Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26022 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. III, 05/12/2011, (ud. 11/11/2011, dep. 05/12/2011), n.26022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27947-2009 proposto da:

S.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VICENZA 17, presso lo studio dell’avvocato DI DOMENICO

GIUSEPPE, rappresentato e difeso dagli avvocati STAGLIANO’ GIOVANNI,

SAPORITO MARIO, con procura speciale del dott. Notaio Marco Ottaviano

Sciarra in Perugia, del 15 dicembre 2009, rep. n. 193361, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

LIBRANDI AGRICOLA SPA (di seguito indicata come “Librandi S.p.A.),

(OMISSIS), in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante p.t. Sig. L.N.

F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERTOLONI 44-46,

presso lo studio dell’avvocato MORRONE ALFREDO, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro AGEA AGENZIA EROGAZIONEI AGRICOLTURA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 473/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/06/2009; R.G.N. 1094/2008.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO SEGRETO;

udito l’Avvocato GIOVANNI STAGLIANO’ e MARIO SAPORITO;

udito l’Avvocato ALFREDO MORRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 31.7.2007, la Librandi – Società Agricola s.p.a. adiva la Sez. spec. agraria del tribunale di Crotone, assumendo che nella qualità di proprietaria aveva concesso in affitto a S.F. per le annate agrarie 1997 – 2000 e con successivo contratto per le annate agrarie 2000 -2006 alcuni fondi agricoli in Comune di (OMISSIS); che il S. non era mai entrato nella detenzione dei fondi, per cui la coltivazione degli uliveti e la raccolta dei frutti erano sempre effettuate dalla concedente-proprietaria, mentre le olive venivano poi consegnate al S.; che il contratto di affitto era relativamente dissimulato in quanto il contratto effettivamente voluto era quello di vendita dei frutti.

Si costituiva il S.F., che assumeva che il contratto di affitto non era simulato poichè egli aveva effettivamente la detenzione qualificata del terreno; che aveva commissionato alla s.p.a. Librandi la coltivazione dei terreni per suo conto; che tali coltivazione e raccolta erano da lui pagate, appunto alla proprietaria concedente, cui aveva corrisposto oltre al canone, l’ulteriore somma di L. 231.700.000 e di L. 207.040.000; che l’estraneità della concedente alla gestione dei fondi emergeva dai verbali degli accertamenti dell’autorità in merito alla concessione dei contributi comunitari e dalla riscossione da parte sua di tali aiuti.

Il tribunale con sentenza del 7.10.2008, dichiarava simulato il contratto di affitto.

La Corte di appello di Catanzaro, adita dal S., rigettava l’appello e riteneva che sulla base di presunzioni, doveva ritenersi che il contratto di affitto era relativamente simulato, poichè la detenzione qualificata del terreno, la sua coltivazione, la messa a dimora di nuove piante e la raccolta dei frutti erano tutte effettuate dalla proprietaria, mentre il contratto dissimulato era costituito dalla vendita dei frutti futuri.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione S. F..

Resistono con controricorso la Librandi Società Agricola s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal resistente per violazione dell’art. 360 bis c.p.c.. Infatti, tale norma, introdotta solo con la L. n. 18 giugno 2009, n. 69, non è applicabile alla fattispecie, in cui il provvedimento impugnato è stato pubblicato il 19.6.2009 e, quindi, prima dell’entrata in vigore della novella.

1.2. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’erronea motivazione sull’esistenza della pretesa motivazione e sulla qualificazione del contratto che si afferma dissimulato.

Assume il ricorrente che nessuna prova in merito al preteso contratto dissimulato abbia fornito l’attore nè in merito alla natura dello stesso; che il giudice non avrebbe potuto far riferimento alle presunzioni semplicir in particolare ove si fosse trattato di acquisto di frutti, come emptio spei; che erroneamente il giudice non aveva qualificato il contratto dissimulato; che era onere dell’attrice dimostrare che i pagamenti effettuati fossero riferibili ad altro credito diverso da quello dell’effettuata coltivazione.

1.3. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza per non aver considerato che non era compatibile con la vendita della produzione olearia l’attribuzione al S. degli aiuti comunitari e per non aver considerato che le ispezioni della P.A. sui fondi avvenivano alla presenza del ricorrente; che erroneamente non era stata idoneamente valutata la prova testimoniale in merito alla detenzione del fondo da parte del S..

