Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2603 del 02/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 02/02/2018, (ud. 09/11/2017, dep.02/02/2018),  n. 2603

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 7 giugno 2012) rigetta l’appello proposto dall’architetto Z.G. avverso la sentenza n. 3592/2010 del Tribunale di Salerno che, a sua volta, aveva respinto la domanda dello Z., volta ad ottenere la reintegrazione dell’incarico dirigenziale di livello generale della direzione generale per i Beni culturali e paesaggistici della Calabria, con condanna del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC) al risarcimento dei danni.

In particolare, la Corte territoriale ha precisato che:

a) con nota del 28 marzo 2008 il MIBAC ha affidato allo Z. l’incarico suindicato, per il periodo 10 aprile 2008-9 aprile 2011;

b) dopo la stipula del contratto individuale di lavoro, l’interessato prese possesso nel nuovo Ufficio, il 7 maggio 2008;

c) il decreto di conferimento dell’incarico in oggetto (con il correlato contratto individuale di lavoro) non è stato ammesso al visto della Corte dei Conti (9 luglio 2008), in considerazione della rilevata necessità di ulteriore approfondimento istruttorio, finalizzato ad appurare l’avvenuto rispetto della Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 142/59222 del 25 gennaio 2008, contenente i criteri da applicare da parte delle Pubbliche Amministrazioni per l’attribuzione di incarichi nel periodo di crisi;

d) di conseguenza con nota del 10 luglio 2008 l’Ufficio del Gabinetto per i Beni culturali rappresentò all’interessato la necessità di disporre il ritiro del suddetto provvedimento, viste le osservazioni della Corte dei Conti;

e) con circolare del 14 luglio 2008, n. 745 venne disposto che, a decorrere dall’i settembre 2008, l’incarico dirigenziale in oggetto fosse messo a concorso, previa nomina ad interim di altro funzionario;

f) deve, pertanto, concludersi, facendo applicazione della sentenza del Consiglio di Stato, 4 Sez., 3 febbraio 2000, n. 399, che la rimozione del provvedimento di conferimento dell’incarico in oggetto è da qualificare come “mero ritiro” e non revoca in senso proprio, riguardando un atto mai divenuto efficace, data la mancanza del visto della Corte dei Conti;

g) pertanto, si tratta di un atto non soggetto all’obbligo di motivazione perchè inidoneo ad ingenerare affidamento nei destinatari;

h) peraltro, la ratio del ritiro emerge chiaramente dall’implicito difetto delle condizioni oggettive anti-crisi disposte dalla richiamata Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

2. Per la cassazione di tale sentenza Z.G. ha proposto ricorso affidato a tre motivi. Gli intimati Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato, non hanno resistito con controricorso, ma hanno depositato un unico atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato originariamente chiamato all’adunanza camerale del 24 maggio 2017 avanti a questa stessa Sezione e, in quella sede, con coeva ordinanza, il Collegio ha disposto la trattazione del ricorso in udienza pubblica, non ricorrendo le condizioni per la decisione in camera di consiglio.

4. In vista dell’indicata adunanza camerale tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

1.1. Con il primo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del R.D. 12 luglio 1834, n. 1214, art. 24, che disciplina il procedimento di controllo della Corte dei conti sugli atti soggetti a visto o registrazione, sottolineandosi che, in caso di diniego di visto con richiesta di approfondimenti, l’Amministrazione che decida di procedere al ritiro dell’atto, nell’interloquire con l’interessato non può limitarsi a richiamare i rilievi dell’organo di controllo, ma deve manifestare le ragioni per le quali abbia effettuato questa scelta anzichè controdedurre sui profili di illegittimità prospettati dalla Corte dei conti (Cons. Stato, 27 ottobre 2005, n. 6031).

