Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26016 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 26016 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: PERRINO ANGELINA MARIA

Data pubblicazione: 20/11/2013

SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 16765 del ruolo generale dell’anno 2012, proposto
da
Agenzia delle dogane, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e
difeso

dall’avvocatura dello Stato, presso gli uffici della quale in

Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;

251-1
i5
Melchioni s.p.a.,

-ricorrente
contro
in persona del legale rappresentante

pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del controricorso, dagli
avvocati Francesco Canepa, Lucio Ravera e Giuseppe Donato, domiciliato
presso lo studio del primo, in Roma, alla via delle Quattro Fontane, n. 15
-controricorrente
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della
Liguria, sezione 4°, depositata in data 24 maggio 2011, n. 41(1,

RG n. 16765/2012

Angelina- aria P rri estensore

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udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 24 settembre
2013 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;
uditi per l’Agenzia delle dogane l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio e per
la società l’avv. Francesco Canepa;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale
Immacolata Zeno, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

Fatto
La s.p.a. Melchioni importò lampade fluorescenti e fu destinataria di un
avviso di revisione del relativo accertamento doganale, scaturito da un’inchiesta
dell’OLAF, dalla quale era emerso che le lampade erano state inviate dalla Cina,
dalla quale provenivano, alla zona franca di Port Klang, per operazioni di
reimballaggio volte a modificarne l’origine.
Il ricorso avverso l’avviso fu accolto dalla Commissione tributaria
provinciale, con sentenza che la Commissione tributaria regionale ha
confermato, riconoscendo la buona fede dell’importatrice, che nel triennio aveva
compiuto identiche operazioni, in relazione alle quali non era stato mosso rilievo
alcuno dalla Dogana.
L’Agenzia delle dogane ricorre per ottenere la cassazione della sentenza,
affidando il ricorso a quattro motivi.
La società resiste con controricorso.
Diritto
1.- Va preliminarmente respinta l’eccezione di difetto di autosufficienza del
ricorso, giacché, in diritto, i primi due motivi sono adeguatamente formulati e, in
fatto, la riproduzione delle conclusioni delle indagini OLAF dà corpo ai profili
oggetto di doglianza col quarto motivo.
2.- In dettaglio, con i quattro motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente,
perché logicamente avvinti, l’Agenzia delle dogane lamenta:
-ex articolo 360, 10 comma, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa
applicazione degli articoli 1 e 2 del decreto del presidente della Repubblica 23
RG n. 16765/2012

Angelina-

o estensore

2

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gennaio 1973, numero 43, degli articoli 4 e 201-202 del regolamento CEE
numero 2913 del 1992 del 12 ottobre 1992, dell’articolo 904, punto c), del
regolamento CEE numero 2454/93 e dei principi generali in materia
d’imposizione fiscale delle importazioni, sostenendo che l’importatore di
prodotti che godono di regime daziario preferenziale in relazione alla loro

allorché l’origine preferenziale non trovi conferma o sia smentita dalle indagini
svolte dall’OLAF, indipendentemente dal suo stato soggettivo di buona fede—
primo motivo;
-ex articolo 360, 1° comma, numero 3, c.p.c., la violazione dell’articolo 220
del regolamento doganale comunitario e dell’articolo 904, punto c) del
regolamento CEE 2 luglio 1993, numero 2454, ritenendo che le autorità doganali
possano procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali quando è
smentita la veridicità delle dichiarazioni sulla provenienza espresse
dall’operatore nei certificati FORM-A sulla scorta di verifiche successivamente
compiute e delle indagini degli organi ispettivi comunitari —secondo motivo;
-la violazione dell’articolo 199 del regolamento CEE 2 luglio 1993, numero
2454, osservando che la violazione degli obblighi assunti dall’operatore in base a
questa norma osta all’applicazione dell’esimente della buona fede contemplata
dall’articolo 220, paragrafo 2, lettera b) ed al conseguente esonero da
responsabilità per il pagamento dei dazi evasi —terzo motivo;
-ex articolo 360, 1° comma, numero 5, c.p.c., l’insufficiente motivazione su
punti controversi decisivi della controversia, segnatamente sull’esistenza della
buona fede ai fini dell’esenzione dall’obbligo del pagamento dei dazi dovuti, al
cospetto dell’esito di indagini dell’OLAF, che hanno escluso l’origine
preferenziale –quarto motivo.
2.- L’impianto della sentenza postula e la provenienza della merce, e la
falsità della documentazione: si veda il punto della motivazione là dove la
Commissione <<...condivide l'avviso del Giudice di 1° grado, atteso che, dalle RG n. 16765/2012 Angelina-Ma origine deve rispondere dei dazi e delle relative sanzioni nella misura ordinaria Pagina 4 di 8 modalità di svolgimento dell'importazione non era dato desumere la provenienza cinese della merce né la falsità della documentazione», così dando per scontato che la merce fosse di provenienza cinese e che la documentazione fosse falsa. Ciononostante, la commissione tributaria regionale ha riconosciuto l'operatività dell'esimente della buona fede, per il fatto che «... importazioni di merci analoghe non erano state oggetto di rilievi da parte della Dogana». 3.- Ciò posto in fatto, la complessiva censura proposta dall'Agenzia è fondata in diritto. 3. /.-Per beneficiare delle misure tariffarie preferenziali stabilite dall'articolo 20, paragrafo 3, lettera e) del codice doganale comunitario (che, appunto, si riferisce alle «misure tariffarie preferenziali adottate unilateralmente dalla Comunità a favore di taluni paesi, gruppi di paesi o territori>>), èsufficiente
che le merci rispondano alle condizioni di acquisizione dell’origine (articolo 27
del codice). In tal caso, «i prodotti originari …. possono, all’importazione nella
Comunità, beneficiare delle preferenze tariffarie di cui all’articolo 67 su
presentazione di un certificato di origine, modulo A» (articolo 81, 1° paragrafo,
del regolamento numero 2454 del 1993), che ne costituisce

