Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26020 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 17/11/2020), n.26020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34637-2018 proposto da:

F.L.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

TRASTEVERE 259, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI BARTOLI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO

CANDIANI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

GIUSEPPINA GIANNICO, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA

PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 288/2018 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO,

depositata il 29/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

con sentenza n. 288 del 2018, il Tribunale di Busto Arsizio, pronunciando in sede di opposizione ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, ha respinto la domanda di F.L.E. di riconoscimento del requisito sanitario per l’attribuzione dell’assegno ordinario di invalidità;

per il Tribunale, le condizioni patologiche della F., come accertate dal consulente tecnico nominato in sede di ATP, erano prive del carattere della permanenza: la riduzione della capacità lavorativa era stata riconosciuta per un arco temporale di 10 mesi non in ragione della evoluzione della malattia (ex ante non determinabile) ma in ragione della (prevedibile) durata delle terapie cui la donna era stata sottoposta e che avevano determinato il quadro clinico;

avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione F.L.E., affidato a due motivi;

ha resistito l’INPS con controricorso;

la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione o errata applicazione di norme processuali (art. 445 bis c.p.c., commi 4 e 6, in relazione agli artt. 442 e 436 c.p.c.);

la parte ricorrente deduce l’inammissibilità del ricorso proposto dall’INPS ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6 (cd. giudizio di opposizione ad ATP) perchè fondato su una questione – il requisito della permanenza della condizione invalidante – che non aveva formato oggetto delle precedenti difese dell’Istituto e che dunque integrava una questione “nuova”;

il motivo è infondato;

il giudizio introdotto dalla parte che ha dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico nominato dall’Ufficio, a norma dell’art. 445 bis c.p.c., comma 1 non è modellato secondo lo schema di un giudizio di impugnazione;

la parte dissenziente ha solo l’onere di presentare il ricorso introduttivo nel termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso e di specificare, a pena di inammissibilità, i motivi di contestazione;

la domanda giudiziale, così introdotta, destinata ad accertare solo un elemento della fattispecie costitutiva – il c.d. requisito sanitario – (v. Cass. n. 27010 del 2018), non incontra, invece, preclusioni in ordine alla deduzione di argomentazioni difensive (v., per tutte, in motivazione, Cass. n. 28450 del 2019) che, peraltro, possono riguardare sia le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., sia gli aspetti preliminari che sono stati oggetto della verifica giudiziale e ritenuti non preclusivi dell’ulteriore corso, relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione(v. Cass. n. 20847 del 2019) quale “proiezione dell’interesse ad agire” (v. Cass. n.2587 del 2020);

la questione della “permanenza della condizione invalidante” è stata, dunque, correttamente sottoposta all’esame del Tribunale e dallo stesso valutata;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1, commi 1 e 7;

la ricorrente assume l’errata interpretazione della disciplina di riferimento ed, in particolare, del concetto di “riduzione in modo permanente” della capacità di lavoro; la parte osserva come la previsione che il beneficio sia riconosciuto per un periodo di tre anni (ai sensi della L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 7) esprima la compatibilità del concetto di permanenza con la possibilità di evoluzione (in senso migliorativo) del quadro normativo;

il motivo è fondato;

deve osservarsi, in base a risalenti ma fermi principi di questa Corte, che, in tema di riduzione della capacità di lavoro, ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità, il carattere della permanenza non si identifica con la definitività ed immutabilità dello stato invalidante, posto che anche una infermità emendabile e guaribile può dar luogo ad incapacità lavorativa nella misura richiesta per la percezione di detto assegno (Cass. n. 1913 del 2001; Cass. n. 13528 del 1999; Cass. n. 7372 del 1986; in motivazione, più di recente, v. Cass. n.1186 del 2016);

il Tribunale, invece, è pervenuto alla conclusione che le patologie da cui era affetta F.L.E. fossero prive del carattere della permanenza e dell’evolutività in quanto collegate al tipo di trattamento chirurgico cui la predetta era stata sottoposta nonchè alle terapie farmacologiche assunte ed al ciclo di radioterapia effettuato;

tuttavia, così opinando, il Tribunale non ha tenuto conto dell’orientamento di questa Corte, sempre in tema di accertamento del requisito della permanenza, per cui lo stesso (id est: il requisito della permanenza) va escluso soltanto ove vi sia certezza, ex ante, della reversibilità dello stato invalidante secondo le previsioni della scienza medica (v. pronunce sopra citate);

nella fattispecie, il giudizio reso dal giudice del merito non è ancorato a precisi dati scientifici di evidenza della reversibilità totale della malattia; le conclusioni del Tribunale, espresse anche in disaccordo con le risultanze dell’indagine tecnica, non fanno alcun riferimento nè alla patologia che aveva reso necessario il trattamento chirurgico e le successive terapie, nè alla sua gravità al momento della presentazione della domanda amministrativa, ovvero all’epoca cui il Tribunale avrebbe dovuto riferire l’accertamento (v. in motivazione, Cass. n. 1186 del 2016). Come effettuato, il giudizio attiene alla realtà effettiva, ex post, riscontrata;

in definitiva, il Tribunale pretermette accertamenti indispensabili ai fini del giudizio prognostico e, quindi, in sostanza, applica erroneamente la L. n. 222 del 1984, art. 1;

pertanto, va accolto il secondo motivo e rigettato il primo;

la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, conseguentemente, la causa va rinviata per il riesame, da svolgersi secondo gli enunciati principi, al Tribunale di Busto Arsizio, in persona di diverso giudice, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Busto Arsizio, in persona di altro giudice.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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