Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26022 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. un., 15/10/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 15/10/2019), n.26022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente di sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente di sez. –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17370-2019 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DONATO MUSA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 53/2019 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 24/05/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’avvocato Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Dott. M.F. – magistrato ordinario già condannato alla sanzione della rimozione con sentenza divenuta definitiva a seguito di Cass. SU n. 1783 del 2011 – ha proposto ricorso, per un unico motivo, avverso l’ordinanza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 53 del 2019, con la quale è stata dichiarata inammissibile l’istanza di revocazione del M. avverso l’ordinanza di inammissibilità della stessa Sezione disciplinare della richiesta di revisione del procedimento disciplinare instaurato nei propri confronti;

per la discussione del ricorso, iscritto con il n. RG 17370 del 2019 è stata fissata la pubblica udienza del giorno 8 ottobre 2019 innanzi alle Sezioni Unite;

in data 27 settembre 2019 il Dott. M. ha depositato istanza di ricusazione, ai sensi dell’art. 52 c.p.c. e art. 51 c.p.c., n. 4, nei confronti dei componenti del Collegio Cons. Dott. G.A., Cons. L.L. e Cons. Gi.Al.;

a fondamento della ricusazione l’istante ha rilevato che i predetti magistrati sono stati componenti del collegio di queste Sezioni Unite che ha pronunciato la sentenza n. 18269 del 2019, con la quale è stata confermata la decisione di inammissibilità dell’istanza di revisione dell’interessato;

il 2 ottobre 2019 il ricorrente ha inviato via PEC – invio, poi, perfezionato con tempestivo deposito in Cancelleria – una integrazione dei motivi dell’istanza di ricusazione, nella quale sostiene che, nei confronti dei medesimi Giudici, si profilerebbe un’ulteriore ragione di ricusazione ai sensi dell’art. 51 c.p.c., n. 3, , consistente nel loro interesse ad emettere una sentenza nel merito nel presente giudizio per potersene poi giovare all’esito del giudizio di responsabilità di cui alla L. 13 aprile 1988, n. 117 (instaurato dal M.), qualora la Presidenza del Consiglio dei Ministri decidesse di agire in rivalsa nei loro confronti;

alla fissata adunanza camerale dell’8 ottobre 2019 il P.M. ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso per ricusazione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

il Collegio ritiene che la presente istanza di ricusazione deve essere dichiarata inammissibile, per plurime concorrenti ragioni;

quanto al primo motivo va ricordato che per costante indirizzo di questa Corte – assurto al rango di diritto vivente – l’incompatibilità che, ai sensi dell’art. 51 c.p.c., n. 4 e art. 52 c.p.c., giustifica l’accoglimento dell’istanza di ricusazione per avere il giudice conosciuto del merito della causa in un altro grado dello stesso processo non è ravvisabile nell’ipotesi in cui gli stessi componenti del Collegio delle Sezioni Unite investito della decisione sul ricorso avverso un provvedimento disciplinare posto a carico di un magistrato, abbiano emesso delle decisioni con riguardo a provvedimenti che attengano al suddetto procedimento disciplinare o ai suoi effetti;

infatti, simili decisioni appartengono a serie processuali autonome sia per presupposti, sia per ambito di cognizione sia per effetti impugnatori e, di conseguenza, non sono in alcun modo riferibili “ad un altro grado dello stesso processo” (vedi, per tutte: Cass. SU 26 gennaio 2011, n. 1783 e, nello stesso senso: Cass. SU 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass. 18 luglio 2016, n. 14655; Cass. 10 marzo 2009, n. 5753);

pertanto, la suddetta riferibilità non è neppure ipotizzabile, nella specie, con riguardo alla partecipazione al Collegio di queste Sezioni Unite che ha emesso la sentenza n. 18269 del 2019 – di conferma della dichiarazione di inammissibilità della revisione richiesta dall’interessato alla Sezione disciplinare del CSM – ed il giudizio introdotto dinanzi a queste Sezioni Unite dal Dott. M. con il ricorso iscritto con il n. RG 17370 del 2019 avverso l’ordinanza della Sezione disciplinare dichiarativa della inammissibilità dell’istanza di revocazione dell’ordinanza di inammissibilità della richiesta di revisione del procedimento disciplinare instaurato nei confronti del M.;

è del tutto evidente che i due indicati giudizi sono del tutto autonomi sia per presupposti sia per ambito di cognizione e quindi non rientrano nella sfera di applicazione degli invocati art. 51 c.p.c., n. 4 e art. 52 c.p.c.;

una simile conclusione emerge “ictu oculi” dalla lettura delle disposizioni invocate e rende quindi inammissibile il proposto motivo;

al riguardo deve, infatti, essere ricordato che, in linea generale, la deduzione del vizio di violazione di legge consiste nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) e quindi postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

l’applicazione di tale consolidato indirizzo al caso di specie comporta che la denuncia di un motivo di ricusazione intanto possa considerarsi ammissibile in quanto il “fatto” su cui si basa sia delineato in modo specifico, onde dimostrare che in esso si rinvengono in concreto tutti gli elementi che delineano la fattispecie disciplinata dalla norma di cui si invoca l’applicazione (nella specie l’art. 51 c.p.c., n. 4 insieme con l’art. 52 c.p.c.);

l’attuale ricorrente non ha offerto tale dimostrazione e comunque, in linea generale, all’evidenza, non è neppure ipotizzabile che la situazione genericamente delineata possa essere configurata come conoscenza assunta “in altro grado del processo”;

di qui l’inammissibilità del primo motivo di ricusazione;

anche il “motivo aggiunto” va dichiarato palesemente inammissibile;

infatti, queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di chiarire che ai fini dell’applicazione dell’art. 51 c.p.c., n. 3, non può considerarsi “causa pendente” tra ricusato e ricusante il giudizio di responsabilità civile di cui alla L. 13 aprile 1988, n. 117, atteso che il magistrato non assume mai la qualità di debitore di chi abbia proposto la relativa domanda, questa potendo essere rivolta, anche dopo la L. 27 febbraio 2015, n. 18, nei soli confronti dello Stato (vedi Cass. SU 23 giugno 2015, n. 13018, che richiama Cass. pen. 19924 del 2015);

nella sua generica istanza integrativa il ricorrente non offre alcun argomento idoneo ad indurre questa Corte a discostarsi da questo principio e anzi basa la richiesta su ipotetiche illazioni prive di fondamento;

in sintesi, l’istanza di ricusazione dei Consiglieri G.A., L.L. e Gi.Al. deve essere dichiarata inammissibile;

in base all’art. 54 c.p.c., comma 2, (prevedente che, con l’ordinanza con cui rigetta o dichiara inammissibile la ricusazione, il giudice può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore ad Euro 250), e alla luce di quanto fin qui esposto, si ritiene di condannare il ricorrente al pagamento della pena pecuniaria nella misura di Euro 600,00 (in ragione di 200,00 Euro per ciascuno dei giudici infondatamente ricusati).

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso per ricusazione; condanna l’istante al pagamento della pena pecuniaria di Euro 600,00 (seicento/00).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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