Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26016 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. III, 05/12/2011, (ud. 04/11/2011, dep. 05/12/2011), n.26016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26121-2009 proposto da:

C.F. (OMISSIS), ITALCASE S.R.L. IN LIQUIDAZIONE

(OMISSIS) già S.P.A. ITALCASE in persona del suo Legale

Rappresentante Liquidatore Sig. C.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA MONTE DEL GALLO 4, presso lo studio

dell’avvocato TASSINI SERGIO, che li rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

BANCA CREDITO COOPERATIVO DEL VELINO S.C.A.R.L. (OMISSIS) in

persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante Dott. CO.AL., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA PREMUDA 6, presso lo studio dell’avvocato CODERONI

ANTONIO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3868/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/10/2008, R.G.N. 2616/2006, R.G.N. 2616/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato SERGIO TASSINI;

udito l’Avvocato ANTONIO CODERONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Italcase srl e C.F. proponevano appello avverso la sentenza del tribunale di Rieti che, in relazione alla domanda dagli stessi proposta di accertamento del loro adempimento agli obblighi nascenti da due contratti di apertura di credito in conto corrente presso la Banca di Credito Cooperativo del Velino scarl, aveva indicato le somme ancora dovute dagli appellanti.

La Corte d’Appello, con sentenza del 2.10.2008, rigettava l’appello.

Il C. ed Italcase srl in liquidazione – già Italcase spa – hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Resiste, con controricorso, l’Istituto di Credito.

Le parti hanno anche presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio raccomanda una motivazione semplificata. Il ricorso per cassazione proposto è inammissibile. Difetta, nel ricorso, il requisito dell’esposizione, pur sommaria, dei fatti di causa, prescritto – a pena di inammissibilità – dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. La norma prescrive tale requisito come requisito di cd.

contenuto – forma del ricorso per cassazione; nel senso, cioè, che, in base al principio della libertà delle forme, ma, pur sempre, nel rispetto dì una forma idonea al raggiungimento dello scopo, il ricorso deve contenere una parte apposita dedicata all’adempimento della funzione dell’esposizione, pur sommaria dei fatti della causa.

Gli stessi – riguardando il processo civile una vicenda sostanziale ed il suo svolgimento in giudizio – sono costituiti dal ed. fatto sostanziale oggetto del processo, cioè dalla situazione sostanziale dedotta in giudizio secondo le prospettazioni delle parti e dal ed.

fatto processuale, cioè dallo svolgimento dinamico del processo nelle fasi di merito.

Il requisito, peraltro, può risultare rispettato, anche in assenza di questa parte apposita, se la stessa esposizione dei motivi consenta, in via immediata, la percezione di tale fatto sostanziale e processuale.

La giurisprudenza della Corte, in proposito rileva che per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per Cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali è chiesta alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito.

Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli clementi necessari al giudice di legittimità per avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo (fra le tante Cass. 30.5.2007 n. 12688).

Sullo stesso presupposto, è stato precisato che il requisito della esposizione sommaria dei fatti dì causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per Cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3 postula che il ricorso per Cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa, non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata (S.U. 17.7.2009 n. 16628). Inoltre, costituisce principio altrettanto consolidato che, ai fini della sanzione di inammissibilità, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (Cass. 3.2.2004 n. 1959).

Alla luce dei principii enunciati, peraltro, il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3, in entrambe le alternative di formulazione enunciate, deve, comunque, essere assolto attraverso il contenuto dell’atto – ricorso, che nel ricorso per cassazione, è la domanda di impugnazione rivolta alla Corte di cassazione.

Posto che si tratta di domanda e, quindi, di atto di parte, l’assolvimento del requisito in funzione di essa è considerato dal legislatore come un’attività di narrazione del difensore, che, in ragione dell’espressa qualificazione della sua modalità espositiva come sommaria, esige una narrazione finalizzata a riassumere, sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio, sia lo svolgimento del processo (S.U. ord. 9.9.2010 n. 19255).

Il ricorso per cassazione proposto non rispetta tale requisito.

Esso, infatti, riporta pedissequamente gli atti del giudizio di merito: il fatto come descritto nella sentenza di primo grado, come precisato nell’atto di citazione, le risultanze dell’istruttoria tecnica esperita nel giudizio di primo grado; le conclusioni della parte attrice nel giudizio di primo grado; indica il dispositivo della sentenza di primo grado; ancora, riporta “il fatto e svolgimento secondo la sentenza di secondo grado “ed il dispositivo della stessa sentenza.

Ora, l’assemblaggio di tali atti è inidoneo ad assolvere al requisito dell’esposizione sommaria del fatto, perchè pretende di assolvervi costringendo la Corte alla lettura integrale degli atti attraverso i quali si è svolto il processo di merito.

In sostanza, tale modalità di formulazione del ricorso equivale ad un mero rinvio alla lettura di detti atti; cioè dì tutti gli atti della fase di merito bypassando, in tal modo, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (v. anche S.U. ord. 24.4.2002 n. 6040). In sostanza, il requisito dovrebbe essere attinto da atti estranei al ricorso e, quindi, non si connoterebbe più come requisito di contenuto – forma del ricorso, essendo oltretutto carente la sua funzione riassuntiva. Deve, peraltro, a tal fine, sottolinearsi che i rilievi esposti con riferimento al caso in esame non valgono nell’ipotesi – che non ricorre nella specie – in cui un ricorso sia redatto con l’assemblaggio degli atti del processo di merito, ma ad essi segua, comunque, una parte contenente l’esposizione sommaria del fatto, o autonoma, o emergente in modo chiaro dall’esposizione dei motivi (Cass. ord. 22.9.2009 n. 20393, cass. ord. 30.6.2010 n. 16631; v. anche S.U. 17.7.2009 n. 16628).

Nel caso in esame, viceversa, dopo le indicazioni riferite alla parte denominata “Fatto e svolgimento”, la parte in “diritto” esordisce semplicemente con la seguente dizione “Motivi”, dando per assolto, in tal modo, l’obbligo di sommaria esposizione dei fatti di causa e passando, quindi, all’esame delle ragioni di diritto invocate.

In base a questi elementi, non può dirsi assolta la funzione che il legislatore intende assegnare al difensore, vale a dire quella di una autonoma attività di narrazione dello stesso difensore, volta a riassumere, sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio, sia lo svolgimento del processo.

Pur essendo assorbenti, ai fini della declaratoria di inammissibilità, i rilievi esposti, il ricorso sarebbe stato anche inammissibile sotto il profilo del mancato rispetto della norma dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis nella specie, per essere, il provvedimento impugnato, stato pubblicato anteriormente al 4.7.2009 (2.10.2008).

I motivi, infatti, non solo non indicano, nella loro formulazione, quale sia il vizio dal quale ritengono affetta la sentenza impugnata – con ciò non rispettando il disposto dell’art. 360 c.p.c. (v. anche Cass. 3.7.2008 n. 18202) -, ma non si concludono, nè contengono il quesito richiesto dalla norma dell’art. 366 bis c.p.c., se rivolti a denunciare la violazione di una norma di diritto; nè, in ipotesi di vizio motivazionale, contengono il momento di sintesi, indicando quale sia il fatto controverso con riferimento al caso concreto (Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420; Sez. Un. 8.5.2008, n. 11210), la sua decisività in relazione al provvedimento adottato, e le ragioni per le quali il supposto vizio di motivazione sia tale da non sorreggere la decisione.

Conclusivamente, il ricorso per cassazione è dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico solidale dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione, il 4 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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