Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26018 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 26018 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 16769-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –

2013
2573

contro

MELCHIONI SPA in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo
studio dell’avvocato CANEPA FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati RAVERA

Data pubblicazione: 20/11/2013

LUCIO, DONATO GIUSEPPE giusta delega in calce;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 43/2011 della COMM.TRIB.REG.
di GENOVA, depositata il 24/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ALBENZIO che ha
chiesto l’accoglimento, in subordine rimessione alla
Corte di Giustizia;
udito per il controricorrente l’Avvocato CANEPA che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per la
rimessione alle SS.UU., in subordine accoglimento del
ricorso.

udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.L’Agenzia delle Dogane di Genova, sulla base delle risultanze della relazione OLAF che aveva
accertato il carattere cinese di alcune partite di lampade fluoriescenti importate dalla Melchioni spa
in Italia e dichiarate come di origine malese, rettificava le dichiarazioni relative alle operazioni
doganali svolte tra il marzo 2003 e l’agosto 2004 applicando il dazio antidumping di origine cinese
nella misura del 66,1 %, con contestuale richiesta di pagamento di diritti- iva e dazi non riscossi.

3. L’Ufficio proponeva appello innanzi alla CTR della Liguria che, con sentenza n.43 pubblicata il
24 maggio 2011, rigetteva l’impugnazione.
4. Il giudice di appello riteneva di condividere l’avviso del primo giudice in ordine all’intervenuta
decadenza dal potere di rettifica dell’accertamento, dichiarando di aderire all’orientamento della
giurisprudenza della Cassazione che riteneva necessaria l’effettuazione di una notitia criminis entro
il termine triennale.
5. L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha
resistito la società contribuente con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6.Con il primo motivo

l’Agenzia ha prospettato la violazione dell’art.2935 c.c. e dei principi

generali in materia di decorrenza del termine di prescrizione, in relazione all’art.360 comma 1 n.3
c.p.c. Deduce che la CTR non aveva considerato che ai fini della decorrenza del termine di
prescrizione era necessario che il titolare del diritto fosse in condizione di esercitarlo. Circostanza
che era emersa, nel caso concreto solo per effetto delle complesse indagini dell’OLAF del 15
marzo- 31 maggio 2006, le quali avevano acclarato l’origine cinese delle lampade inviate dalla Cina
in zona franca malese per mere operazioni di imballaggio, all’esito delle quali la società Pacific
Season e la società Seloka Gandigan SDN BHD avevano ottenuto dei certificati di esportazione
Form A in effetti falsi.
7.Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.84 secondo
e terzo comma del DPR n.43/73, in riferimento all’art.11 d.lgs.n.374/1990 ed all’art.3 Reg.CEE
n.1697/79 ed all’art.22 I CDC, nonchè dei principi generali in materia di decorrenza del termine di
prescrizione. Lamenta che la CTR aveva omesso di considerare il chiaro tenenti’ letterale dell’art.84
cit., dal quale emergeva come il differimento del termine per procedere all’attività accertativa in
caso di rilevanza penale dei fatti prescindeva dal rispetto di prescrizioni di natura formale,
dovendosi prediligere l’orientamento che ai fini di detta rilevanza fosse decisivo il mero dato
obiettivo delle condotte, come del resto confermato dalla giurisprudenza di questa Corte.
7.1 In definitiva, la CTR aveva errato nell’imporre a carico dell’Amministrazione l’onere della
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2. La società contribuente impugnava l’avviso presso la CTP di Genova che accoglieva il ricorso.

presentazione della denunzia di reato all’A.G. nazionale. Da tanto doveva desumersi che gli avvisi
di rettifica erano da considerare tempestivi in relazione alle indagini dell’OLAF risalenti al marzomaggio 2006.
8.Con il terzo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di insufficiente motivazione circa un punto
decisivo della controversia, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR non
aveva adeguatamente motivato la decisione assunta, omettendo di considerare l’epoca in cui erano

