Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26032 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 15/10/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 15/10/2019), n.26032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20230-2015 proposto da:

SEVEL SOCIETA’ EUROPEA VEICOLI LEGGERI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GIACINTO FAVALLI e MARIO OTTONE CAMMARATA;

– ricorrente –

contro

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

9, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO NOTARO, rappresentato e

difeso dall’avvocato PIETRO ANGELO DI IENNO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 151/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/02/2015, R. G. N. 1210/2013.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 19.2.2015, respingeva il gravame proposto dalla Sevel S.p.a. avverso la decisione del Tribunale di Lanciano che aveva accolto il ricorso proposto da F.P., riconoscendone l’inquadramento nella rivendicata superiore 4 categoria a far data dal gennaio 2001, in relazione alle mansioni di Conduttore Processi Integrati presso l’UTE 7, svolte dal 20.1.2001 al 5.1.2004, e di Team Leader svolte dal 5.1.2004 al 19.9.2006, e condannava la società al pagamento delle correlate differenze retributive;

2. la Corte rilevava che era stato corretto l’accertamento “trifasico” eseguito dal primo giudice, il quale aveva rilevato come il tratto distintivo che connotava la quarta categoria era costituita dal possesso di più specifiche cognizioni tecnico-pratiche ovvero, in assenza di tale requisito, dallo svolgimento di funzioni di coordinamento e controllo di altro personale e quindi non solo di attività esecutive e tecniche. Osservava che i compiti di c.p.l., attinenti prevalentemente al controllo del processo produttivo, erano stati pacificamente svolti dal F., il quale aveva assunto successivamente la figura di Team Leader, con compiti anche di coordinamento di un ristretto numero di operai;

3. quanto alla domanda di risarcimento del danno da demansionamento, proposta per il periodo successivo al 19.9.2006, la Corte rilevava che, dovendo essere intesa l’equivalenza di mansioni non solo nel senso del pari valore professionale delle mansioni a confronto, ma anche come attitudine della nuova posizione a consentire l’arricchimento del patrimonio professionale acquisito nella fase pregressa, al riconosciuto inquadramento nella quarta categoria conseguiva l’evidente demansionamento per effetto della regressione del Fa. alle mansioni di addetto alla linea di produzione, che non aveva più svolto dal 2001, con danno quantificato in base a parametri e principi condivisi, rispetto ai quali la contestazione della società era stata generica;

4. di tale decisione domanda la cassazione la società SEVEL, affidando l’impugnazione a sei motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, cui resiste, con controricorso, il F..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. con il primo motivo, la società denunzia falsa applicazione e violazione dell’art. 2103 c.c., nonchè dell’art. 1, sez. Quarta, Titolo II, del CCNL Industria Metalmeccanica, assumendo che l’autorità giudiziaria, oltre a seguire il procedimento logico giuridico trifasico per l’accertamento della qualifica superiore, debba anche verificare il concreto grado di autonomia assunto e la prevalenza delle mansioni superiori rispetto a quelle assegnate al dipendente, verifica che asseritamente non era stata compiuta, in quanto la relativa omissione risultava dal testo della sentenza. La società aggiunge a quanto indicato il rilievo che il tratto distintivo della IV categoria era stato individuato nel possesso di più specifiche cognizioni tecnico pratiche ovvero, in assenza di tale requisito, nello svolgimento di funzioni di coordinamento e controllo di altro personale, laddove anche per quest’ultimo era necessaria la verifica della prevalenza, posto che le mansioni di controllo e coordinamento dovevano essere svolte in maniera predominante;

2. con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame di un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ed omesso esame circa la sussistenza dei requisiti necessari per il riconoscimento del superiore inquadramento, rilevando come i compiti della qualifica rivendicata implichino particolari abilità o cognizioni tecniche, non risultate dimostrate nel caso all’esame;

3. con il terzo motivo, la SEVEL s.p.a. si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento alla circostanza dirimente dell’essere stato il Fa. sempre soggetto alle direttive del proprio Capo UTE, e della erroneità della sentenza di primo grado laddove ha omesso l’esame delle risultanze istruttorie che deponevano per la mancanza di autonomia del predetto in relazione alla necessità di sottostare al controllo ed alle direttive altrui (Responsabile UTE);

4. con il quarto motivo, la ricorrente ascrive alla decisione impugnata falsa applicazione e violazione dell’art. 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 115 c.p.c., sostenendo l’errata ed omessa valutazione delle risultanze istruttorie, che – si assume – se correttamente valutate, avrebbero condotto ad una diversa decisione. Si osserva che, con riguardo alla declaratoria del IV livello, doveva rilevarsi che le mansioni del Team Leader come descritte non erano quelle proprie del livello rivendicato, non avendo il F., che aveva sempre operato sulla base di precise istruzioni impartitegli dal Capo U.T.E., avuto il benchè minimo potere di coordinamento e direzione di altre risorse, nè alcuna autonomia decisionale e/o operativa;