D’altra parte, se la ratio del richiesto approfondimento era quella di verificare la sussistenza delle esigenze funzionali non procrastinabili per assicurare pienezza e continuità all’azione amministrativa, si rileva che non risulta comprensibile la ritenuta non rispondenza a tali esigenze della nomina dello Z., quando con circolare 14 luglio 2008, n. 145 è stato comunicato dalla PA l’incarico dirigenziale in argomento era nuovamente disponibile dall’1 settembre 2008.

1.2. Con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1999, art. 5,L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 quinquies, perchè la Corte territoriale non ha configurato la fattispecie, come revoca implicita – anzichè come mero ritiro di un atto inefficace – di un incarico dirigenziale, effettuata del tutto illegittimamente (perchè non dovuta al mancato raggiungimento degli obiettivi, come stabilito dall’art. 5 cit.), oltretutto con riguardo ad un atto perfetto ed efficace, visto che quello della Corte dei conti era da qualificare come uno “pseudo-rilievo”. Tale configurazione sarebbe, di per sè, compatibile con la motivazione per relationem – cui fa riferimento la Corte d’appello nella parte finale della sentenza impugnata – tuttavia, nella specie, il richiamo alla Circolare della Presidenza del Consiglio del 25 gennaio 2008 è del tutto oscuro, sicchè la revoca risulta completamente priva di motivazione.

1.3. Con il terzo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa e/o contraddittoria motivazione, in quanto il Giudice di appello da un lato sostiene che la motivazione per relationem del suddetto “ritiro” risiederebbe nella mancanza delle condizioni oggettive di cui alla Circolare presidenziale 25 gennaio 2008 e dall’altro lato, contraddittoriamente, non considera che la nomina a direttore generale dello Z. rispondeva ad esigenze funzionali della PA, come previsto dal capo 4 della suddetta Circolare, tanto che il posto è stato reso di nuovo disponibile, a pochi giorni di distanza della revoca dell’incarico stesso.

3 – Esame delle censure.

2. I tre motivi di ricorso – da esaminare insieme data la loro intima connessione – sono da accogliere, per le ragioni e nei limiti di seguito esposti, precisandosi, con riferimento al terzo motivo, che nella specie, ratione temporis, è applicabile l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo antecedente la sostituzione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

3. Deve essere, in primo luogo, precisato che:

a) in ambito pubblicistico, è suscettibile di “mero ritiro” un atto amministrativo che, per sua natura, sia destinato ad essere superato dall’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento, a differenza della revoca di un atto amministrativo, la quale ha effetti durevoli ed essendo idonea ad ingenerare il connesso legittimo affidamento, presuppone, per legge, l’instaurazione del contraddittorio procedimentale e la motivazione del provvedimento stesso, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21-quinquies (vedi, per tutte: Cons. Stato, Sez. 3, sent. 7 luglio 2017, n. 3359; TAR Lazio Roma, Sez. 2 ter, sent. 21 giugno 2017, n. 7206);

b) d’altra parte, è pacifico che “il visto della Corte dei Conti non è un elemento costitutivo del provvedimento amministrativo, ma è un atto autonomo che produce l’effetto di rendere efficace il provvedimento il quale, fino alla conclusione del procedimento di controllo, non può essere posto in esecuzione”, sicchè che “l’eventuale esecuzione di un atto prima della registrazione comporta l’assunzione di ogni responsabilità inerente e conseguente alla eventuale mancata registrazione” (ex plurimis: Cass. SU 24 ottobre 1990, n. 10323; Cass. SU 18 luglio 1980, n. 4690; Cass. 8 luglio 2005, n. 14362; Corte dei conti, delibera n. 10/2009/P del 19 giugno 2009, pronunciata nell’Adunanza del 21 maggio 2009).