9. La società contribuente ha chiesto il rigetto del ricorso, evidenziando l’infondatezza di tutti i
motivi e, segnatamente, del primo in quanto l’Amministrazione avrebbe in qualsiasi momento
perUft’
v compiere le dovute verifiche presso il paese esportatore entro il termine previsto, non riguardando
l’art.2935 c.c. gli impedimenti derivanti da ostacoli di mero fatto.
9.1 Evidenzia, quanto alla seconda censura, l’inammissibilità della stessa e comunque la sua
infondatezza in ragione dell’orientamento di questa Corte in ordine alla decorrenza del termine per
l’accertamento in rettifica in caso di fatti penalmente rilevanti.
9.2 Assume, infine, l’inammissibilità del terzo motivo, non potendo la Corte sostituirsi negli
accertamenti di fatto svolti dal giudice di merito che, peraltro, aveva accertato la mancata
comunicazione della notitia criminis entro il termine di legge.
9.3 L’Agenzia ha poi depositato memoria, sottolineando l’esistenza di un orientamento di questa
Corte favorevole alla posizione espressa nelle doglianze esposte, sollecitando in via subordinata
l’adozione di un’ordinanza di rinvio alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art.267 TFUE.
10. Ritiene la Corte che i tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, stante la loro stretta
connessione, sono infondati.
10.1 Giova premettere, per una chiara comprensione della vicenda, che l’art. 84 del TULD
prevedeva che “l’azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive nel termine di
cinque anni” (primo comma) e che “qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia
causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza,
pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili” (terzo comma). Tale termine è
stato ridotto da cinque a tre anni per effetto dell’art. 29 della legge 29 dicembre 1990, n. 428,
applicabile ai diritti doganali sorti successivamente alla data di entrata in vigore di tale norma,
fissata al 1° maggio 1991. Secondo la giurisprudenza di questa Corte il termine decorre dalla data in
cui è divenuta irrevocabile la pronuncia nel giudizio penale, qualunque ne sia il contenuto, e quindi
anche nel caso in cui il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione (Cass. nn. 30710/11;
8139/1990, 20513/2006, 6820/2009).
10.2 Va aggiunto che il Regolamento CEE n. 1697/79 del Consiglio del 24 luglio 1979 prevedeva il
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pervenuti gli esiti delle indagini dell’OLAF.

termine di prescrizione di tre anni per azione di recupero a posteriori dei dazi all’importazione o
all’esportazione non riscossi, decorrente dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente
richiesto al debitore ovvero, se non vi è stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui è nato
il debito doganale (art. 2).A fronte di siffatta regola generale, l’art. 3 ha previsto che detto termine
“non è applicabile qualora le autorità competenti accertino di non aver potuto determinare l’importo
esatto dei dazi (….) legalmente dovuti per la merce in questione, a causa di un atto passibile di

esercita conformemente alle disposizioni vigenti in materia negli Stati membri”.
10.3 Va ancora rammentato che la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che, ai fini
dell’applicazione dell’eccezione prevista dall’art. 3 del Regolamento n. 1697/79 cit., la norma non
esige che azioni giudiziarie repressive siano effettivamente avviate dalle autorità penali dello Stato
membro; ragion per cui la qualificazione di un atto come “passibile di un’azione giudiziaria
repressiva” rientra nella competenza delle autorità doganali che devono stabilire l’importo esatto dei
dazi di cui trattasi (Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2007 in causa C-62/06, Fazenda
Publicà).
10.4 Successivamente, l’art. 221, nn. 3 e 4, del codice doganale comunitario (Reg. CEE del
Consiglio n. 2913 del 1992, come modificato dal Reg. CE del Parlamento europeo e del Consiglio
n. 2700 del 2000) ha stabilito che: «3.

La comunicazione al debitore non può più essere

effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale. Detto termine è sospeso a
partire dal momento in cui è presentato un ricorso a norma dell’articolo 243 e per la durata del
relativo procedimento. 4. Qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era
nel momento in cui è stato commesso perseguibile penalmente- formula, quest’ultima che ha
sostituito quella di “perseguibile a norme di legge” anteriore alla modifica adottata dal Reg.CE
n.2700/2000-, la comunicazione al debitore può essere effettuata, alle condizioni previste dalle
disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 3».
10.5 Orbene, la giurisprudenza di questa Sezione, malgrado alcune pronunzie di segno
contrario(Cass. n. 11932/2012) è andata progressivamente assestandosi nel senso di ritenere che in
tema di tributi doganali, l’azione di recupero “a posteriori” dei dazi all’importazione o
all’esportazione può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla data di
contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto quando la mancata determinazione del
dazio sia avvenuta a causa di un atto perseguibile penalmente- a prescindere dall’esito- di condanna
o assolutorio- del giudizio- purchè sia trasmessa, nel corso del termine di prescrizione e non dopo la
sua scadenza, la “notitia criminis”, primo atto esterno prefigurante il nodo di commistione tra fatto
reato e presupposto di imposta, destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale-cfr.Cass. n.
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un’azione giudiziaria repressiva. In questo caso, l’azione di recupero delle autorità competenti si

