Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26002 del 15/10/2019
Cassazione civile sez. trib., 15/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 15/10/2019), n.26002
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –
Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21751/2017 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. 97210890584), in persona
del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via
dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
WURTH SRL (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. RENATE HOLZEISEN, con
domicilio eletto in Bolzano, Viale Stazione n. 7;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del
Veneto, n. 647/09/2017, depositata il 6 giugno 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio
2019 dal Consigliere Dott. D’Aquino Filippo.
Fatto
RILEVATO
CHE:
Parte contribuente ha impugnato avviso di accertamento relativo a diritti doganali conseguenti ad importazioni di materiali in ferro dalla Thailandia per le quali era stata accertata, sulla base di una relazione OLAF, la falsità del certificato di origine e l’origine cinese della merce, deducendo violazione del contraddittorio nonchè, nel merito, l’assenza di prova dell’origine cinese e la propria buona fede, in quanto soggetto estraneo alla frode, da ascrivere agli esportatori thailandesi;
che la CTP di Padova ha rigettato il ricorso e la CTR del Veneto, con sentenza in data 16 giugno 2017, ha accolto la domanda del contribuente, ritenendo che non vi fosse prova dell’assenza della buona fede e che la relazione OLAF non fosse sufficiente a provare i fatti dedotti dall’amministrazione finanziaria, in un contesto in cui tra l’esportatore e l’importatore vi erano stati degli intermediari e in cui i documenti non erano stati annullati dalle Autorità locali;
che propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il contribuente, che propone a sua volta ricorso incidentale affidato a un unico motivo.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo l’Ufficio ricorrente deduce nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione agli artt. 112 c.p.c. e art. 276 c.p.c., comma 2, per non essersi pronunciata la sentenza impugnata sulla questione della tardività del ricorso in appello presentata da controparte;
che il motivo è infondato, in quanto l’omesso esame di una questione processuale non integra vizio di omessa pronuncia, configurabile solo in relazione a domande ed eccezioni di merito (Cass., Sez. VI, 14 marzo 2018, n. 6174; Cass., Sez. VI, 12 gennaio 2016, n. 321; Cass., Sez. I, 10 novembre 2015, n. 22952);
che con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione agli artt. 2697,2727,2729 c.c., nonchè in relazione all’art. 220 Regolamento (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 e al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la buona fede dell’importatore, nonchè nella parte in cui ha erroneamente ritenuto insufficiente la sola relazione OLAF ai fini probatori; deduce che gli accertamenti compiuti dall’OLAF consentono di invertire l’onere della prova quanto al riconoscimento della buona fede a termini dell’art. 220 Reg. (CEE) n. 2913/1992;
che il motivo è fondato, essendo ferma la giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che in tema di tributi doganali, gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF ai sensi del Regolamento (CE) 25 maggio 1999, n. 1073 hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria (Cass., Sez. V, 21 aprile 2017, n. 10118);
che è ulteriormente fondato in ordine alla lamentata violazione delle regole di ripartizione dell’onere probatorio, essendo censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.p.c. ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata (Cass., Sez. III, 29 maggio 2018, n. 13395; Cass., Sez. VI, 23 ottobre 2018, n. 26769);
che la ellittica motivazione della sentenza impugnata (“bisogna considerare la buona fede dell’importatore, che potrebbe non esserci ma in ogni caso non è dimostrato che non ci sia, nè vi sono elementi che ne facciano sospettare la mancanza; anche il fatto che tra il produttore, l’esportatore e l’importatore si interpongono diversi intermediari aumenta dubbi e ambiguità; l’incertezza sulla corrispondenza di voci e sottovoci tra documenti ufficiali, non annullati nè dichiarati illegittimi dalle Autorità locali e regolamenti comunitari; elementi tutti che non convincono la Commissione a validare la rettifica effettuata dall’ufficio”) parte dall’assunto secondo cui l’Ufficio debba provare anche l’assenza di buona fede dell’importatore, ove afferma “bisogna considerare la buona fede dell’importatore, che potrebbe non esserci ma in ogni caso non è dimostrato che non ci sia, nè vi sono elementi che ne facciano sospettare la mancanza”, laddove la buona fede deve essere provata dal contribuente;
che, conseguentemente, deve ritenersi sufficiente ai fini probatori la produzione da parte dell’Ufficio della relazione OLAF quale fatto costitutivo della dedotta falsità del certificato di origine, dovendo incombere sul contribuente la allegazione dei fatti che comportino la propria buona fede a termini dell’art. 220, par. 2, lett. b) Reg. (CEE) n. 2913/1992, ove dimostri l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti ivi indicati, ossia che i dazi non siano stati riscossi per un errore delle autorità competenti, che tale errore sia tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore di buona fede e che il dichiarante abbia rispettato tutte le prescrizioni normative riguardanti la sua dichiarazione in dogana (Cass., Sez. V, 26 febbraio 2019, n. 5560; Cass., Sez. V, 6 luglio 2016, n. 13770);
che, conseguentemente, il ricorso principale va accolto in relazione al secondo motivo;
che il contribuente, ricorrente incidentale, deduce violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, nella parte in cui la sentenza impugnata ha fatto applicazione del principio di compensazione delle spese per indeterminatezza della situazione di fatto, ritenendo che tale situazione non può giustificare la compensazione delle spese a termini del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15;
che il ricorso incidentale deve ritenersi assorbito in forza del disposto dell’art. 336 c.p.c., comma 1 (cd. effetto espansivo interno), secondo cui la riforma o la cassazione parziale della sentenza ha effetto anche sui capi dipendenti dalla parte riformata o cassata, producendo la cassazione della sentenza anche la caducazione del capo che ha statuito sulle spese di lite (Cass., Sez. I, 25 agosto 2017, n. 20399);
che la sentenza va, pertanto, cassata con rinvio in relazione al superiore profilo oggetto di accoglimento, con rinvio alla CTR del Veneto, anche in relazione alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo motivo, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR del Veneto in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 maggio 2019.
Depositato in cancelleria il 15 ottobre 2019