Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26026 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 17/11/2020), n.26026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10081-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

G.A.M., C.M.L., elettivamente domiciliate

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate

e difese dall’avvocato GLADYS CASTELLANO;

– controricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1870/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato estinti i crediti oggetto di due cartelle esattoriali notificate a C.M.L. e ad G.A.M.;

per la sola questione che rileva in questa sede, la Corte territoriale ha ritenuto applicabile il termine quinquennale, come da pronuncia della Cass. n. 23397 del 2016, anche dopo la notifica delle cartelle; nel caso di specie, detto termine quinquennale era interamente maturato prima della notificazione delle intimazioni di pagamento, in assenza di ulteriori atti interruttivi;

avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate con un unico e articolato motivo;

hanno resistito, con controricorso, l’INPS nonchè C.M.L. e G.A.M., con un unico atto;

è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

C.M.L. e G.A.M. hanno depositato memoria.

Diritto

RILEVATO

CHE:

con un unico motivo è dedotta violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 5 (ora comma 6) e della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 197 nella parte in cui la sentenza impugnata non avrebbe considerato che dal 1999 dopo l’iscrizione a ruolo la prescrizione (anche) dei crediti previdenziali è decennale;

le censure sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi significativi per rimeditare la consolidata elaborazione giurisprudenziale (Cass. n. 7155 del 2017);

è noto il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (n. 23397 del 2016), secondo il quale: ” La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, questa Corte è successivamente intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

si è anche già osservato come alcun rilievo assuma il richiamo alle norme del D.Lgs. n. 112 del 1999 (art. 19, comma 4, e art. 20, comma 6) nella parte in cui è stabilito un termine di prescrizione decennale che questa Corte ha già chiarito essere strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 cit., Cass. n. 31352 del 2018);

di recente, la Corte ha, anche, valutato la portata della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 197; la disposizione contempla un termine di prescrizione decennale che è relativo al “riaffido” da parte dell’ente creditore all’agente per la riscossione dei crediti – già oggetto di dichiarazione di “saldo e stralcio” ai sensi dello stesso art. 1, comma 184 e ss. – rispetto ai quali siano sorte irregolarità o falsità. Tale termine di prescrizione, si ripete, si riferisce ai rapporti interni tra ente creditore e agente della riscossione e non va confuso con quello quinquennale valevole nei confronti del soggetto passivo del debito contributivo e di cui si discute invece nel giudizio (Cass. n. 1826 del 2020);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile;

non sussistono i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 3, non ravvisandosi la malafede o colpa grave della Agenzia delle entrate;

le spese seguono la soccombenza e sì liquidano, in favore di ciascuna parte controricorrente, come da dispositivo;

non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (ex plurimis, in motiv. Cass. n. 23428 del 2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 10.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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