5384/2012;Cass.n.14016/2012,Cass.n.8046/13;Cass.n.8322/2013;Cass. 8708 /2013-.
10.5 Tale soluzione interpretativa si è perfettamente inserita nell’ambito delle prerogative riservate
ai singoli Stati membri dal quadro normativo comunitario sopra succintamente descritto che, come
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si è detto, non .1icji1i in alcun modo la disciplina delle cause di interruzione o sospensione del
termine di prescrizione qui esaminato.
10.6 Ed infatti, la Corte di Giustizia, ribadendo un principio già espresso da Corte giust. 18.12.2007

di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla CTP di Alessandria, che l’art. 221, nn. 3 e 4, del
regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913 deve essere interpretato nel senso che
non osta ad una normativa nazionale in base alla quale, laddove il mancato pagamento dei diritti
tragga origine da un reato, il termine di prescrizione dell’obbligazione doganale inizia a decorrere
dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti
irrevocabili-cfr.Corte giust. 17 giugno 2010, CS-75/09, Agra s.r.1.-.
10.7 La Corte europea, chiamata ad esaminare la questione pregiudiziale demandatale ed a chiarire
“Se, in relazione alle disposizioni di cui all’art. 11 del [decreto legislativo 8 novembre 1990,
n. 374] combinate con l’art. 221, [nn. 3 e 4, del codice doganale], e avuto riguardo all’art. 84, n. 3,
[TULD], il diritto dell’Agenzia delle Dogane ad esercitare l’azione di revisione dell ‘accertamento
sia prescritto e/o decaduto con il decorso del triennio dalla data della dichiarazione doganale,
ovvero se il termine suddetto possa subire interruzioni e/o sospensioni in pendenza di un
procedimento penale incardinatosi per violazione dei diritti doganali di cui all’accertamento, ha
precisato in termini inequivoci che “…l’art. 221, n. 4, del codice doganale non prevede di per sé
alcun termine di prescrizione e nemmeno le cause di sospensione o d’interruzione della prescrizione
applicabile. In particolare, a differenza di quanto disposto dal n. 3 del medesimo articolo, il n. 4
dell’articolo in parola non impone alcuna sospensione della prescrizione nel corso della durata di un
eventuale procedimento di ricorso.-p.33 sent.cit.-.
10.8 Il giudice europeo ha poi aggiunto che l’art. 221, n. 4, limitandosi al riferimento alle
«condizioni previste dalle disposizioni vigenti», opera un rinvio al diritto nazionale per il regime
della prescrizione dell’obbligazione doganale, qualora tale obbligazione sorga a seguito di un atto
che era, nel momento in cui è stato commesso, perseguibile penalmente. Ragion per cui non
prevedendo il diritto dell’Unione regole comuni in materia, spetta pz1 ogni Stato membro
VI> W
determinare il regime della prescrizione delle obbligazioni doganali che è stato possibile accertare a
causa di un fatto passibile di reato-p.35 sent. Agra, cit.10.9 Appare, pertanto, fuori bersaglio la richiesta di rimessione alla Corte di Giustizia del quesito
pregiudiziale in ordine alla portata interpretativa dell’art.221 par.4 CDC avanzata dall’Agenzia delle
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in causa C-62/06, Fazenda Publica e/ ZF Zefeser, p.30, ha di recente chiarito, proprio nell’ambito

Dogane nella memoria, proprio in relazione alla natura prettamente interna della questione relativa
all’operatività del regime di sospensione o interruzione del termine di prescrizione che, pertanto,
esula totalmente dalla competenza attribuita dall’art.267 TFUE alla Corte di Giustizia.
10.10 Ora, l’indirizzo di questa Sezione al quale si faceva cenno si è andato ormai ben
sedimentando ed ha trovato un autorevole avallo, sia pur indiretto, in una recente pronunzia della
Corte costituzionale -cfr.Corte cost. n.24712011, p.3.1-.
10.11 In tale circostanza, infatti, il giudice delle leggi, chiamato a verificare la costituzionalità