4.- E’ jus receptum che, nel pubblico impiego contrattualizzato:

a) gli atti e procedimenti posti in essere dall’Amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati dei dipendenti devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, in base ad una precisa scelta legislativa (nel senso dell’adozione di moduli privatistici dell’azione amministrativa) che la Corte costituzionale ha ritenuto conforme al principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97 Cost. (sentenze n. 275 del 2001 e n. 11 del 2002), sicchè, esclusa la presenza di procedimenti e atti amministrativi, non possono trovare applicazione i principi e le regole proprie di questi e, in particolare, le disposizioni dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 (vedi, per tutte: Cass. SU 14 ottobre 2009, n. 21744; Cass. 18 febbraio 2005, n. 3360; Cass. 24 ottobre 2008, n. 25761);

b) pure gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali – come quello di cui qui si discute rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro;

c) in tale ambito le norme contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., restando la scelta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro (sia pure con il vincolo del rispetto di determinati elementi sui quali la selezione deve fondarsi), al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale (Cass. 23 settembre 2013, n. 21700 e Cass. 30 settembre 2009, n. 20979);

d) ne deriva che, in base agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., la PA è tenuta – fra l’altro – ad adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle proprie scelte, sicchè laddove tale regola non è rispettata, è configurabile un inadempimento contrattuale della PA, suscettibile, dinanzi al giudice ordinario, di produrre danno risarcibile (Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21671; Cass. 14 aprile 2008, n. 9814; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21088);

e) poichè gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali sono da ascrivere alla categoria degli atti negoziali (e non a quella degli atti amministrativi in senso proprio), ad essi si applicano le norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato possono definirsi in termini di “interessi legittimi”, ma di diritto privato, come tali, pur sempre rientranti nella categoria dei diritti di cui all’art. 2907 c.c. e quindi suscettibili di tutela anche in forma risarcitoria, non potendo, di regola, aversi un intervento sostitutivo del giudice ordinario, salvo i casi di attività vincolata e non discrezionale (vedi, fra le altre: Cass. 24 settembre 2015, n. 18972; Cass. 14 aprile 2015, n. 7495; Cass. 22 giugno 2007, n. 14624; Cass. 22 dicembre 2004, n. 23760; Cass. SU 19 ottobre 1998, n. 10370).

5. Nella presente fattispecie il MIBAC, dopo aver dato esecuzione al contratto concluso con lo Z., consentendone la presa di possesso ancor prima di aver ottenuto il visto della Corte dei conti, ha, con nota del 10 luglio 2008, rimosso l’interessato dall’incarico stesso, limitandosi a richiamare la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 142/59222 del 25 gennaio 2008, contenente i criteri da applicare da parte delle Pubbliche Amministrazioni per l’attribuzione di incarichi nel periodo di crisi, ma senza offrire alcuna spiegazione in merito alla scelta di revocare l’incarico così bruscamente senza neppure effettuare gli approfondimenti richiesti dalla Corte dei Conti, offrendo così giustificazioni rispetto ai profili di illegittimità prospettati in sede di controllo preventivo di contabilità (Cass. SU 13 gennaio 1994, n. 9386; Cons. Stato, 27 ottobre 2005, n. 6031).

6. Ne consegue che – qualunque sia, nell’ambito del diritto amministrativo, la formale qualificazione attribuibile alla suindicata nota di anticipata rimozione dall’incarico – quel che è certo è che:

a) la PA non solo ha illegittimamente proceduto a dare esecuzione al suddetto contratto prima della registrazione della Corte dei Conti, assumendosi quindi ogni responsabilità inerente e conseguente alla eventuale mancata registrazione, come si è detto;

b) in tal modo la PA ha creato una situazione idonea ad ingenerare nello Z. il connesso legittimo affidamento sulla prosecuzione del rapporto, essendo ad esclusivo carico della PA l’onere di non mettere in esecuzione i provvedimenti soggetti al controllo preventivo della Corte dei conti fino alla conclusione del procedimento di controllo;

c) senza che ne ricorressero le ragioni ai sensi della relativa disciplina (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19 e normativa collegata) il MIBAC ha poi bruscamente interrotto tale esecuzione con un atto ad effetti durevoli, che non poteva che essere adottato con adeguate forme di partecipazione al relativo processo decisionale e con l’esternazione delle ragioni giustificatrici nei suindicati termini, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost..

