Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26015 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 17/11/2020), n.26015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16390-2019 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

VALERIA CHIODI, ROSARIO VINGELLI;

– ricorrente –

contro

L.N., C.T., L.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI 5, presso lo studio

dell’avvocato FABIO ACAMPORA, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2602/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 2602 pubblicata l’8.6.2018 e notificata il 25.3.2019, ha respinto l’appello di S.C., confermando la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda del predetto volta all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato svolto dal 16.2.1994 al 31.12.2004 alle dipendenze di L.F., titolare della impresa individuale “Linea Uomo” esercente attività di barbiere e parrucchiere, e alla condanna di parte datoriale al pagamento delle differenze retributive;

2. la Corte territoriale ha ritenuto che il lavoratore, onerato, non avesse fornito elementi di prova atti a dimostrare lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato; ha dato atto che nel giudizio di secondo grado era stata accolta la richiesta dell’appellante di ammissione di altri due testimoni e che all’udienza fissata per l’assunzione non si erano presentati nè la parte appellante nè i testimoni; ha valutato come attendibili le deposizioni dei testi T. e V., clienti del L., i quali avevano riferito di una presenza solo occasionale e sporadica dello S. nel negozio; ha ritenuto che l’accertamento in sede penale di falsità della testimonianza resa in primo grado da Vi.Gi., F.A. e P.G. (che avevano negato di aver visto lo S. lavorare nel negozio del L.) non consentisse di ritenere provati i fatti costitutivi allegati dal lavoratore;

3. avverso tale sentenza S.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da successiva memoria, cui hanno resistito con controricorso L.N., L.P., C.T., quali eredi di L.F.;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. in via preliminare deve rilevarsi l’inammissibilità dell’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello, contenuta nella memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c., la quale non può essere proposta a questa Corte ma unicamente, ai sensi dell’art. 373 c.p.c., dinanzi al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata col ricorso per cassazione;

6. non può trovare neppure accoglimento l’istanza di rinvio del presente procedimento in attesa della definizione del processo penale in difetto dei presupposti di cui all’art. 295 c.p.c. e all’art. 654 c.p.p. (cfr. Cass. n. 18918 del 2019; n. 18202 del 2018);

7. con l’unico motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalla sentenza penale n. 15549/2015 emessa dal Tribunale di Napoli che, si sostiene, ha accertato come lo S. avesse lavorato per un decennio alle dipendenze di L.F. presso l’esercizio “Linea Uomo” e dalle deposizioni testimoniali raccolte in quella sede e rese da D.A., Pa.Ro., Co.Re. nonchè da S.A., figlia dell’attuate ricorrente costituito parte civile nel giudizio penale;

8. premesso che non trova applicazione nel caso di specie l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, in quanto il ricorso in appello è stato depositato nel 2011, il ricorso risulta tuttavia inammissibile;

9. anzitutto, posto che la censura si basa sull’omesso esame della sentenza pronunciata in sede penale e dei verbali di testimonianza raccolti in quella sede, sarebbe stato onere di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, trascrivere, almeno per estratto e, comunque, depositare i relativi atti e documenti, cosa che invece è stata del tutto omessa;

10. neppure è allegato e comprovato il passaggio in giudicato della sentenza penale (nel controricorso si allega che la sentenza penale è stata impugnata), sebbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, solo l’accertamento definitivo in sede penale della sussistenza del reato di falsa testimonianza vieta al giudice civile di tener conto delle deposizioni, essendo in tal caso l’inattendibilità dei testimoni oggetto necessario della dichiarata falsità o reticenza (cfr. Cass. n. 622 del 1994; sez. 6 n. 29854 del 2011);

11. peraltro, la sentenza impugnata in questa sede non ha fondato la decisione sulle deposizioni poi dichiarate false con la citata sentenza penale di primo grado ma ha ritenuto, sulla base di una complessiva valutazione delle prove raccolte, non assolto l’onere di prova a carico del lavoratore; la Corte di merito ha evidenziato che la accertata falsità delle dichiarazioni rese da Vi.Gi., F.A. e P.G. non consentisse comunque di considerare dimostrati i fatti costitutivi del diritto azionato;

12. secondo la giurisprudenza di questa Corte, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (cfr. Cass. 16812/18 – 19150/16);

13. nel caso di specie non ricorrono i requisiti suddetti perchè la Corte di merito ha sia tenuto conto della sentenza penale (non irrevocabile) e sia valutato la stessa come non decisiva sul rilievo che l’accertamento di falsità delle dichiarazioni rese dai predetti testimoni non rendesse automaticamente comprovati i fatti allegati dallo S. e che gli stessi non risultassero dimostrati in base al complessivo corredo probatorio;

14. la censura mossa col motivo di ricorso in esame finisce per investire tale valutazione che, in quanto attiene al peso e al significato da attribuire alle prove raccolte, non è suscettibile di revisione in questa sede di legittimità;

15. il ricorso va quindi dichiarato inammissibile;

16. non si fa luogo alla liquidazione delle spese in quanto difetta la prova della notifica del controricorso;

17. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del contributo unificato ove lo stesso risultasse dovuto, tenuto conto che il ricorrente risulta ammesso al patrocinio a spese dello Stato (cfr. sul punto Cass. n. 22646 del 2019; contra Cass. n. 27867 del 2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

 

 

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