luglio 2006, n. 223 conv. con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (a cui tenore “«In
caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura
penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai
commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la
violazione»”)— e del comma 26 dell’art. 37 del decreto-legge n. 223 del 2006- nella parte in cui
determinano il raddoppio dei termini per gli accertamenti in materia di IVA previsti dall’art.57 cit. ha escluso la possibilità di offrire un’interpretazione costituzionalmente orientate delle disposizioni
anzidette “… nel senso che il raddoppio dei termini opererebbe solo se la denuncia penale sia
presentata prima del decorso dei termini “brevi” di accertamento —” applicando la <<... giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di termine triennale di «prescrizione» per il recupero "a posteriori" di diritti doganali previsto dall'art. 84, terzo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43». 10.12 La Corte, dopo avere rammentato che tale ultima disposizione prevede due diversi termini triennali di «prescrizione», a seconda che il mancato pagamento abbia o no causa da un reato ha precisato che ove il mancato pagamento abbia avuto causa da reato il termine decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza pronunziati nel procedimento penale siano divenuti irrevocabili. Ed è proprio la Corte costituzionale a ricordare come "...La lettera di tale disposizione, secondo la giurisprudenza di legittimità, renderebbe indeterminabile il periodo intercorrente tra la data di contabilizzazione o di esigibilità del debito doganale e la data in cui è divenuta irrevocabile la decisione penale, con la conseguenza che il termine per la revisione dei dazi, in presenza di reato, «sarebbe privo di riferimento temporale e dilatabile all'infinito» (sentenza della Cassazione civile n. 9773 del 2010)." Proprio "...per ovviare a tale «compromissione della certezza dei rapporti giuridici» (sentenze della Cassazione civile n. 19193 e n. 22014 del 2006)" prosegue il giudice delle leggi, "...la Suprema Corte ha interpretato l'art. 84 nel senso che, in caso di reato che ha causato il mancato pagamento, l'«originario» termine triennale, decorrente dalla contabilizzazione o dall'esigibilità dell'obbligazione doganale, è «prorogato» fino ai tre anni successivi alla data di 5 dell'art. 57 comma 3 del dpr n.633/1972inserito dal comma 25 dell'art. 37 del decreto-legge del 4 irrevocabilità della decisione penale, ma ciò solo nel caso in cui sia stata formulata una «ipotesi delittuosa», posta «alla base di una notitia criminis», nel corso dell'«originario» termine triennale (Cassazione civile, decisioni n. 9773 del 2010, n. 19195, n. 20513, n. 21377 e n. 22014 del 2006)." 10.13 Ora, la pronunzia della Corte costituzionale testè indicata assume estremo rilievo, poiché nell'escludere di potere estendere il meccanismo appena ricordato alle disposizioni denunciate che non presuppongono alcun accertamento penale definitivo del reato ed hanno un preciso riferimento temporale, ha modo di sottolineare come il terzo comma dell'art. 84 del d.P.R. n. 43 del 1973 "... termine complessivo indefinito e non prevedibile nel momento in cui è contabilizzata o diviene esigibile l'obbligazione doganale." 10.14 In definitiva, reputa il Collegio che l'interpretazione offerta da questa Sezione in punto di necessità che la notitia criminis intervenga nel triennio al fine di consentire la sospensione del corso della prescrizione, costituisce il frutto di un'operazione ermeneutica volta a rendere il precetto nazionale compatibile con il quadro dei principi costituzionali fra i quali spiccano, in materia, quelli della certezza dei rapporti giuridici e della ragionevolezza, correlati alla necessità di impedire l'indeterminabile ed indefinita possibilità che l'amministrazione possa realizzare la pretesa impositiva ritardando a sua discrezione il momento dal quale fare decorrere la sospensione del termine di prescrizione in presenza di condotte penalmente perseguibili. 10.15 E' noto, del resto, che la Corte costituzionale italiana, a partire da Corte cost. n. 356/1996, ha ripetutamente affermato che le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali-v. anche Corte cost. 29 settembre 2003 n. 301-. Principio ulteriormente rimarcato quando si è riconosciuto che «eventuali residue incertezze di lettura sono destinate a dissolversi una volta che si sia adottato, quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia costituzionale che impone all'interprete di optare, fra più soluzioni astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a Costituzione» -cfr. Corte cost. 5 giugno 2003 n. 198-. Se, dunque, come ha chiarito Corte cost. n. 355/2005, il dovere del giudice di sperimentare la possibilità di un'interpretazione conforme alla Costituzione "impone di fondarsi non già esclusivamente su una singola — peraltro non univoca — espressione verbale, ma sulla trasparente ratio dell'intera disciplina per verificare se quella espressione sia tale da impedire una lettura sistematica, che sia rispettosa dei valori costituzionali"- conf. Corte cost. 27 ottobre 2006, n. 343- le conclusioni qui condivise sembrano inscriversi a pieno titolo nel perimetro delineato dal giudice delle leggi. 