2.1. I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente. Essi sono infondati.

Preliminarmente va osservato che ai fini della prova della simulazione inter partes nelle controversie agrarie (e quindi soggette al rito del lavoro), è in facoltà del giudice ammettere ogni mezzo di prova anche al di fuori dello specifico limite della prova testimoniale e, correlativamente, di quella presuntiva ex art. 1417 cod. civ., in quanto l’art. 421 c.p.c. nel consentire al giudice, nell’ambito del rito suindicato, di ammettere mezzi di prova senza i limiti fissati dal codice civile -si riferisce ai limiti stabiliti per la prova testimoniale dalle relative disposizioni generali degli artt. 2721, 2722 e 2723, alle quali si ricollega l’art. 1417 citato (Cass. n. 7197 del 01/12/1983; Cass. n. 117 del 12/01/1988). Inconferente, ai fini di questa causa, è la sentenza di questa Corte 16.4.2009, n. 9012, invocata da parte ricorrente.

2.2. Nella fattispecie il giudice di appello ha ritenuto che sussistesse una simulazione relativa del contratto di affitto, che dissimulava un contratto di vendita del frutto. Ha ritenuto ciò il giudice di appello sulla base di presunzioni semplici costituite dall’accertata coltivazione dei fondi da parte della s.p.a. Librandi, che provvedeva anche all’attività connessa alla coltivazione e gestione dei fondi, alla manodopera ed alle attrezzature anche per la raccolta dei frutti; che la detenzione qualificata del fondo non risultava trasferita all’apparente affittuario e che era rimasta priva di supporto probatorio la tesi della concessione della coltivazione del fondo al proprietario verso il pagamento del corrispettivo, in quanto la prova dell’avvenuto pagamento di somme, senza specifica imputazione al canone, non era idonea a dimostrare l’effettiva stipulazione del contratto di coltivazione, poichè tale versamento di somme trovava ragionevole spiegazione anche nel corrispettivo di vendita del frutto.

3.1. Va qui osservato che le presunzioni non sono relegate dall’ordinamento in grado subordinato nella gerarchia delle prove, per cui il giudice può farvi ricorso anche in via esclusiva (tra le tante, Cass. S. U., 24/03/2006, n. 6572; Cass. 6 luglio 2002, n. 9834) per la formazione del suo convincimento, purchè, secondo le regole di cui all’art. 2727 c.c..

In particolare allorchè la prova addotta sia costituita da presunzioni, come nella fattispecie, rientra nei compiti del giudice di merito il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici ed, in particolare ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass. 13.12.1982, n. 6850).

3.2. La corte di merito ha anche valutato le altre osservazioni mosse dal convenuto, osservando che la presenza del S. nell’azienda durante le ispezioni dell’autorità nonchè la qualità di destinatario degli aiuti e contributi comunitari trovavano giustificazione nell’apparente qualità rivestita dallo stesso sulla base del contratto simulato di affitto agrario.

Trattasi di valutazioni che rientrano negli esclusivi poteri del giudice di merito e che, essendo immuni da vizi di apparenza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, non meritano censure in queste sede di legittimità. Nè può questa Corte provvedere ad una rilettura di tali elementi presuntivi.

4.1. E’ infondata (a parte possibili profili di inammissibilità per carenza di interesse) la censura del ricorrente, secondo cui nella fattispecie il giudice di merito non avrebbe individuato la natura del contratto dissimulato, con la conseguenza che, ove si trattasse di vendita di cosa futura a norma dell’art. 1472 c.c. comma 2, non poteva ritenere sussistente la stessa sulla base di presunzioni, e quindi la simulazione relativa del contratto di affitto, poichè si verserebbe in tema di contratto aleatorio, non provabile appunto con presunzioni.

4.2. Le ragioni dell’infondatezza sono le seguenti. Nell’emptio spei, o vendita di speranza, il compratore, ai sensi dell’art. 1472 c.c., comma 2, si impegna incondizionatamente a pagare un prezzo determinato al venditore, anche se la cosa od il diritto venduto non vengano mai ad esistenza o siano, comunque, quantitativamente o qualitativamente diversi da quelli sperati o supposti dal compratore al momento dell’acquisto. La vendita di cosa sperata è, invece, una vera e propria vendita di cosa futura, come tale a carattere meramente obbligatorio ed a consenso anticipato che diviene completa e produce i suoi effetti definitivi, tra i quali il trasferimento del diritto venduto, solo quando sia nato il diritto o sia venuta ad esistenza la cosa venduta, con la conseguenza che se il diritto non nasce più o la cosa venduta non viene ad esistenza, il contratto manca di oggetto e la vendita diviene nulla.

La vendita di frutti naturali futuri, siano essi già pendenti o germoglianti, è vendita di cosa futura, così che la proprietà degli alberi o dei frutti del fondo è acquistata dal compratore solo quando gli alberi sono tagliati ed 1 frutti sono separati. Tale vendita si trasforma in emptio spei se il compratore si sia accollato per patto espresso l’ulteriore e distinto rischio dell’esistenza della cosa venduta, impegnandosi a pagare il prezzo in ogni evento.

