Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26021 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 26021 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 16790-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
2576

contro

MELCHIONI SPA in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo
studio dell’avvocato CANEPA FRANCESCO,

che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati RAVERA

Data pubblicazione: 20/11/2013

LUCIO, DONATO GIUSEPPE giusta delega in calce;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 51/2011 della COMM.TRIB.REG.
Z 41 /OgnA9 1 /1
,,
-2—\
.,;
di GENOVA, depositata il L17/07/20.1
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ALBENZIO che ha
chiesto l’accoglimento e deposita nota spese;
udito per il controricorrente l’Avvocato CANEPA che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’Agenzia delle Dogane di Genova, sulla base delle risultanze della relazione OLAF che aveva
accertato il carattere cinese di alcune partite di lampade fluorescenti importate nell’ottobre 2005
dalla Melchioni spa in Italia e dichiarate come di origine malese, rettificava le dichiarazioni
applicando il dazio antidumping di origine cinese nella misura del 66,1 %, con contestuale richiesta
di pagamento di diritti- iva e dazi non riscossi.

2. L’Ufficio proponeva appello innanzi alla CTR della Liguria che, con sentenza n.51, pubblicata il
24 maggio 2011, rigettava l’impugnazione.
3. Osserva il giudice di appello che era sussistente l’affidamento incolpevole della società
contribuente sulla base del costante comportamento delle autorità doganali che avevano indotto la
predetta a confidare sulla legalità delle operazioni. Ed infatti, tanto le autorità del paese esportatore
che quelle della Dogana Italiana avevano commesso degli errori consistenti, rispettivamente, nel
non avere rilevato la reale esistenza della società commerciale dichiaratasi quale esportatore e nel
non avere mosso alcun rilievo alle numerose importazioni effettuate dalla medesima società.
3.1 D’altra parte, non erano emersi elementi dai quali dedurre che l’importatore, il quale aveva
osservato le vigenti disposizioni in materia doganale, potesse avere sospetti su una eventuale
origine diversa della merce.
4. L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a 4 motivi, al quale ha
resistito la società contribuente con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5. Con il primo motivo l’Agenzia ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt.1-2 dpr
n.43/73, art.4 e 201-202 Reg.Cee n.2913/1992, art.904 punto c) del Reg.CEE n.2454/93 e dei
principi generali in materia di imposizione fiscale delle importazioni, in relazione all’art.360 comma
1 n.3 c.p.c. La CTR, applicando l’esimente della buona fede in modo automatico, aveva violato le
disposizioni indicate, tralasciando di considerare che era pacifica la falsità delle dichiarazioni
dell’esportatore che avevano portato al rilascio dei certificati FORM A , dalla quale non poteva che
conseguire l’applicazione del dazio antidumping relativo alla effettiva origine cinese delle lampade.
6. Con il secondo motivo l’Agenzia ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art.220 del
Reg.CEE n.2913/92 e dell’art.904 punto c) del Reg.CEE n.2454/93, in relazione all’art.360 comma 1
n.3 c.p.c.
6.1 La CTR aveva erroneamente riconosciuto la buona fede dell’importatore e, dunque,
l’impossibilità di procedere alla contabilizzazione a posteriori, senza considerare che il carattere
falso del certificato accertato dalla relazione OLAF impediva di applicare tale disposizione,

1.1. La società contribuente impugnava l’avviso presso la CTP di Genova che accoglieva il ricorso.

secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia e di questa stessa Corte, non potendo
rilevare il comportamento dell’importatore quando l’errore non dipendeva da un comportamento
attivo dell’amministrazione.
7. Con il terzo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione dell’art.199 Reg. CEE n.2454193, in
relazione all’art.360, comma 1 n.3 c.p.c. La CTR non aveva considerato che era onere
dell’importatore controllare la veridicità dei certificati rilasciati dalle autorità malesi, spettando allo
stesso di assicurarsi dell’esistenza delle condizioni necessarie per il riconoscimento dell’origine

8. Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia ha dedotto l’insufficiente motivazione della sentenza
circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. La CTR aveva
totalmente tralasciato di considerare quanto dedotto in fase di appello circa gli esiti delle indagini
dell’OLAF e l’assenza dell’origine malese, fondando la decisione su petizioni di principio.
9. La società contribuente, nel controricorso, ha dedotto l’infondatezza dello stesso e segnatamente
l’inammissibilità del primo motivo per mancanza del momento di sintesi, censurando in effetti vizi
di motivazione, l’inammissibilità del secondo motivo e, comunque, l’infondatezza di tale censura,
avendo il giudice tributario di primo grado ritenuto esistente il comportamento attivo
dell’amministrazione ed in ogni caso contenendo la censura profili di merito in ordine agli
accertamenti compiuti dal giudice, insindacabili dal giudice di legittimità.
9.1 Aggiungeva che anche il terzo motivo era inammissibile o infondato, involgendo la censura
profili di erronea motivazione e l’inammissibilità o infondatezza del quarto motivo, contenente
censure non chiare, nè risultando la motivazione carente o contraddittoria, non potendo in ogni
caso la Corte compiere una rivalutazione degli apprezzamenti di fatto svolti dal giudice di merito.
10. I motivi proposti, stante la loro stretta connessione, vanno esaminati congiuntamente ed
appaiono, per quanto di ragione, fondati, risultando tutti specifici e ritualmente proposti – non
facendosi applicazione dell’art.366 bis c.p.c. non operante ratione temporis in relazione alla
sentenza appellata, resa in data 24 maggio 2011- in relazione alle singole doglianze prospettate.
10.1 Orbene, giova premettere come questa Corte ha, ormai, in più occasioni- v., tra le altre
Cass.n.13484/12- , riconosciuto la piena efficacia probatoria dei verbali redatti dall’OLAF
all’interno dei compiti attribuiti a tale Ufficio nell’attività di repressione delle frodi comunitarie in
materia doganale, ritenendole equipollenti alle relazioni redatte dagli ispettori amministrativi dello
Stato membro, tanto ai fini delle “regole di valutazione” applicabili quanto ai fini del “valore”
riconoscibile secondo la disciplina legislativa dello Stato membro —cfr.Cass. n. 14036 del
03/08/2012-.

preferenziale di una merce.

10.2 Nella stessa circostanza si è, ancora, rammentato che la prova della inesattezza dei certificati di
esportazione può ritenersi raggiunta anche nel caso in cui, all’esito delle indagini compiute dalle
autorità preposte, non sia possibile disporre di elementi sufficienti per confermare l’origine della
merce indicata nel certificato.
10.3 Se è vero, infatti, che spetta all’Amministrazione finanziaria fornire la prova che il rilascio di
certificati inesatti sull’origine preferenziale di una merce da parte delle autorità del paese terzo sia

ove tale dimostrazione non sia possibile per fatto dell’esportatore stesso, è il debitore a dover
provare che i certificati rilasciati dalle autorità dei paesi terzi sono fondati su un’esatta
rappresentazione di quei fatti, realizzandosi un’ inversione dell’onere della prova a carico del
debitore per evitare la contabilizzazione “a posteriori” dei dazi dovuti, dovendosi anche in
quest’ultimo caso ritenere, alla stregua della giurisprudenza comunitaria(Corte giustizia 7.12.1993
causa C-12/92 Huygen) che gli stessi sono privi di efficacia probatoria e che, pertanto, il beneficio
dell’esenzione doganale non può riconoscersi ai prodotti di “origine ignota” -cfr.Cass. n. 13496 del
27/07/2012-.
10.4 Rispetto al requisito della buona fede dell’importatore, il quale abbia confidato nella genuinità
dei certificati di circolazione di merci importate in regime preferenziale rilasciati dall’esportatore si
è, poi, ritenuto che tale stato soggettivo non lo esime dal pagamento del dazio effettivamente
dovuto -Corte giust. 14.11.2002, causa C-251/00, llumitronica, p.43; Corte Giust., 14 maggio
1996, cause riunite C 153/94 e C 204/94, Faroe Seafood e a, p.92 ma, quando