5. quale conseguenza delle censure proposte nei precedenti motivi, la società lamenta l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., con riferimento al presunto demansionamento subito nel periodo successivo al 19.9.2006, per effetto dell’assegnazione a mansioni di linea presso l’U.T.E. 11;

6. sempre in connessione con i motivi da 1 a 4 è dedotta l’erroneità della decisione quanto alla ritenuta sussistenza del danno alla professionalità quale conseguenza dell’erroneo ritenuto demansionamento;

7. la critica avanzata con il primo motivo si palesa come connotata da assoluta genericità e peraltro la società non ha allegato di avere sollecitato un’indagine di tale natura già nell’atto di gravame, posto che una critica in tali termini poteva sicuramente essere avanzata già nei riguardi della sentenza di primo grado, che aveva accolto le istanze del lavoratore;

7.1. in ogni caso, il contenuto della pronuncia impugnata non denota un giudizio limitato ed incompleto sul piano evidenziato nella censura, posto che lo svolgimento delle mansioni corrispondenti alla declaratoria del superiore livello è stato ritenuto pieno e non affiancato a mansioni proprie della qualifica di provenienza (i compiti di CPI “sono stati pacificamente svolti dal F.” dal 20.1.2001 al 5.1.2004 e, dal 2004 al 19.9.2006, anche compiti di coordinamento di un ristretto numero di operai sono stati pacificamente espletati in aggiunta a quelli sopra indicati – sempre ricondotti alla IV categoria -: v. pag. 4 della sentenza impugnata);

7.2. a prescindere dalle considerazioni in merito alla non evidenza di una tale omissione in sede di valutazione dell’attività concretamente espletata dal lavoratore, non risulta allegato al ricorso per cassazione il CCNL se non per uno stralcio riferito alle declaratorie delle categorie contrattuali riguardanti una parte della classificazione del personale), del quale è indicato la sede di rinvenimento nel fascicolo di parte di primo grado, e ciò in difformità ai principi sanciti da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 4.3.2019 n. 6255; Cass. 4.3.2015 n. 4350);

8. in ordine al secondo motivo, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 è preclusa in presenza di doppia conforme, stante l’applicabilità ratione temporis della relativa previsione – art. 348 ter c.p.c., comma 5, – ostativa alla sua deduzione, per essere la data di deposito del ricorso in sede di gravame all’evidenza successiva alla data dell’11 settembre 2012 (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2), atteso che già la sentenza di primo grado è stata depositata il 22.7.2013;

8.1. il motivo risulta, poi, non compatibile con la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato, che prevede la corretta indicazione del fatto asseritamente omesso nell’esame, nel rispetto del paradigma deduttivo (dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”) prescritto dal novellato testo della norma: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori, ostativi ad una valutazione della motivazione insufficiente o contraddittoria, salvo che essa non risulti apparente nè perplessa o obiettivamente incomprensibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439): ciò che non si verifica nel caso di specie;

9. anche il terzo motivo è inammissibile, per attenere alla valutazione delle risultanze istruttorie, compito riservato al giudice del merito, oltre che per quanto sopra osservato sulla doppia conforme;

10. con riferimento alle censure articolate nel quarto motivo, in cui si ritiene, come peraltro già evidenziato nel motivo precedente, che la soggezione alle direttive del Capo UTE dovesse indurre ad escludere i requisiti di direzione e coordinamento di altre risorse previsti per il riconoscimento della categoria rivendicata, è erroneo il richiamo alla violazione di norme procedurali, posto che in primo luogo non è disatteso il contenuto dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, essendo la motivazione sussistente e non meramente apparente: l’esame delle circostanze processuali effettuata è idonea, invero, a dare contezza dell’iter logico argomentativo seguito dalla Corte del merito nel pervenire alla soluzione adottata, essendo peraltro direzione e coordinamento non incompatibili con la presenza di un Capo UTE;

11. non si verte nell’ipotesi di una violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nei casi, che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza, di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, alla cui esclusiva verifica è attualmente circoscritto (oltre alla possibilità di deduzione del vizio di motivazione per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia) il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940): sicchè, a fronte di un percorso argomentativo a sostegno della decisione assunta, il mezzo di impugnazione consiste in un’evidente contestazione della valutazione probatoria del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892);

12. per il resto, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c., può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: – abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; e poichè, in realtà, nessuna di tali situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste: nella specie, la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;

13. le considerazioni che precedono inducono a ritenere l’infondatezza del quinto e sesto motivo, come effetto consequenziale del rigetto dei motivi riguardanti l’avvenuto riconoscimento del superiore inquadramento, rispetto al quale è stato ravvisato il successivo demansionamento;

14. in conclusione, deve pervenirsi al rigetto complessivo del ricorso della società;

15. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;

16. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato D.P.R. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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