Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26013 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 17/11/2020), n.26013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4104-2019 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, in persona del Procuratore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI 13,

presso lo studio dell’avvocato LEONARDO ALESII, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

C.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEI

COLLI PORTUENSI 57, presso lo studio dell’avvocato FABIO CIPRIANI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4183/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 4183 notificata il 6.12.2018 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’appello di C.M.T. e in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di Rete Ferroviaria Italiana spa di condanna della ex dipendente alla restituzione della somma di Euro 20.664,18;

2. la Corte territoriale ha premesso che con decreto ingiuntivo emesso il 18.12.1995 dal Tribunale di Roma su ricorso della C., la società Ferrovie dello Stato spa (ora RFI spa) era stata condannata al pagamento della somma di lire 40.011.423 a titolo di differenze retributive; l’opposizione proposta da parte datoriale al decreto ingiuntivo era stata respinta ma la sentenza di primo grado era stata riformata dalla Corte d’appello, con revoca del decreto ingiuntivo;

3. nel presente procedimento Rete Ferroviaria Italiana spa ha agito per ottenere la restituzione delle somme che ha assunto di avere a suo tempo versato alla lavoratrice in esecuzione del decreto ingiuntivo; il Tribunale, nonostante l’esito negativo dell’interrogatorio formale deferito alla C., aveva accolto la domanda della società ritenendo l’avvenuto pagamento della somma provato in via presuntiva, in base ai seguenti indizi: la richiesta da parte della lavoratrice del decreto ingiuntivo e la notifica dell’atto di precetto il (OMISSIS); le due sentenze intervenute nel procedimento monitorio e favorevoli alla dipendente; la disposizione di pagamento dell'(OMISSIS) del Dirigente dell’Ufficio Centrale Contenzioso e Normativa del Lavoro nonchè “l’espressa ammissione della C. di aver ricevuto il pagamento contenuta nella comparsa di costituzione dalla stessa depositata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo”;

4. la sentenza ora impugnata ha valutato gli elementi indiziari appena elencati come inidonei a fornire la prova, di cui era onerata la società, dell’avvenuto pagamento;

5. avverso tale sentenza Rete Ferroviaria Italiana spa ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria, C.M.T.;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

7. con l’unico motivo di ricorso Rete Ferroviaria Italiana spa ha dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. per avere la Corte di merito erroneamente valutato gli elementi indiziari posti a base della decisione di primo grado come privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza;

8. ha sostenuto che gli elementi indiziari suddetti erano idonei a dimostrare ciò che peraltro la stessa lavoratrice aveva ammesso nella comparsa di costituzione depositata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il cui contenuto era riportato nella sentenza d’appello n. 6613/2002 emessa nel giudizio monitorio che dava atto: “si costituiva in giudizio la C. evidenziando, preliminarmente, che la Società aveva pagato quanto richiesto con decreto ingiuntivo ed era stata altresì chiamata al lavoro dalla società presso il compartimento di (OMISSIS)”;

9. ha aggiunto come tale ammissione fosse stata fatta in un processo definito con sentenza irrevocabile cosicchè la stessa dovesse considerarsi circostanza accertata e facente stato tra le medesime parti, senza necessità di produzione della comparsa di costituzione della C. nel procedimento monitorio;

10. il ricorso non può trovare accoglimento;

11. premesso che, come recita l’art. 2727 c.c., le presunzioni sono le conseguenze che la legge (presunzioni legali) o il giudice (presunzioni semplici o giudiziali) trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, nella giurisprudenza di legittimità si è più volte sottolineato come, nel dedurre dal fatto noto quello ignoto, il giudice di merito incontri il solo limite del principio di probabilità (Cass., 12/6/2006, n. 13546). Non occorre cioè che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire la esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile, secondo un criterio di necessità assoluta ed esclusiva (cfr. Cass. n. 6387 del 2018 e precedenti ivi citati), ma è sufficiente che l’inferenza del fatto noto da quello ignoto sia effettuata in base ad un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza basate sull’id quod plerumque accidit (cfr. Cass., 30/5/2019 n. 14762; Cass. 15/3/2018 n. 6387; Cass. 30/11/2005, n. 6081; Cass. 23/3/2005, n. 6220; Cass., 16/7/2004, n. 13169; Cass. 13/11/1996, n. 9961);

12. al fine di meglio delineare l’ambito del giudizio di legittimità, occorre considerare che il ragionamento presuntivo è articolato in due momenti valutativi: occorre, in primo luogo, una valutazione analitica degli elementi offerti, per scartare quelli privi di rilevanza e conservare quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria (il che comporta la sindacabilità di una valutazione che abbia pretermesso, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un’oggettiva portata indiziante, in tal senso cfr. Cass. n. 23201/15 in motivazione);

successivamente, deve procedersi ad una valutazione complessiva di tutte le emergenze così isolate, per accertare se esse siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado, in base ad un giudizio di elevata probabilità logica, di condurre a ritenere dimostrato il fatto ignoto (cfr. Cass. n. 23201/15 in motivazione);

