Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26003 del 17/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 17/11/2020), n.26003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33181-2018 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 212, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO BRASCA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della

SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA VITA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1708/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Roma ha respinto il gravame avverso la decisione di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda di S.S., aveva dichiarato estinti i crediti contributivi oggetto di sette cartelle esattoriali e respinto la domanda in relazione ad ulteriori cartelle e avvisi di addebito;

in estrema sintesi, la Corte territoriale, nel rigettare il primo motivo di appello, con cui era censurata la statuizione del Tribunale di regolarità della notifica delle cartelle, ha integralmente richiamato, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la pronuncia di questa Corte n. 8293 del 2018 (nonchè quelle nn. 29022 del 2017 e 23803 del 2017); ha, quindi, giudicato inammissibile, perchè tardiva, la censura secondo la quale nessuno degli avvisi di ricevimento riportava i segni distintivi dell’ufficio postale attestanti l’effettivo invio della raccomandata; ha, infine, osservato che, ai fini della prova della corrispondenza tra gli avvisi di ricevimento depositati e le cartelle esattoriali (o gli avvisi di addebito) asseritamente notificate, fosse sufficiente la produzione della relazione di notificazione e/o dell’avviso di avviso di ricevimento, recante il numero identificativo della cartella, non risultando necessaria, invece, la produzione in giudizio della copia della cartella stessa (come da Cass. 23.902 del 2017, con motivazione richiamata ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.);

avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione S.S. articolato in quattro motivi;

ha resistito con controricorso l’INPS;

è rimasta intimata l’Agenzia delle Entrate-Riscossione la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – è dedotta la nullità della sentenza per motivazione apparente; secondo la parte ricorrente, la motivazione della Corte territoriale di rigetto del primo motivo di appello sarebbe meramente apparente avendo i giudici posto a base del decisum una sentenza della Corte di Cassazione, senza chiarire a quale fattispecie, tra quelle esaminate dalla Suprema Corte, fosse da ricondurre l’ipotesi concreta;

con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa

applicazione dell’art. 139 c.p.c.; la parte ricorrente osserva come la Corte territoriale, limitandosi al mero richiamo della sentenza di questa Corte, non avrebbe considerato che la notifica, attuata ai sensi dell’art. 139 c.p.c., dovesse considerarsi nulla in quanto, effettuata a mani del portiere, sarebbe risultata carente della spedizione della raccomandata, ai sensi della predetta disposizione, comma 4, e della prova della relativa ricezione;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – è dedotta la nullità della sentenza per motivazione omessa; secondo la ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe considerato, quanto agli avvisi di addebito, come, nella fattispecie, mancasse proprio la prova della corrispondenza agli stessi (id est: agli avvisi di addebito) degli avvisi di ricevimento prodotti;

con il quarto motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c.; i profili di cui al precedente motivo vengono riproposti in relazione alle regole che disciplinano la distribuzione dell’onere di prova;

i motivi possono trattarsi congiuntamente, presentando analoghi profili, per un verso, di infondatezza e, per altro, di inammissibilità;

nel complesso, tutte le censure pongono questione di regolarità delle notifiche delle cartelle esattoriali e degli avvisi di addebito sottesi all’impugnazione del preavviso di fermo opposto e di motivazione al riguardo resa;

osserva il Collegio come il ragionamento che giustifica il decisum possa sintetizzarsi in questi termini: la prescrizione dei contributi richiesti con le cartelle di pagamento e/o con gli avvisi di addebito, implicanti il fermo amministrativo, è stata interrotta dalla valida notifica degli atti medesimi (id est: cartelle e avvisi di addebito);

le ragioni della decisione sono dunque comprensibili e tanto esclude la violazione del “minimo costituzionale” della motivazione, denunciata con il primo ed il terzo motivo;

costituisce, infatti, orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui affinchè sia integrato il vizio di mancanza o apparenza della motivazione -agli effetti di cui all’art. 132 cod. proc. civ., n. 4 – occorre che la motivazione della sentenza manchi del tutto, vuoi nel senso grafico vuoi nel senso logico ovvero allorchè la motivazione, pur formalmente esistente, sia talmente contraddittoria da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum (v. Cass., sez. un., n. 8053 del 2014); il vizio non ricorre, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati (in ultimo, v. Cass., sez. lav., n.14633 del 2020);

può, invece, discutersi della esattezza della ricostruzione operata in sentenza;

tuttavia, le censure che investono tale aspetto difettano di specificità, poichè è carente l’indicazione, in modo rituale, dei documenti sui quali le censure stesse si fondano;

tali omissioni si pongono in contrasto con i principi sanciti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., n. 4, che impongono alle parti, ove siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. , di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un “error in procedendo” ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 della medesima norma, non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass., sez. un., n. 8877 del 2012; ex plurimis, Cass. n. 13713 del 2015);

sulla base delle esposte argomentazioni, il ricorso va, dunque, respinto;

le spese, nei rapporti con la parte controricorrente, si liquidano, secondo soccombenza, come da dispositivo; nulla deve provvedersi in relazione alla parte non costituitasi;

sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2020

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