Stabilire se si abbia emptio spei o emptio rei speratae o in genere vendita di cosa futura è questione di fatto che attiene all’interpretazione della volontà, perchè incensurabile in Cassazione.

4.3. Non ignora questa Corte che una molto risalente giurisprudenza di questa Corte (Sentenze n. 3088 del 08/11/1962; n. 4622 del 09/12/1957), ritiene che, poichè l’emptio spei integra un contratto aleatorio, non può essere mai presunta, attesa la sua eccezionalità, ma deve risultare da una espressa volizione delle parti e da clausole appositamente stabilite o accettate. Orbene, anche condividendo tale limitazione della prova presuntiva solo quale effetto della “struttura” del contratto aleatorio, va, in ogni caso considerato, che, come chiaramente emerge dalla lettera dell’art. 1472 c.c., comma 2, l’impossibilità di utilizzare la prova presuntiva comporta che non si può, per effetto della sola presunzione, ritenere che la vendita integri non una emptio rei speratae (di cui all’art. 1472 c.c., comma 1 con conseguente nullità del contratto se la cosa non viene ad esistenza), ma una emptio spei, di cui appunto all’art. 1472 c.c., comma 2.

In altri termini, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, l’impossibilità di utilizzare le presunzioni per i contratti aleatori esclude solo la possibilità di affermare che in luogo di vendita di cosa sperata (dell’art. 1472 c.c., comma 1) sussista una ipotesi di “vendita di speranza” (dell’art. 1472 c.c., comma 2), ma non impedisce di affermare sulla base delle presunzioni esistenti che un contratto di vendita di cosa futura ex art. 1472 c.c. sia stato in ogni caso concluso.

4.4. Tanto è stato sufficiente nella fattispecie per far affermare da parte del giudice di appello che a fronte del simulato contratto di affitto agrario vi era il sottostante contratto dissimulato di vendita di frutti, poichè ciò che rilevava – ai fini del decidere – era solo l’accertamento che il contratto di affitto agrario era simulato, e dissimulava un’ipotesi di vendita di frutti. Se poi si trattava di empio spei o emptio rei sperata era indifferente, non influenzando l’accertamento della simulazione del contratto di affitto agrario.

5.1. Infondata è anche la censura relativa alla mancata prova dell’imputabilità dei pagamenti ex art. 1193 c.c.. Una volta ritenuto che il contratto effettivamente esistente era solo il contratto di vendita di frutti e non il contratto di affitto, coerentemente la sentenza impugnata ha rilevato che “Il versamento trova ragionevole giustificazione nel corrispettivo della vendita del frutto”.

5.2. Quanto alla censura relativa al mancato esame dei motivi di gravame sulla prova testimoniale del S., la stessa è inammissibile per mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, non risultando trascritta nel ricorso detta prova testimoniale.

6. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omessa motivazione dell’impugnata sentenza per non essersi la stessa pronunziata sulle censure avverso la decisione del primo giudice di ritenere tardiva la documentazione relativa ai pagamenti del S..

7. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che la censura di omessa pronuncia integra una violazione dell’art. 112 c.p.c. e quindi una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (nullità della sentenza e del procedimento) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed a maggior ragione come vizio motivazionale a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (attenendo quest’ultimo esclusivamente all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia Cass. 17/10/2003, n. 15555; Cass. 14/07/2003, n. 11007; Cass. 18/06/2003, n. 9707; Cass. n. 10558/2002;

Cass. n. 9159/2002; Cass. n. 317/2002;).

Infatti il vizio di omessa pronunzia, in quanto pretesamente incidente sulla sentenza pronunziata dal giudice del gravame, è passibile di denunzia esclusivamente con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass. S.U. 14.1.1992, n. 369; Cass. 25.9.1996, n. 8468).

Nella fattispecie, invece, il ricorrente ha proposto il ricorso esclusivamente sotto il profilo dell’omessa motivazione e, quindi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

8. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omessa motivazione in ordine alla valenza giuridica della clausola contrattuale che conferiva al S. le integrazioni del prezzo dell’olio e la mancata applicazione ex officio dell’art. 1418 c.c. con declaratoria di nullità del contratto di vendita dei frutti per illiceità della causa.

9. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse. Infatti, una volta che la sentenza impugnata ha accertato che il contratto di affitto agrario è simulato relativamente, poichè per tale ragione già sussiste l’inefficacia del contratto simulato (Cass. 16.1.1997, n. 382), il ricorrente che contesta tale simulazione del contratto di affitto, non ha nessun interesse a che sia dichiarata la nullità del contratto dissimulato per illiceità della causa, poichè, ove anche tale tesi fosse accolta, ciò non eliminerebbe nè “sanerebbe” la simulazione relativa, conferendo efficacia al contratto simulato.

10. Il ricorso va rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla resistente, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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