Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26008 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 15/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 15/10/2019), n.26008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22986/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

PHLOGAS s.r.l. in liquidazione in persona del suo legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta delega in

atti dall’avvocato Salvatore di Pardo con domicilio eletto in Roma

p.zza del Popolo n. 18 presso REGUS Business Center Italia s.r.l..

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 2991/52/17 depositata il 3/4/2017, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

29/05/2019 dal consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria di seconde cure ha respinto l’appello principale dell’Ufficio confermando l’illegittimità dell’invito al pagamento impugnato per accise sulla produzione di energia elettrica e del connesso avviso di irrogazione sanzioni relativi al periodo aprile-novembre 2014;

– avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione

l’Amministrazione Finanziaria con atto affidato a un unico motivo; il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità di cui al controricorso; essa è infondata in quanto dalla lettura dal gravame, diversamente da quanto ritiene il controricorrente, la Corte è messa in condizione di conoscere adeguatamente le questioni poste con l’atto di impugnazione;

– venendo quindi al motivo di ricorso, con il solo mezzo proposto si denuncia violazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 26 (c.d. Testo Unico Accise, TUA) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’azione dell’Ufficio per il recupero delle rate di acconti di imposta dovuti e non versati nel periodo aprile novembre 2014 sia subordinata alla sussistenza o meno, in sede di conguaglio con l’imposta dovuta a saldo, di un debito di imposta; con ciò non ricorrendo l’obbligo di versare detti acconti ove tal debito complessivamente determinato alla fine del periodo d’imposta, risulti determinato in misura minore al versato in acconto;

– il motivo è infondato;

– si evince dalla sentenza impugnata come la CTR abbia accertato che la contribuente era onerata di versare per il 2014 rate mensili di acconto per Euro 10.561,90 e che non provvedendo a tal versamento nel periodo aprile – novembre 2014, l’Ufficio ha agito per il recupero di tali somme;

– sul punto, la CTR ha anche rilevato e accertato in fatto come tra i consumi del 2013 (sulla base dei quali andavano calcolate le rate di acconto del 2014) e i consumi del 2014 (sulla base dei quali andava determinata l’imposta dovuta definitivamente a saldo) vi sia stato un enorme divario; non risulta che l’Ufficio le abbia contestate quanto allo loro effettiva sussistenza;

– pertanto, appare evidente come la determinazione delle rate del periodo aprile – novembre 2014 sia stata dapprima correttamente operata sui consumi dell’anno precedente, quindi le stesse non siano state versate in quanto il debito complessivamente determinato per l’intero periodo d’imposta era ben minore;

– rileva la Corte come il disposto dall’art. 26 TUA, comma 8, preveda che l’accertamento dell’accisa sia effettuato sulla base delle dichiarazioni annuali, contenenti tutti gli elementi necessari per la determinazione del debito d’imposta. Al tempo stesso, il pagamento dell’accisa deve essere effettuato in rate mensili di acconto calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente, con eventuale conguaglio in fase di successiva dichiarazione di consumo;

– l’ipotesi occorsa nel caso di specie è stata quella che la società contribuente è andata versando importi in acconto superiori a quelli determinati alla fine dell’annualità, risultando impossibile la realizzazione del conguaglio fra somme versate per un’annualità e imposta effettivamente dovuta;

– le particolari modalità di pagamento dell’accisa in esame, incentrata sul meccanismo degli acconti calcolati sui consumi del corrispondente periodo precedente fa sì che alla chiusura annuale di ciascun periodo si determina un nuovo saldo creditorio o debitorio; la disposizione di cui all’art. 26 TUA, comma 13, sul punto, prevede che “l’accertamento dell’accisa dovuta viene effettuato sulla base di dichiarazioni annuali, contenenti tutti gli elementi necessari per la determinazione del debito d’imposta, che sono presentate dai soggetti obbligati entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce. Il pagamento dell’accisa è effettuato in rate di acconto mensili da versare entro la fine di ciascun mese, calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente. Il versamento a conguaglio è effettuato entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui si riferisce. Le somme eventualmente versate in eccedenza all’imposta dovuta sono detratte dai successivi versamenti di acconto. L’Amministrazione finanziaria ha facoltà di prescrivere diverse rateizzazioni d’acconto sulla base dei dati tecnici e contabili disponibili”;

– la disposizione in esame provvede quindi a riequilibrare la situazione in essere tra le parti, consentendo al contribuente di recuperare, in sede di determinazione dei successivi versamenti in acconto, quanto versato in più precedentemente;

– la dizione letterale, peraltro, fa chiaro e inequivoco riferimento ai “successivi versamenti in acconto” quale sede nella quale – sia pur utilizzando il concetto non del tutto appropriato di detrazione (“detratti”) – il contribuente ridetermina il dovuto sottraendo quanto versato in più alla somma determinate nel successivo acconto;

– il sistema, così ricostruito, risulta quindi da un lato tutelare l’interesse erariale alla costante e pronta riscossione del dovuto, salvo conguaglio o restituzione della differenza indebitamente percetta dall’Amministrazione; dall’altro permettere al contribuente la ripetizione di quanto versato indebitamente, ancorchè l’indebito risulti sopravvenuto;

– nondimeno, il legislatore ha identificato una sola sede e circostanza nella quale il riequilibrio tra provvisoriamente anticipato ed effettivamente dovuto è in concreto operato: tal sede è quella dei “successivi versamenti di acconto”, non potendo il contribuente autonomamente provvedere al riequilibrio in parola direttamente in sede di versamento degli acconti man mano che i termini per il loro perfezionamento maturano, ma dovendo attendere la determinazione dell’obbligazione tributaria nella sua interezza e definitività, non nella sua parzialità e provvisorietà;

– ne discende che come per determinare l’insorgenza dell’obbligo del versamento del conguaglio è necessario attendere l’anno successivo (stante la misura annuale del periodo d’imposta), analogamente per determinare l’insorgenza del diritto alla compensazione (termine obiettivamente più tecnico della detrazione cui rimanda l’utilizzo invero improprio da parte del legislatore con il termine “detratti” di cui si è detto) è altrettanto necessario attendere l’anno successivo;

– ne discende altresì che gli importi non versati dal contribuente, pacificamente non dovuti, non potevano essere semplicemente non versati nel corso del 2014, ma dovevano essere comunque versati, salvo, nel corso del 2015; in caso di mancata capienza, comunque, potevano esser chiesti a rimborso in sede di dichiarazione;

– conseguentemente, il ricorso agenziale va accolto e la sentenza cassata; la vertenza può infine decidersi nel merito non risultando necessari accertamenti ulteriori in fatto, con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente; liquida le spese in Euro 4.500 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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