di ricorso, la società ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, degli artt. 1175 e 1375 c.c..

11. Ha ribadito di avere utilizzato, quali criteri di scelta, non solo le esigenze tecnico produttive ed organizzative, ma anche carichi di famiglia e anzianità; ha ribadito come, a seguito dell’avvenuta esternalizzazione, l’unità Servizi Generali costituisse una posizione soppressa e che in aderenza a tale dato era stato assegnato un punteggio pari a zero ai dipendenti originariamente addetti a tale unità.

12. Col quinto motivo la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, sul rilievo dell’erronea applicazione al caso di specie della tutela prevista dall’art. 18, comma 4, dettata per l’ipotesi, non integrata, di violazione dei criteri di scelta.

13. Il primo motivo è infondato atteso che la Corte territoriale, al di là di alcune imprecise enunciazioni, ha correttamente applicato i principi che regolano la distribuzione dell’onere di prova ove sia dedotto il carattere ritorsivo del licenziamento.

14. Sul punto questa Corte ha affermato come “L’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, L. n. 604 del 1966, ex art. 5, l’esistenza di giusta causa o giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illiceità del motivo unico e determinante (l’intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso” (Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 23149 del 2016).

15. La Corte di merito, con motivazione logica e coerentemente ancorata ai dati di fatto accertati, ha desunto il carattere ritorsivo dei licenziamenti da plurimi, gravi e concordanti “elementi presuntivi puntualmente allegati e provati dagli odierni reclamanti”, quali la persistenza nella struttura aziendale dell’unità Servizi Generali, l’illegittimità della procedura di mobilità del 2014 coinvolgente unicamente i dipendenti per cui è causa, l’adozione di criteri di scelta atti a consentire una selezione assolutamente discrezionale dei lavoratori da licenziare.

16. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, per essere le censure mosse inidonee a confutare l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, sulla persistente appartenenza alla società dell’unità Servizi Generali, quale effetto delle pronunce, espressamente richiamate, di illegittimità del trasferimento di ramo d’azienda del gennaio 2005, del successivo distacco dei lavoratori e della procedura di mobilità risalente al 2007.

17. La Corte di merito ha sottolineato come “le operazioni poste in essere dalla datrice e relative al trasferimento di ramo d’azienda nel gennaio 2005 nonchè i successivi tentativi di distacco della medesima unità sono stati dichiarati illegittimi con provvedimento giudiziale ed i lavoratori ceduti conseguentemente reintegrati nell’organico Pfizer” e da tale ordine di reintegra, che ha acquisito autorità di giudicato, ha desunto la persistente appartenenza alla società dell’unità Servizi Generali.

18. Tale accertamento non può dirsi inficiato dalle generiche attestazioni della società ricorrente, secondo cui “le sentenze intervenute… non hanno mai messo in discussione la intervenuta esternalizzazione – reale ed effettiva – delle attività di competenza degli allora Servizi Generali”, e neanche dagli stralci delle sentenze (Tribunale di Roma n. 23405 del 2007, Corte d’appello di Roma n. 957 del 2010, Corte di Cassazione n. 21917 del 2013) riportati nel ricorso, tenuto conto della inerenza delle suddette pronunce alle domande proposte dai lavoratori e ai conseguenti effetti e limiti del giudicato.

19. Sul terzo motivo, con cui si censura la ritenuta illegittimità della lettera di apertura della procedura di mobilità del 2014, occorre richiamare i principi affermati da questa Corte nella materia in esame, secondo cui la comunicazione di inizio della procedura ha sia la finalità di far partecipare le organizzazioni sindacali alla successiva trattativa per la riduzione del personale, sia di rendere trasparente il processo decisionale datoriale nei confronti dei lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall’azienda; la mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, invalida la procedura e determina l’inefficacia dei licenziamenti; tale vizio non è ex se sanato dalla successiva stipulazione di accordo sindacale di riduzione del personale e dall’indicazione in esso di un criterio di scelta dei dipendenti da licenziare, ed il giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve comunque verificare – con valutazione di merito a lui devoluta e non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistita da valutazione sufficiente e non contraddittoria – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura, (Cass. n. 5034 del 2009; Cass. n. 15479 del 2007).

20. Va, altresì, riaffermato il principio, di cui alla sentenza n. 168 del 2009, secondo cui in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, (Cass. n. 880 del 2013; Cass. n. 5034 del 2009). E’ inoltre innegabile che il contenuto delle comunicazioni previste dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, dai commi 2 e 9 debba avere ad oggetto le condizioni in cui si trova l’impresa al momento in cui avvia la procedura (Cass. n. 19271 del 2013), costituendo l’attualità di tali condizioni premessa logica dei motivi di riduzione del personale.

21. Nel caso in esame, la Corte territoriale, in base ad un percorso argomentativo congruo e rispettoso della normativa applicabile alla fattispecie e dei principi sopra enunciati, ha rilevato come la comunicazione del 30.5.2014 fosse meramente ripetitiva delle ragioni poste a base della precedente procedura di mobilità, dichiarata giudizialmente illegittima, e non contenesse alcun “riferimento attualizzato alle esigenze tecnico produttive nè ai costi delle singole unità produttive”, risultando peraltro dai bilanci della società “negli anni 2010 e 2011 un incremento del fatturato non idoneo a ritenere provata la sia pure asserita riduzione, in misura costante, del medesimo”.

22. Al riguardo, deve ribadirsi come l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisca un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione, (Cass. n. 9120 del 2015).

23. Si è ulteriormente precisato che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice di merito sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. Cass. n. 10044 del 2010; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 5273 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007).

24. Nel caso di specie, le censure mosse dalla società, che fanno leva sulla omessa lettura globale e sistematica della comunicazione in oggetto, si traducono in una critica che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità in quanto limitata a contrapporre alla valutazione operata dalla Corte di merito, una pretesa attualità delle esigenze tecnico organizzative comunque ricollegate alla soppressione nel 2005 dell’unità Servizi Generali, ipotesi logicamente contraddetta dall’accertamento contenuto nella sentenza impugnata. Nè a risultati diversi può condurre la critica alla valutazione operata dalla Corte che si è limitata a registrare l’andamento positivo del fatturato riferito agli anni 2010 e 2011, non smentito dalla stessa ricorrente.

25. Analoghe considerazioni possono ripetersi a proposito del quarto motivo di ricorso atteso che la concreta individuazione dei criteri di scelta e le modalità applicative degli stessi devono garantire il rispetto, oltre che del principio di non discriminazione, anche dei canoni di razionalità, e dei connessi criteri di obiettività e generalità, sì da risultare coerenti col fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori.

26. Nel caso di specie, la valutazione della Corte territoriale sul peso assegnato alle posizioni lavorative, a seconda che fossero o meno soppresse, e sulla irrazionalità ed aleatorietà del criterio medesimo, tale da supportare unicamente la prova logica dell’intento ritorsivo del datore nella selezione dei dipendenti in esubero, appare congruamente motivato e si sottrae a qualsiasi censura di violazione di norme di diritto.

27. L’infondatezza del quarto motivo di ricorso porta a ritenere assorbito il quinto motivo, concernente l’individuazione della tutela applicabile.

28. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere interamente respinto, con condanna di parte datoriale, secondo il criterio di soccombenza, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

29. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore dell’avv. Fabrizio de Lorenzo, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA