Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2602 del 04/02/2010

Cassazione civile sez. I, 04/02/2010, (ud. 05/11/2009, dep. 04/02/2010), n.2602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16412/2004 proposto da:

COMUNE DI ROMA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE

21, presso gli UFFICI DELL’AVVOCATURA COMUNALE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MURRA Rodolfo, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PRATOLUNGO IMMOBILIARE S.R.L.;

– intimata –

sul ricorso 21328/2004 proposto da:

PRATOLUNGO IMMOBILIARE S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MONTE ZEBIO 37, presso l’avvocato FAZZALARI ELIO, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

-controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5169/2003 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

05/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

E. FAZZALARI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale e

rigetto del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso incidentale con assorbimento del ricorso principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma con sentenza del 16 novembre 1994 condannò il comune di Roma a corrispondere alla s.r.l. Pratolungo per l’avvenuta occupazione espropriativa di un terreno di sua proprietà esteso mq.

17.505, ed ubicato nella locale contrada (OMISSIS), onde realizzarvi una strada di collegamento con la Centrale del latte, la complessiva somma di L. 140.000.000 comprensiva di interessi legali e danno da svalutazione monetaria.

in parziale accoglimento dell’appello della società, la Corte di appello di Roma con sentenza del 9 dicembre 2003, ha elevato la somma all’importo di Euro 220.000, 30 escludendo che fosse soggetta a svalutazione monetaria, ed osservando: a) che il c.t.u. aveva determinato il valore del terreno in applicazione del criterio stabilito dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, nella misura di L. 359.738.839 per la porzione compresa in zona (OMISSIS) ed in quella di L. 66.245.553 per la parte rientrante in zona (OMISSIS); b) che correttamente aveva applicato l’indice di edificabilità 0,76 mc/mq.

per la prima porzione avente natura edificatoria, e quello di 0,4 mc/mq. per la più estesa zona agricola; c) che non era stata liquidata l’indennità di occupazione temporanea, pur originariamente richiesta dalla proprietaria, perchè costei non aveva reiterato la richiesta nelle conclusioni pur rassegnate in maniera specifica, e con riferimento al solo risarcimento del danno.

Per la cassazione della sentenza, il comune di Roma ha proposto ricorso per 2 motivi; cui resiste con controricorso la s.r.l.

Pratolungo, la quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale per 3 motivi illustrati da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., perchè proposti nei confronti della medesima sentenza.

Con il secondo motivo di quello principale, dall’evidente carattere pregiudiziale, il comune di Roma, deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, censura la sentenza impugnata per avere determinato il valore venale dei terreni espropriati sulla base di un indice medio di edificabilità di 0,80 mc/mq. derivandolo dalla media dell’indice relativo ai terreni edificabili con destinazione (OMISSIS) (0,40 mc/mq) e da quello relativo al confinante Piano di zona ” (OMISSIS)” (1,20 mc/mq), senza considerare che l’area di maggiore estensione inclusa in zona (OMISSIS) aveva destinazione agricola;per cui il relativo valore doveva essere calcolato con il criterio delle tabelle agricole redisposte dalle Commissioni provinciali di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, e non con quello dell’edificabilità di fatto inequivocabilmente escluso dalla giurisprudenza della Corte, per la quale rilevano esclusivamente le possibilità legali di edificazione.

La censura è fondata.

La sentenza impugnata, dopo avere dato atto che il terreno della società, complessivamente esteso mq. 17.605 (o mq. 18.266) è suddiviso in due aree, incluse, la prima (di mq. 6261) nella zona (OMISSIS) con destinazione edificatoria, e la seconda di maggiore estensione, inclusa nella zona (OMISSIS) avente destinazione agricola, ha calcolato anche l’indennizzo relativo a quest’ultima area come se la stessa avesse egualmente natura edificatoria: attribuendole un indice di edificabilità pari a 0,4 mc/mq. (perchè in tal modo aveva prospettato il c.t.u.) ed applicando il meccanismo di calcolo previsto dall’art. 3, comma 65, appunto per le aree edificabili.

Sennonchè questa Corte, pure a sezioni unite, ha ripetutamente affermato che anche per la determinazione del danno da occupazione appropriativa, vale la suddivisione su cui è impostato il sistema della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, definito dalla Corte Costituzionale non irrazionale nè arbitrario (Corte Costit.

261/1997), tra aree edificabili ed aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie). E valgono, di conseguenza, i principi enunciati dalla giurisprudenza sulla rilevanza delle “possibilità legali ed effettive di edificazione”, in particolare sulla priorità (e sulla relativa necessità di una verifica preliminare) delle qualità attribuite al suolo dalla disciplina urbanistica (Cass. sez. un. 173/2001 e successive); e deve escludersi che in nome di una più congrua reintegrazione del patrimonio del proprietario che ha subito la perdita del fondo, debbano obliterarsi i criteri legali di classificazione dell’area, su cui è impostato il sistema indennitario previsto dalla norma per dare la prevalenza a criteri di effettualità (c.d. edificabilità di fatto). O, peggio, che possa farsi riferimento ad una pretesa edificabilità di fatto divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge, in quanto ha inteso richiedere che l’edificabilità di fatto si armonizzi con quella legale, onde il carattere edificatorio del fondo espropriato deve essere escluso, senza che le eventuali possibilità “effettive” di edificazione, o, comunque, di sfruttamento economico del fondo in via alternativa, vengano minimamente in considerazione quante volte non sussistano le possibilità legali di edificazione.

In conseguenza di detto sistema, ove il suolo non possa considerarsi legalmente edificabile, l’indennità di espropriazione va determinata in base al valore agricolo medio del terreno calcolato dalle Commissioni provinciali di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, con riferimento ai tipi di coltura effettivamente praticati, e quindi soprattutto alle piantagioni esistenti sul fondo espropriato. Ove, invece al fondo è attribuita dagli strumenti urbanistici destinazione edificatoria, l’indennizzo corrisponde al maggior valore indicato dal mercato immobiliare in conseguenza della possibile utilizzazione edilizia; e la stima deve avvenire con il meccanismo previsto dai primi due commi del menzionato art. 5 bis, come modificati dalla declaratoria di incostituzionalità contenuta nella recente decisione 348 del 2007 della Corte Costituzionale.

Analoghi meccanismi di stima valgono per l’indennizzo spettante per la ed. occupazione espropriativa cui viene attribuita la massima consistenza consentita dall’art. 42 Cost., in luogo della mera indennità di espropriazione, tradizionalmente intesa a partire dalla nota sentenza 61 del 1957 della Corte Costituzionale, come “il massimo di contributo e di riparazione, che, nell’ambito degli scopi di interesse generale, la pubblica amministrazione può garantire all’interesse privato” in un determinato contesto storico-politico;

con l’unica differenza che per i suoli agricoli o comunque inedificabili deve essere consentito al proprietario di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all’interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità; e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un’effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria. Mentre per i terreni edificatori resta fermo il limite posto dal menzionato della L. del 1865, art. 39, della sua valutazione in misura corrispondente al “giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l’immobile in una libera contrattazione di compravendita”: questa volta insuscettibile (a seguito della sentenza 349/2007 della Corte Costituzionale di cui si dirà avanti) di essere diminuita in forza di criteri riduttivi (Cass. 26615/2008; 6281/2004;

sez. un. 19551/2003; 9683/2000).

La Corte di appello invece ha applicato un meccanismo unico, valido per le sole aree edificatorie, in cui il valore venale di ciascuna porzione è stato ricavato in base ad un indice di edificabilità, a sua volta tratto non da quello peculiare della zona, ma mediando quest’ultimo e l’indice più elevato delle zone limitrofe; e poi differenziato a seconda della sua applicazione all’area edificabile (0,76 mc/mq.) ovvero a quella agricola (0,4 mc/mq.): e quindi in base ad un criterio che non ha riscontro nè nel menzionato art. 5 bis, nè in alcun’altra norma di legge. Laddove il sistema avanti delineato imponeva di suddividere pregiudizialmente l’intero terreno in due distinte porzioni, l’una edificatoria e l’altra agricola, determinata ciascuna in base alle possibilità legali di edificazione di cui all’art. 5 bis, – e successivamente di calcolare per ognuna l’indennizzo risarcitorio di cui si è detto, applicando il criterio di stima suo proprio avanti prospettato; che per le aree non edificatorie non poteva comunque fondarsi sull’indice di edificabilità (in qualsivoglia modo determinato), che la relativa zona, proprio per tale sua natura, non può possedere.

A siffatto principio dovrà attenersi la Corte di rinvio nella riliquidazione dell’indennizzo relativo alla porzione di terreno con destinazione non edificatoria e/o agricola.

Con il primo motivo del ricorso incidentale, la soc. Pratolungo, deducendo violazione dell’art. 2043 cod. civ., si duole che la Corte di appello abbia considerato avvenuta un’espropriazione sia pur illegittima in proprio danno senza considerare che la Delib. G.M. Roma 1 agosto 1978, aveva fissato i termini per il compimento delle espropriazioni e dei lavori (36 mesi) inutilmente spirati nel 1981;

laddove l’irreversibile trasformazione dell’immobile, come accertato da entrambi i giudici di merito si era verificata nel 1986, allorquando dunque la dichiarazione di p.u. era già divenuta inefficace.

Con la conseguenza che per la salutazione degli immobili non poteva trovare applicazione il criterio riduttivo introdotto dalla L. L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65.

Questo motivo va accolto per ragioni diverse da quelle esposte dalla ricorrente.

Neppure la s.r.l. Pratolungo ha prospettato di avere dedotto nel giudizio di primo grado (o in quello di appello) questioni inerenti alla decadenza o inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, quale circostanza ostativa alla configurabilità dell’occupazione appropriativa; e la sentenza impugnata ha riferito esclusivamente che la stessa aveva fatto valere l’avvenuta occupazione di una superficie di circa 17.505 mq. del suo terreno non seguita dal decreto di espropriazione, chiedendo la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno a tale titolo;che il Tribunale aveva accolto la domanda, dichiarando che il Comune aveva acquisito la proprietà dell’immobile per effetto della sua irreversibile trasformazione nella strada pubblica programmata, avvenuta nel 1986 (senza che fino a tale momento fosse stato adottato il decreto di esproprio).

Siffatta decisione è stata impugnata dalla Pratolungo esclusivamente in ordine alla congruità del valore attribuito all’area espropriata, ritenuto riduttivo rispetto a quello di L. 560.000.000 indicato dal c.t.u.; per cui il Collegio deve dare continuità al proprio indirizzo assolutamente consolidato sul principio che non può prospettarsi per la prima volta in appello – ed a maggior ragione in cassazione -, ai fini di ottenere un risarcimento integrale del danno, la questione di nullità, invalidità o inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità per carenza assoluta o avvenuta scadenza dei termini per l’inizio ed il compimento dei lavori e della procedura di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13, rispetto ad un originaria richiesta del proprietario e ad un conseguente accertamento del giudice di merito del verificarsi dell’occupazione espropriativa – sul necessario presupposto di una valida ed efficace dichiarazione di p.u., in relazione alla quale è stato liquidato il danno secondo il criterio riduttivo di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis. Ciò in quanto nell’occupazione illegittima per mancanza o inefficacia della dichiarazione di p.u. non è configurabile un’espropriazione, ma tutt’altra situazione in cui il proprietario, per converso, conserva e mantiene il proprio diritto dominicale sull’immobile, nonchè in via primaria, quello di chiederne la restituzione. Ed in cui l’azione risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., è esperibile soltanto se (e solo perchè) egli per una propria scelta discrezionale rinunci ad ottenere il rilascio del bene e preferisca invece, abbandonarlo definitivamente all’occupante e conseguire in cambio la completa reintegrazione economica del pregiudizio sofferto (Cass. 15687/2001; 70/2004; 18436/2004).

Pertanto, proposta dall’interessato la prima azione, rientra certamente fra i poteri del giudice di merito dare la più idonea qualificazione giuridica alle ragioni ed alle richieste delle parti, sempre nell’ambito dello schema ablativo tipico di detta vicenda estintivo-acquisitiva; ma non gli è consentito sostituirla di ufficio con la seconda se non operando una inammissibile modificazione non solo della causa petendi ma anche dei fatti e delle questioni prospettati dall’attore e posti a sostegno di questa (Cass. 7579/2000; 7583/2000; 11736/2002).

E tuttavia il criterio di calcolo riduttivo di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, recepito dai giudici di appello per stabilire l’indennizzo dovuto all’espropriato con riferimento all’area di mq. 6261, ubicata in zona (OMISSIS), avente destinazione edificatoria, non è più applicabile: la Corte Costituzionale, infatti, con la nota sentenza 349 del 2007 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto la norma, non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e per ciò stesso viola l’art. 117 Cost., comma 1. La Corte europea, infatti, con specifico riferimento alla disciplina dell’occupazione illegittima, ha ritenuto che la liquidazione del danno stabilita in misura superiore all’indennità di espropriazione, ma in una percentuale non apprezzabilmente significativa, non permette di escludere la violazione del diritto di proprietà, così come è garantito dalla norma convenzionale; ed ha da tempo affermato espressamente che il risarcimento del danno deve essere integrale e comprensivo di rivalutazione monetaria a far tempo dal provvedimento illegittimo. E perchè, d’altra parte, anche alla luce “delle conferenti norme costituzionali, principalmente dell’art. 42, non si può fare a meno di concludere che il giusto equilibrio tra interesse pubblico ed interesse privato non può ritenersi soddisfatto da una disciplina che permette alla pubblica amministrazione di acquisire un bene in difformità dallo schema legale e di conservare l’opera pubblica realizzata, senza che almeno il danno cagionato, corrispondente al valore di mercato del bene, sia integralmente risarcito”.

Pertanto, a seguito di detta declaratoria di incostituzionalità è stato ripristinato l’originario criterio di stima dell’indennizzo dovuto al proprietario che ha subito l’occupazione acquisitiva, corrispondente al valore venale pieno dell’immobile espropriato (L. n. 2359 del 1865, art. 39): sì da raggiungere, secondo la Corte Costituzionale, “la sua massima estensione consentita”in luogo del “massimo di contributo di riparazione che nell’ambito degli scopi di generale interesserà pubblica amministrazione può garantire all’espropriato” nell’ipotesi di trasferimento coattivo in cui sia osservata la sequenza procedimentale stabilita dalla legge.

L’applicazione di questo criterio è stata del resto ribadita dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, il cui comma 89 sub e) ha modificato l’art. 55 del T.U. sulle espropriazioni per p.u. appr. con D.P.R. 327 del 2001, disponendo che “nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di p.u., in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene”, – per cui il giudice di rinvio dovrà determinare il controvalore della porzione edificabile del terreno attenendosi a questo principio.

Fondato è altresì il terzo motivo, con cui la soc. Pratolungo deducendo violazione dell’art. 2043 cod. civ., lamenta che la sentenza impugnata abbia escluso il danno da svalutazione monetaria, malgrado il credito da occupazione appropriativia costituisce un’obbligazione di valore e deve quindi essere rivalutato automaticamente e di ufficio.

Anche di recente le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che elemento caratterizzante dell’occupazione espropriativa è la condotta illecita della P.A. che senza essere munita di un titolo ablativo, attua illecitamente l’irreversibilmente trasformazione dell’immobile privato; ed è perciò obbligato a corrispondergli un indennizzo di natura risarcitoria corrispondente al controvalore del bene ablato, ed avente tutti i caratteri stabiliti dall’art. 2043 cod. civ..

Consegue che il debito dell’amministrazione espropriante ha indubbia natura di debito di valore; sicchè, accertato il valore del suolo con riferimento al momento in cui esso è stato occupato definitivamente, tale valore deve essere attualizzato al momento della decisione, al fine di adeguarlo al mutato potere di acquisto della moneta. E sulla somma rivalutata vanno poi calcolati altresì gli interessi legali, secondo il criterio individuato dalla nota decisione 1712/1995 delle Sezioni Unite, in quanto rivalutazione monetaria ed interessi hanno finalità diverse, mirando, la prima, a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno, ed avendo, i secondi, funzione compensativa del mancato godimento della somma liquidata (Cass. 7891/2007; 9410/2006; 19510 e 19511/2005; 9365/2005).

Con il secondo motivo, infine, la Pratolungo, deducendo violazione dei principi in tema di interpretazione della domanda, sì duole che i giudici di merito abbiano ritenuto rinunciata la domanda di determinazione dell’indennità di occupazione senza considerare che la rinuncia doveva risultare da un comportamento incompatibile con il mantenimento della richiesta avanzata;e non poteva essere ricavata dalla omessa menzione della stessa nelle conclusioni genericamente precisate.

Anche questa censura è fondata per ragioni diverse da quella esposta dalla società E’ vero, infatti, che l’interpretazione del contenuto della domanda giudiziale rientra nei compiti del giudice del merito ed è sottratta al sindacato di legittimità se correttamente motivata;e che detta interpretazione non è soggetta alle regole di ermeneutica contrattuale, ma deve essere condotta tenendo conto sia della formulazione letterale, sia del contenuto sostanziale dell’atto stesso in relazione alla finalità che la parte intende perseguire.

Ma nel caso la stessa sentenza impugnata ha riferito che la proprietaria aveva lamentato la mancata determinazione da parte della sentenza di primo grado dell’indennità di occupazione; ed insistito espressamente per la sua liquidazione da parte della Corte di appello. Pertanto, a fronte di tale espressa richiesta della Pratolungo, a nulla più rilevava stabilire se il Tribunale avesse o meno bene interpretato l’asserita rinuncia della proprietaria a conseguirne la stima in primo grado;ed infine se la Corte di appello dovesse provvedere quale giudice di secondo grado sull’impugnazione proposta dalla società su tale profilo tessendo decisiva esclusivamente la circostanza che quest’ultima avesse espressamente richiesto alla Corte territoriale di procedere alla stima dell’indennità di occupazione temporanea e che la competenza a liquidarla appartenesse della L. n. 865 del 1971, ex art. 20, proprio alla Corte adita, seppure in unico grado. La quale dunque doveva provvedere in tale qualità sulla richiesta (Cass. 25013/2006;

11322/2005; 18067/2004; 11864/2001) anche perchè nessuna contestazione al riguardo era stata sollevata dal Comune di Roma.

Attesa, infatti, la competenza funzionale della Corte d’appello in unico grado, si trattava di domanda proposta al giudice competente, e non già dell’impugnazione delle statuizioni suddette, che abbisognava dell’appello incidentale: domanda che, per ragioni di economia processuale, può ben essere proposta alla Corte come giudice di unico grado, nel contesto di giudizio che la vede anche come giudice di secondo grado investito dell’impugnazione riguardo ad altre questioni (Cass. 14687/2007; 10617/1998; 11864/2001 cit.).

Ragion per cui, in accoglimento non certamente dell’appello, ma di detta domanda che, d’altra parte non abbisognava di formule sacramentali nè doveva essere avanzata necessariamente con separata citazione – non richiedendo nè la L. n. 865, art. 20, ora menzionato nè il precedente art. 19 concernente l’indennità di espropriazione, tale ulteriore formalità, ma soltanto che le relative domande siano rivolte alla Corte di appello – la sentenza impugnata doveva provvedere alla liquidazione dell’indennità di occupazione temporanea; ed in luogo di essa dovrà provvedervi il giudice di rinvio. Assorbito, pertanto, il primo motivo del ricorso principale, la Corte deve cassare la sentenza impugnata e rinviare alla stessa Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai principi esposti e provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del principale, nonchè l’incidentale ed assorbito il primo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010

Cassazione civile , sez. I , 04/02/2010 , n. 2602

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Occupazione illegittima – effetti

Fonte: Riv. giur. edilizia 2010, 3, I , 853

Cassazione civile , sez. I , 04/02/2010 , n. 2602

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Stima – criteri e metodi

Fonte: Riv. giur. edilizia 2010, 3, I , 853

Cassazione civile , sez. I , 04/02/2010 , n. 2602

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Occupazione illegittima – effetti

Fonte: Riv. giur. edilizia 2010, 3, I , 853

Cassazione civile , sez. I , 04/02/2010 , n. 2602

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Occupazione illegittima – effetti

Fonte: Riv. giur. edilizia 2010, 3, I , 853

Cassazione civile , sez. I , 04/02/2010 , n. 2602

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Stima – natura dell’area

Fonte: Riv. giur. edilizia 2010, 3, I , 853

Cassazione civile , sez. I , 04/02/2010 , n. 2602

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Occupazione temporanea e d’urgenza – rapporto tra indennità di esproprio e risarcimento del danno

Fonte: Publica 2010

Cassazione civile , sez. I , 04/02/2010 , n. 2602

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Occupazione temporanea e d’urgenza – rapporto tra indennità di esproprio e risarcimento del danno

Fonte: Publica 2010

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Fonti Normative

L 8 agosto 1992 n. 359, Art. 5-bis

L 8 agosto 1992 n. 359

DL 11 luglio 1992 n. 333, Art. 5-bis

DL 11 luglio 1992 n. 333, Art. 7-bis

L 25 giugno 1865 n. 2359, Art. 39

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Documenti stessa classificazione

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ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Stima – – criteri e metodi

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Occupazione temporanea e d’urgenza – – rapporto tra indennità di esproprio e risarcimento del danno

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Occupazione illegittima – – effetti

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o PUBBLICA UTILITÀ) – Stima – – natura dell’area

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