6 presuppone una sentenza od un decreto penale di condanna divenuti irrevocabili ed indica un 10.16 Nè l'opera ermeneutica svolta da questa Sezione pare oltrepassare i limiti dell'interpretazione costituzionalmente orientata che pure la Corte costituzionale è andata nel tempo delineando, laddove ha riconosciuto che l'esigenza di impedire l'interpretazione costituzionalmente orientata deve arrestarsi quando l'univoco tenore della norma si ponga in contrasto con il canone costituzionale, esso segnando "il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale" - cfr. Corte cost. n. 26/2010; conf.Corte cost. 29 settembre 2003 n. 301-. Evenienza che non sembra emergere dal quadro normativo sopra temporale dal quale fare decorrere la proroga del termine di prescrizione. 10.17 Ed è appena il caso di sottolineare che l'interpretazione dianzi esposta non determina un regime deteriore rispetto a quello previsto dalla legge nazionale per materie affini, nè è tale da rendere eccessivamente difficile l'esercizio delle pretese fondate sul diritto comunitario, rendendo possibile un corretto bilanciamento fra l'esigenza dell'amministrazione finanziaria di reprimere condotte illecite e quella del contribuente di non rimanere soggetto indefinitamente all'azione accertativa del fisco. 10.18 In definitiva, nel caso di specie la CTR si è conformata a tale indirizzo, dando atto che la notitia criminis non era stata comunicata entro il termine triennale all'A.G.; circostanza che, del resto, è esplicitamente confermata dalla stessa ricorrente, la quale, rispetto alle operazioni doganali compiute fra il marzo 2003 e l'Agosto 2004, ha specificato che tale comunicazione avvenne in data 12 febbraio 2008 e, quindi, oltre il termine triennale rispetto alle operazioni di importazioni che si collocavano fra il marzo 2003 e l'agosto 2004-v.pagg. 1, 2 e 4 del ricorso e pag.7 della memoria dell'Agenzia-. 10.16. Nè può ipotizzarsi che la comunicazione della notitia criminis possa essere surrogata dal rapporto Olaf del maggio 2006. Ciò, infatti sembra impedito per un verso dal Reg.CE 1073/1999 relativo alle indagini svolte dall'Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) all'epoca vigente- e di recente sostituito dal Reg.CE n. 883/2013 dell'Il settembre 2013- ove si chiarisce che "La relazione redatta in seguito a un'indagine interna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi all'istituzione, all'organo o all'organismo interessato"- e, per altro verso, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia -Corte giust. 18.12.2007, causa C-62/06, p.26- ove pure si è chiarito che "... La relazione redatta in seguito a un'indagine interna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi all'istituzione, all'organo o all'organismo interessato. Le istituzioni, gli organi e gli organismi danno alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario"-, aggiungendosi che "le istituzioni, gli organi e gli organismi danno alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano 7 delineato al cui interno, semmai, spicca l'assenza di una testuale indicazione dell'elemento disciplinare e giudiziario...". Il che vai quanto dire che la qualificazione giuridica delle condotte acclarate dall'autorità comunitaria veniva riservata alle autorità interne e che non era previsto un'attività di qualificazione delle condotte di rilevanza penale da parte dell'Olaf, ad onta di quanto invece riconosciuto dall'art.10 c.5 del Reg.CE 883/13, però non applicabile alla fattispecie. 10.16 Appare, del resto, priva di consistenza la dedotta violazione dell'art.2935 c.c. esposta dalla ricorrente, se solo si consideri che l'amministrazione non incontrava alcun ostacolo all'esercizio dei giurisprudenza, solo in relazione agli impedimenti di natura giuridica- cfr.Cass. n.358412012, ove si è ribadito il tralaticio indirizzo per cui l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, nemmeno rilevando il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (così Cass.15991/2009;conf, proprio con riferimento alla materia qui esaminata, Cass.n.8322/13). 10.17 In conclusione, la ricorrente non ha fornito significativi elementi che, a giudizio di questo Collegio possano giustificare una rivisitazione dell'orientamento al quale si è fatto cenno che, invece, il Collegio pienamente condivide ed al quale intendere dare continuità. 11. Sulla base di tali considerazioni, la motivazione della sentenza della CTR appare congrua ed immune dai prospettati vizi e, pertanto, il ricorso va rigettato. 12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso e condanna l'Agenzia al pagamento del spese processuali che liquida in favore della società contribuente in euro di cui euro j.000,00 per compensi euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge. Così deciso il 24 settembre 2013 nella camera di consiglio della V sezione civile in Roma. poteri di verifica in epoca antecedente al triennio, operando tale disposizione, per pacifica

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