13. va ulteriormente precisato che il giudizio valutativo sugli indizi costituisce un giudizio di fatto, come tale rimesso al giudice di merito che, nel suo libero apprezzamento, può valutarli, ove anche provenienti dalla parte, come idonei alla dimostrazione di un fatto determinato e porli, in concorso o meno con altri elementi significativi, a base del proprio convincimento (cfr. Cass., 15/3/2006, n. 5645; Cass., 17/11/2003, n. 17371; Cass., 30/5/2002, n. 7935; Cass., 14/2/2002, n. 2124; Cass., 26/10/2001, n. 13213. Cfr. altresì Cass., 28/6/2010, n. 15383; Cass., 28/4/2004, n. 8126);

14. la valutazione degli indizi è incensurabile in sede di legittimità, spettando a questa Corte soltanto la verifica sul rispetto dei principi che regolano la prova per presunzioni (cfr. Cass., 8/3/2007, n. 5332; Cass., 23/1/2006, n. 1216; Cass., 19/3/2002, n. 3974) e quindi sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute (senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento o nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti); appartiene al giudizio di legittimità, inoltre, il sindacato sulle massime di esperienza utilizzate nella valutazione delle risultanze probatorie. Tale controllo non può peraltro spingersi fino a sindacarne la scelta, dovendo questa S.C. limitarsi a verificare che il giudizio probatorio non sia fondato su congetture, ovvero su ipotesi non rispondenti all’id quod pierum accidit o su regole generali prive di una sia pur minima plausibilità invece che su vere e proprie massime di esperienza. (in tal senso Cass., n. 6387/18);

15. nel caso in esame, la Corte d’appello ha analizzato singolarmente e poi unitariamente gli indizi valorizzati dal primo giudice ed ha rilevato come la richiesta di decreto ingiuntivo e la notifica dell’atto di precetto da parte della lavoratrice dimostrassero unicamente l’esercizio dell’azione in giudizio per ottenere il pagamento e non l’effettiva esecuzione di questo; parimenti le sentenze di primo e secondo grado emesse nel giudizio monitorio avevano ad oggetto l’accertamento del diritto alle differenze retributive e nulla da esse potesse desumersi quanto all’avvenuto pagamento; il documento prodotto dalla società (lettera inviata nel 1996 dal Dirigente dell’Ufficio Centrale Contenzioso e Normativa del Lavoro alla Divisione Servizi Amministrativi e Contabilità con disposizione di provvedere al pagamento della somma oggetto del decreto ingiuntivo entro 48 ore mediante assegno circolare non trasferibile) confermava unicamente l’avvio dell’iter amministrativo per il pagamento ma non che questo fosse stato eseguito, mancando la produzione di qualsiasi contabile del pagamento; l’ammissione dell’avvenuto pagamento contenuta nella comparsa difensiva in primo grado nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, oltre ad essere priva di valore confessorio, non poteva assumere rilievo significativo sia per la mancata produzione della comparsa medesima e sia perchè la sentenza d’appello del giudizio monitorio, pur avendo revocato il decreto ingiuntivo sulle differenze retributive, aveva dichiarato nulla la domanda di restituzione della somma, avanzata dalla società datoriale già in quella sede, “per omessa allegazione dei termini temporali e delle modalità che avrebbero caratterizzato il pagamento dedotto”; il che significa che quella ammissione contenuta nella comparsa difensiva della lavoratrice era stata ritenuta inidonea a dimostrare l’avvenuto pagamento già nel procedimento in cui era stata resa;

16. la sentenza impugnata si è attenuta rigorosamente ai criteri di probabilità logica che sorreggono la prova presuntiva ed ha analizzato gli elementi indiziari sia singolarmente e sia unitariamente; la pretesa di parte ricorrente di una diversa valutazione della pregnanza dei vari indizi e, soprattutto, di vedere attribuita alla ammissione della lavoratrice contenuta negli atti del distinto procedimento monitorio una valenza maggiore e quasi dirimente si scontra con i limiti del controllo di legittimità in materia di prova per presunzioni,; nè vi è spazio per invocare un giudicato esterno alla luce della statuizione di rigetto della domanda di restituzione contenuta nella sentenza d’appello n. 6613/2002;

17. le considerazioni svolte portano a respingere il ricorso;

18. le spese di lite sono regolate secondo il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

19. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. Fabio Cipriani, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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