7. Da tali osservazioni si desume che, diversamente da quanto si afferma nella sentenza impugnata, l’avvenuto inizio dell’esecuzione del contratto de quo prima della conclusione del procedimento di controllo, unitamente alla mancanza di una – necessaria – chiara ed esplicita esternazione delle ragioni giustificatrici poste a base della nota del 10 luglio 2008, costituiscono violazioni dei criteri di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili nei rapporti di pubblico impiego contrattualizzato alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost. e sono pertanto suscettibili, dinanzi al giudice ordinario, di produrre danno risarcibile per inadempimento contrattuale della PA.

8. A ciò va aggiunto, sempre nell’ottica privatistica propria del presente giudizio, che non vi è alcuno spazio per ipotizzare una motivazione “per relationem” della nota anzidetta secondo quanto, invece, si afferma nella parte finale della sentenza qui impugnata – per tutte la anzidette ragioni.

D’altra parte, va anche rilevato che la Corte territoriale, pur considerando la nota suddetta (implicitamente) giustificata dal rispetto delle misure assunzionali anti-crisi disposte dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, tuttavia si limita a riferire – senza alcun approfondimento al riguardo – che solo quattro giorni dopo la suddetta nota, con circolare del 14 luglio 2008, n. 745, venne disposto dal MIBAC che, a decorrere dall’1 settembre 2008, l’incarico dirigenziale in oggetto sarebbe stato messo a concorso, previa nomina ad interim di altro funzionario.

Non risultano, pertanto, chiarite da parte della Corte territoriale, le ragioni per le quali in così poco tempo la PA abbia considerato sussistenti (con riferimento ad un persona diversa dallo Z.) le condizioni per rispettare le misure anti-crisi in oggetto, quando poco prima lo stesso MIBAC aveva ritenuto di non dare alcuna risposta sul punto alla Corte dei conti (con riguardo allo Z.).

Per come si è svolta la presente vicenda, sarebbe stato senz’altro significativo avere chiarimenti a tale ultimo riguardo al fine di una migliore ricostruzione del complessivo comportamento del MIBAC alla luce dei canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) e quindi degli artt. 1175 e 1375 c.c..

4 – Conclusioni.

8. In sintesi, il ricorso deve essere accolto, per le ragioni e nei limiti dianzi indicati e con assorbimento di ogni altro profilo di censura.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, la quale si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:

“nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato, per gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali – che rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro – in base agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., la PA è tenuta – fra l’altro – ad adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle proprie scelte, sicchè laddove tale regola non venga rispettata, è configurabile un inadempimento contrattuale della PA, suscettibile, dinanzi al giudice ordinario, di produrre danno risarcibile. Ne consegue che se, illegittimamente, una Pubblica Amministrazione da esecuzione al contratto individuale di lavoro di un dirigente prima della registrazione del decreto di conferimento dell’incarico stesso da parte della Corte dei conti, si assume ogni responsabilità inerente e conseguente alla eventuale mancata registrazione. Pertanto, secondo le suddette disposizioni, qualora la PA decida di procedere alla brusca revoca del suddetto incarico dirigenziale, anzichè controdedurre ai rilievi formulati dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo, deve farlo mettendo l’interessato in condizione di intervenire nel relativo procedimento decisionale e di conoscere adeguatamente le ragioni poste a base della scelta operata. Tale scelta, infatti, con effetti durevoli, risulta violativa del legittimo affidamento del destinatario dell’atto revocato sulla prosecuzione del rapporto, ingenerato dalla stessa PA, essendo ad esclusivo carico della PA l’onere di non mettere in esecuzione i provvedimenti soggetti al controllo preventivo della Corte dei conti fino alla conclusione del procedimento di controllo”.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata, con riguardo ai profili di censura accolti, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 9 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2018

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