Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26000 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 26000 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 27448-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
2551

contro

EURO SILT SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA V.LE TUPINI 133, presso lo studio
dell’avvocato BRAGAGLIA ROBERTO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato BELLANTE PIERO giusta

Data pubblicazione: 20/11/2013

delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 256/2010 della COMM.TRIB.REG.
di ANCONA, depositata il 23/09/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato ALBENZIO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BELLANTE che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udienza del 24/09/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO

RITENUTO IN FATTO.
1. La ditta Euro Silt s.r.l. in liquidazione effettuava
durante l’anno 2003, presso la Dogana di Ancona, diverse
importazioni definitive di “laminati piatti di ferro ed
acciaio”, dichiarati di provenienza e origine preferenziale dalla Repubblica Federale di Jugoslavia. A tal fine
l’importatore allegava, invero, i relativi certificati di
venienza, nonché le fatture di vendita emesse dalla ditta
svizzera Technosteel Trading s.a.
In tal modo,

la società importatrice beneficiava

dell’applicazione sia del dazio nella misura preferenziale dello 0%, ai sensi del Regolamento CE n. 2007/00, sia
dell’esenzione, a norma dell’art. 2 del Regolamento CE n.
1694/02, dal dazio supplementare previsto per il caso in
cui la merce, oltre ad avere origine non preferenziale,
non fosse accompagnata da alcun certificato di origine,
ovvero fosse accompagnata da un certificato di origine
invalido, nonché per il caso in cui il contingente tariffario fosse già esaurito all’atto dell’importazione; ipotesi, queste, nelle quali l’esenzione in parola non poteva trovare applicazione.
2. A seguito di indagini dell’Ufficio Antifrode centrale
dell’Agenzia delle Dogane, si appurava, tuttavia, che i
certificati EUR l presentati dalla Euro Silt s.r.1., erano invalidi, giacché la merce importata risultava il prodotto di lavorazioni effettuate con materiali importati
dalla Russia; sicchè l’origine preferenziale della merce
andava senz’altro esclusa. L’Ufficio provvedeva, pertanto, ad emettere avviso di accertamento suppletivo e di
rettifica, con il quale recuperava a tassazione, sia il
dazio principale, nella misura convenzionale dello 0,5%,
sia il dazio supplementare, reputando inammissibile la
produzione tardiva-

-9elobc

effettuata nel 2005, ossia due

anni dopo le predette importazioni, ed ai fini di giustificare l’avvenuta ammissione al contingente tariffario dei certificati attestanti la provenienza e l’origine non
preferenziale della merce già importata.

circolazione EUR l, attestanti la suddetta origine e pro-

3. L’atto impositivo veniva, quindi, impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Ancona, che accoglieva integralmente il ricorso. L’appello proposto dall’Agenzia
delle Dogane alla CTR delle Marche veniva, peraltro, parzialmente accolto con sentenza n. 256/1/10, con la quale
il giudice di appello dichiarava la legittimità
dell’avviso di accertamento, limitatamente alla debenza
4. Per la cassazione della sentenza n. 256/1/10 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Dogane affidato a due motivi,
ai quali la Euro Silt s.r.l. in liquidazione ha replicato con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria
ex art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Dogane
denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360 n. 4 c.p.c.
1.1. Rileva la ricorrente che la CTR avrebbe omesso di
pronunciarsi sulla questione, ritualmente introdotta
dall’Amministrazione nel giudizio di appello, relativa
alla dedotta invalidità dei certificati tardivamente prodotti dalla contribuente in sede di controversia doganale, e due anni dopo le importazioni effettuate, poichè
emessi da enti inesistenti o non abilitati al rilascio
dei certificati medesimi.
2. Con la seconda delle censure proposte, l’ Amministrazione denuncia, poi, la violazione degli artt. 20, 62,
67, 76, 78, 201 e 236 del Regolamento CE n. 2913/92 (CDC
– Codice Doganale Comunitario), nonché degli artt. 47,
199, 255 e 256 del Regolamento CE n. 2454/93 (DAC- Disposizioni di Attuazione del Codice), in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c.
2.1. Avrebbe, difatti, errato il giudice di appello – a
parere dell’Agenzia delle Dogane – nel ritenere ammissibile la formazione e la presentazione in Dogana dei certificati di origine della merce importata (EUR 1), a prescindere dalla loro validità, in epoca successiva
all’abrogazione del contingente tariffario previsto dal

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dei dazi doganali nella misura dello 0,5%.

Regolamento CE n. 1694/02, avvenuta per effetto del Regolamento CE n. 2142/03 del 5.12.03. Siffatta impostazione
della CTR non terrebbe, invero, conto della normativa comunitaria, a tenore della quale la documentazione necessaria ad ottenere un regime tariffario preferenziale andrebbe allegata alla dichiarazione all’importazione e,
comunque, non potrebbe essere presentata, laddove
– a merci immesse in libera pratica nell’ambito di determinati contingenti tariffari, dopo che la normativa che
preveda detti contingenti sia stata abrogata, con il conseguente rispristino degli ordinari dazi
all’importazione.
3. Il secondo motivo di ricorso è fondato, assorbito il
primo.
3.1. Va osservato, infatti, che il problema essenziale da
risolvere nel presente giudizio – una volta formatosi il
giudicato sulla questione attinente all’origine non preferenziale della merce importata, e all’applicabilità alle importazioni in questione dell’aliquota di dazio convenzionale nella misura dello 0,5% del valore in Dogana
dei beni importati – concerne l’applicabilità o meno, nel
caso concreto, del dazio supplementare previsto dal regolamento n. 1694/02, in misura variabile dal 21 al 27%.
3.2. Ebbene, la risoluzione del problema, prima ancora
che dal verificare – a valle – se i certificati di origine prodotti dall’importatore a seguito degli accertamenti
dell’Amministrazione siano validi o meno, dipende anzitutto dallo stabilire – a monte – se sia possibile, oppure no, per l’ importatore, ai fini di giustificare
l’ammissione al contingente tariffario e, di conseguenza,
di ottenere l’esonero anche dal dazio supplementare, esibire certificati di origine della merce formati in epoca
successiva al ripristino del regime daziario ordinario.
Di qui la priorità logico giuridica che, a giudizio della
Corte, il secondo dei motivi di ricorso riveste rispetto
al primo.

3

l’esenzione o la riduzione attengano – come nella specie

4. Orbene, va osservato – al riguardo – che il presupposto per l’applicazione dei diritti di confine all’ importazione è costituito dalla destinazione al consumo della
merce importata, che avviene mediante la dichiarazione
di importazione, nella quale l’importatore manifesta la
volontà di rendere liberamente commerciabile la merce in
un mercato diverso da quello di origine, avvantaggiandosi
mercato interno. Di conseguenza, ai sensi dell’art. 201,
co. 2 CDC, l’obbligazione doganale – al contrario di
quanto ritenuto dal giudice di appello – sorge, in via
ordinaria, al momento dell’accettazione stessa della dichiarazione da parte dell’autorità doganale.
4.1. A tal fine, il CDC prevede che i dazi doganali dovuti per legge, per effetto dell’insorgenza dell’ obbligazione in parola, “sono basati sulla tariffa doganale della Comunità Europea”, ai sensi dell’art. 20, co. 1, e sono applicati sulla base delle disposizioni vigenti al momento dell’accettazione di detta dichiarazione da parte
dell’autorità doganale, a norma dell’art. 67 dello stesso
codice.
4.2. Ne deriva che anche “tutti i documenti la cui presentazione è necessaria per consentire l’ applicazione
delle disposizioni che disciplinano il regime doganale
per il quale le merci sono dichiarate”, debbono, ordinariamente, essere allegati alla dichiarazione di importazione (art. 62, par. 2 CDC), salvo che l’autorità doganale consenta, a particolari condizioni e con i limiti stabiliti dalla normativa comunitaria, che a detta dichiarazione non siano allegati alcuni dei documenti di cui al
succitato art. 62 (art. 76 CDC).
5. Tali essendo le modalità generali di determinazione dl
regime doganale applicabile alle singole importazioni,
va, peraltro, rilevato che particolari e specifiche disposizioni sono dettate per quanto concerne le misure tariffarie preferenziali, e segnatamente quelle applicabili
alle merci importate nell’ambito di determinati contingenti tariffari.

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dei benefici connessi all’ utilizzazione dei prodotti nel

5.1. Ed invero, ai sensi dell’art. 20, par. 4 CDC,
nell’ipotesi in cui le merci rientrino in misure tariffarie preferenziali, stabilite dalla Comunità unilateralmente o mediante accordi con taluni Paesi membri, la domanda dell’importatore di applicazione di dette agevolazioni, in luogo dei dazi doganali ordinari, “può essere
introdotta a posteriori

In particolare, poi, qualora il trattamento

daziario preferenziale sia applicato a beni immessi in
libera pratica nel quadro di determinati contingenti tariffari, la “presentazione alle autorità doganali del documento a cui è subordinata la concessione del dazio ridotto o nullo” deve comunque, ed in ogni caso, essere effettuata