si faccia questione dell’affidamento su un certificato attestante l’origine preferenziale della merce
rilasciato dall’autorità di un paese terzo e che si accerti successivamente essere inesatto, rileva solo
se il rilascio irregolare di questo sia dovuto ad un errore di detta autorità, che, oltre a non essere
ragionevolmente rilevabile dal debitore -il quale abbia comunque osservato tutte le prescrizioni
della normativa in vigore- non sia determinato da una situazione inesatta riferita dall’esportatore.
Ciò in quanto la giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte giust., 9/03/2006, causa C293/04, Beemsterboer, p.43) ha costantemente affermato che la Comunità non è tenuta a sopportare
le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini rientranti nel rischio
dell’attività commerciale, contro il quale gli operatori economici possono premunirsi solo
nell’ambito dei loro rapporti negoziali-cfr.Cass.n.19195/2006; Cass. n. 15758/2012-.
10.5 D’altra parte, l’accertamento a posteriori della falsità delle dichiarazioni o della
documentazione provenienti dall’esportatore, compiuti alla stregua dell’art.94 Reg.CE n.2454/93,
delle quali nessuna autorità debba preliminarmente verificare o valutare la validità, e che si rivelino
mendaci in occasione di un successivo controllo, non impedisce la contabilizzazione successiva dei

avvenuto per fatto imputabile all’inesatta presentazione della situazione da parte dell’esportatore,

dazi dovuti dall’importatore che abbia fatto affidamento su tali mendaci dichiarazioni giacché tale
vicenda esclude la configurabilità di un errore sull’interpretazione o applicazione dei testi doganali,
conseguenza del comportamento attivo delle autorità competenti per il recupero o dello Stato
membro di esportazione che abbia indotto il debitore a rendere una dichiarazione inesatta e, quindi,
la sussistenza di uno dei presupposti richiesti dall’art. 5, n. 2, del Regolamento CEE 24 luglio 1979,
n. 1697, così come interpretato dalla Corte di Giustizia CEE nelle sentenze 27 giugno 1991 in causa

10.6 Orbene, nel caso qui all’esame della Corte il giudice di appello non si è attenuto al quadro dei
principi giurisprudenziali sopra richiamati una volta che lo stesso, nella parte relativa allo
svolgimento del processo, ha dato atto che le indagini dell’OLAF avevano accertato l’origine cinese
delle lampade dichiarate come di provenienza malese.
10.7 Ed infatti, la sentenza impugnata ha evidenziato che “sono stati rilevati errori sia a carico
dell’autorità del Paese esportatore che non ha verificato la reale esistenza della società
commerciale.. .sia a carico della Dogana italiana”.
10.8 Lo stesso giudice ha, al contempo, ritenuto sussistente l’elemento della buona fede
dell’importatore sul duplice presupposto che tale elemento potesse giustificarsi per effetto
dell’errore posto in essere sia dalle autorità doganali malesi che da quelle italiane, le prime
responsabili per non avere individuato l’esatta origine e le seconde per non avere contestato alcuna
violazione in caso di pregresse importazioni aventi il medesimo oggetto.
10.9 Così facendo il giudice di appello è incorso in un palese errore di diritto, se solo si consideri
che secondo l’ormai granitico insegnamento della Corte di Giustizia che, in merito alla ripartizione
dell’onere della prova fra Ufficio doganale ed esportatore rispetto alle cause che hanno determinato
l’inesattezza della certificazione sull’origine, individua nel debitore dei dazi il soggetto tenuto a
provare che il certificato di circolazione delle merci rilasciato dalle autorità dello Stato terzo si basa
su una situazione fattuale riferita in maniera esatta dall’esportatore, nel caso in cui, a seguito di una
negligenza imputabile esclusivamente all’esportatore, le autorità doganali si trovino
nell’impossibilità di fornire esse stesse la prova necessaria del fatto che il certificato EUR.1 è stat
rilasciato sulla base della presentazione esatta o inesatta dei fatti da parte dell’esportatore stesso (v.,
in tal senso, sentenza Beemsterboer Coldstore Services, cit., punti 40 e 46 e, più recentemente,
Corte Giust.8 novembre 2012, causa C-438/11, Lagura Verméigensverwaltung GmbH, p.21).
10.10 Ed è proprio in tale ultima occasione che la Corte europea, pur riconoscendo che il fatto di
accollare tale onere della prova al debitore può essere per lui fonte di inconvenienti, in particolare
quando egli, in buona fede, abbia importato merci dallo Stato beneficiario di preferenze tariffarie, la
cui origine è stata successivamente messa in discussione, in occasione di un controllo a posteriori,

348/89 e 14 novembre 2002, in causa C-251/00 -cfr.Cass. n. 14032 /2012-.

per le asserite dichiarazioni false dell’esportatore, non ha mancato di precisare che “nel calcolare i
vantaggi realizzabili mediante il commercio di prodotti che possono fruire di preferenze tariffarie,
l’operatore economico accorto e al corrente della normativa vigente deve valutare i rischi inerenti al
mercato che gli interessa ed accettarli come facenti parte della categoria dei normali inconvenienti
dell’attività commerciale-così, testualmente Corte Giust. 8 novembre 2012, causa C-438/11 cit.,
p.39-.

contabilizzazione a posteriori dei dazi sul presupposto della ritenuta buona fede.
10.12 Ed infatti, è noto che l’importatore può utilmente invocare il legittimo affidamento ai sensi
dell’art. 220, n. 2, lett. b), del codice doganale e così beneficiare della deroga al recupero a
posteriori prevista da detta disposizione solo qualora ricorrano tre condizioni cumulative e cioè:a)
che il rilascio irregolare dei certificati EUR.1 sia dovuto ad un errore delle autorità competenti
stesse;b) che l’errore commesso dalle medesime sia di natura tale da non poter essere
ragionevolmente rilevato dal debitore di buona fede;c) che quest’ultimo abbia osservato tutte le
prescrizioni della normativa in vigore (v., segnatamente, Corte giust. sentenze Faroe Seafood e a.,
cit., punto 83; 3 marzo 2005, causa C3499/03 P,

Biegi Nahrungsmittel e

Commonfood/Commissione, punto 46, nonché 18 ottobre 2007, causa CI11173/06, Agrover, punto
30).
10.13 E pur dovendo ammettersi che le autorità dello Stato d’esportazione abbiano rilasciato, nel
caso concreto, certificati inesatti e che tale rilascio deve essere considerato, in forza di detto
art. 220, n. 2, lett. b), secondo e terzo comma, un errore commesso da dette autorità, qualora le
autorità dello Stato di esportazione siano state indotte in errore dagli esportatori, il rilascio di
certificati EUR.1 inesatti non può essere considerato un errore commesso dalle stesse autorità,
sicchè l’importatore non può opporsi al recupero a posteriori dei dazi all’importazione facendo
valere che non si può escludere che, in realtà, talune di dette merci abbiano l’origine preferenziale
suddetta-cfr. Corte Giust. 15 dicembre 2011, causa C-C I1409/10, Hauptzollamt HamburgEHafen
p.55.
10.14 Ora, laddove la CTR ha addebito alle autorità malesi di avere omesso di accertare la reale
esistenza della società commerciale dichiaratasi esportatore, tale organo ha commesso un evidente
errore in diritto, spettando invece all’importatore l’onere di dimostrare l’esistenza dei presupposti per
il riconoscimento del carattere preferenziale della merce ed il conseguente diritto all’agevolazione
doganale.
10.15 Parimenti erronea è stata l’affermazione del giudice di appello in ordine alla rilevanza del
comportamento dell’autorità doganale italiana, proprio evidenziandosi che gli accertamenti svolti

10.11 Orbene, il giudice di appello ha errato nel riconoscere all’importatore il diritto alla non

dall’OLAF in ordine alla reale provenienza cinese della merce ed all’inesistenza della società
esportatrice non consentivano in alcun modo di dare rilevanza al contegno di detta autorità, non
potendosi questo configurare come errore attivo. Ciò perché non risultava un obbligo della stessa di
verificare la reale esistenza della società che gli accertamenti OLAF avevano successivamente
esclusa.
10.16 Ed è appena il caso di evidenziare che la stessa CTR non si è nemmeno richiamata alla

sussistente i presupposti dell’art.220 C.D.C., epperò facendo scorretta applicazione dei principi
giurisprudenziali più volte affermati da questa Corte. Tanto è sufficiente per disattendere gli
argomenti difensivi esposti dalla controricorrente.

Sulla base di tali argomenti, i motivi di ricorso meritano di essere accolti e la sentenza impugnata
cassata.
Non ricorrendo la necessità di svolgere ulteriori accertamenti in punto di fatto, la causa può essere
decisa nel merito, ex art.384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dalla società
contribuente.
Le spese vanno compensate quanto ai gradi di merito e poste a carico della società contribuente
quanto al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte
Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso della parte contribuente.
Compensa le spese dei due gradi di giudizio di merito e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate in euro
2000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso il 24 settembre 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma.

motivazione espressa sul punto dal giudice di primo grado, limitandosi soltanto a ritenere

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