«titolo

giustifìcativo>> (articolo 81, 2° paragrafo); certificato che è rilasciato su
richiesta scritta dell’esportatore (articolo 81, 3° comma, del regolamento
2454/1993), là dove all’autorità pubblica competente del paese beneficiario
spetta, di norma, —soltanto- accertare «che il formulario del certificato e la
domanda siano debitamente compilati>> (articolo 81, 7° paragrafo).
In mancanza di idoneo titolo giustificativo, non è possibile fruire delle
preferenze tariffarie.
3.2.-A verificare l’esattezza dell’origine indicata nel suddetto certificato
modulo A interviene il controllo a posteriori (esattamente in termini, con
specifico riguardo a questa tipologia di certificati, vedi Corte di giustizia 8
novembre 2012, C-438/11, Lagura, punto 17), con la conseguenza che
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<<...allorché il controllo non consente di confermare l'origine delle merci indicate in un certificato d'origine "modulo A", si deve concludere che tali merci sono d'origine ignota e che, pertanto, il certificato d'origine e l'aliquota preferenziale sono stati concessi indebitamente» (punto 18 della medesima sentenza). 4.-Nell'ipotesi in esame, allora, in considerazione dello svolgimento e degli esiti dell'indagine di cui si è dato dinanzi conto, <> (Corte di giustizia, 15 settembre
2011, C-138/10, DP Group EOOD, punto 39).
Di tali principi è espressione l’articolo 199 del regolamento Cee della
Commissione 2 luglio 1993, n. 2454, il quale stabilisce che
presentazione in un ufficio doganale di una dichiarazione firmata dal
dichiarante o dal suo rappresentante è impegnativa, conformemente alle
disposizioni vigenti, per quanto riguarda:
-l’esattezza delle indicazioni riportate nella dichiarazione,
-l’autenticità dei documenti acclusi e
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Angelina-Mar

stensore

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-l’osservanza di tutti gli obblighi inerenti al vincolo delle merci in causa al
regime considerato».
5. Tanto comporta ineludibilmente l’inoperatività dell’esimente della buona
fede.
5.1.- A fronte dell’accertata falsità del certificato di origine della merce, la
Comunità Europea non può essere tenuta a sopportare le conseguenze di

comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini rientranti nel rischio
dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono
premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali (Corte giustizia 17 luglio
1997, causa C-97/95; Cass. 6 settembre 2006, n. 19195; Cass. 3 febbraio 2012,
n. 1583; Cass. 19 settembre 2012, n. 15758).
5.2.- A tanto va aggiunto che in relazione alla società contribuente, che ha
assunto la qualità di dichiarante in sede d’importazione, è irrilevante lo stato
soggettivo di consapevolezza delle inesattezze e delle irregolarità che hanno
accompagnato l’introduzione della merce, in considerazione dell’obbligo che
grava sull’importatore di vigilare <>
(Cass. 23 novembre 2011, n. 24675). L’affermazione dell’obbligo in questione si
rispecchia nel punto 57 della sentenza della Corte di giustizia 17 luglio 1997, C97/95, Pascoal Filhos, richiamata da Cass. 24675/11, la quale espressamente
paventa che, se la buona fede dell’importatore fosse capace di esentarlo
comunque da responsabilità, <<...l 'importatore sarebbe indotto a non verificare più l'esattezza dell'informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione da parte dell'esportatore, né la buona fede di quest'ultimo, il che darebbe luogo ad abusi > > .
La sentenza della Corte di giustizia si riferisce al regolamento numero
1697/79; ma l’attualità sia del pericolo paventato dalla Corte di giustizia, sia
dell’obbligo affermato da questa Corte trovano riscontro nel quarto comma del
paragrafo b) dell’articolo 220 del codice doganale comunitario, secondo cui <

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