(…) “prima della data in cui una misura comuni-

taria reintroduce la riscossione di dazi all’importazione
normali” (art. 256, par. 2 DAC).
Ne discende, dunque, che, con riferimento alla specifica
ipotesi dei trattamenti tariffari preferenziali, è eccezionalmente concessa all’importatore – in deroga alla regola generale – la possibilità di esibire la documentazione utile per la concessione del beneficio daziario anche dopo la dichiarazione di importazione, dalla quale
nasce l’obbligazione doganale.
5.2. In tal senso, si è, del resto, espressa anche la
giurisprudenza comunitaria, muovendo dalla distinzione
tra il certificato di autenticità,
trattamento tariffario favorevole

volto ad ottenere un
ai sensi dell’art. 21

CDC (fondato sulla natura o la destinazione particolare
certificato di origine,

dei determinati beni) ed il

ne-

cessario per conseguire un trattamento tariffario preferenziale

(in ragione dell’origine e della provenienza

particolare di un certo tipo di merce).
La Corte di Lussemburgo ha – per vero – affermato in proposito che, attesa la diversità del ruolo svolto dal certificato di origine rispetto a quello proprio del certificato di autenticità, a differenza di quanto è stabilito
per quest’ultimo con riferimento alla concessione del regime tariffario favorevole, la presentazione di un certi-

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richieste”.

finché sussistono le condizioni

ficato di origine prima dell’immissione in libera pratica
della merce cui si riferisce non è una condizione preliminare per l’esistenza del diritto ad un trattamento tariffario preferenziale. Sicchè i dazi prelevati prima
della presentazione di tale certificato di origine non
possono essere considerati legittimamente dovuti, ai sensi dell’art. 236 n. 1 CDC (C. Giust. 27.9.01, 0-253/99).
necessità che la presentazione di detti certificati avvenga entro i precisi limiti temporali richiesti dalla
normativa comunitaria, che – con riferimento al caso, ricorrente nella specie, dell’importazione di merce ricompresa nei contingenti tariffari – individua, come dianzi
detto, quale limite temporale invalicabile la “misura comunitaria che reintroduce la riscossione di dazi
all’importazione normale”, rendendo, in tal modo, insussistenti le condizioni per l’ammissione al regime preferenziale.
Tale limite è, in verità, connaturale alla stessa natura
di rimedio eccezionale, nei confronti dell’eccesso di importazione di merci extracomunitarie a prezzi più bassi
di quelli praticati nel mercato comune, rivestita dai dazi applicati alle importazioni che eccedano il contingente tariffario introdotto per determinate merci, al fine
di contingentarne l’introduzione all’interno del mercato
europeo (cd. antidumping). Per il che, la riespansione
dell’ordinario regime doganale per effetto di una diversa
misura comunitaria, non può che comportare l’ impossibilità giuridica dell’inserimento di quelle determinate
merci nel contingente, ormai soppresso, e la loro conseguente sottoposizione ai normali dazi doganali.
6. Ciò posto, va rilevato che, nel caso concreto, è del
tutto pacifico tra le parti che i certificati EUR 1 idonei a giustificare, dopo che quelli originariamente
esibiti dall’importatore erano stati considerati invalidi, l’inserimento dei laminati in acciaio nel contingente
tariffario previsto dal Regolamento n. 1694/02 – sono
stati formati e, quindi, prodotti in Dogana, nell’anno

6

5.3. Resta – tuttavia – pur sempre ferma, com’è ovvio, la

I

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2005, ossia dopo che la predetta normativa era stata
abrogata dal successivo Regolamento n. 2142/03 del
5.12.03. Tale ultima disposizione, invero, in considerazione del mutato quadro delle importazioni di determinati
prodotti nel settore dell’acciaio, abrogava le misure di
salvaguardia definitive adottate, per tali prodotti, dal
precedente Regolamento n. 1694/02, ripristinando, in tal
Ne discende che la produzione di detti certificati a distanza di circa due anni dall’entrata in vigore
(7.12.03) del Regolamento n. 2142/03, non è idonea – a
prescindere dalla loro validità – a giustificare a posteriori l’inserimento della merce importata dalla Euro Silt
s.r.l. nel contingente tariffario ormai soppresso.
Le ragioni fatte valere dalla contribuente con il ricorso
introduttivo si palesano, pertanto, del tutto destituite
di fondamento.
7.

Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il secondo

motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate va accolto,
assorbito il primo, e, di conseguenza, l’impugnata sentenza va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di
decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1 c.p.c.,
rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
8. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
poste a carico della resistente soccombente, nella misura
di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei
giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il secondo motivo di ricorso assorbito il primo;
cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto
e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo
della contribuente; condanna la società resistente alle
spese del presente giudizio che liquida in e 4.500,00,

modo, il regime tariffario ordinario.

-8

oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate
tra le parti le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 24.9.2013.

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