Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25994 del 05/12/2011

Cassazione civile sez. III, 05/12/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 05/12/2011), n.25994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.F.M.A. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 19, presso lo

studio dell’avvocato SCALIA GEMMA EBE FRANCA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GAVAZZI ALBERTINA, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro p-t., –

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS) in persona del

Ministro p.t., MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS) in persona

del Ministro p.t., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono

difesi per legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3017/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/07/2009; R.G.N. 4007/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato ALBERTINA GAVAZZI;

udito l’Avvocato BEATRICE FIDUCCIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La dottoressa C.F.M.A. ha proposto ricorso per cassazione contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Università e delle Ricerca Scientifica e Tecnologica avverso la sentenza del 20 luglio 2009, con la quale la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello da lei proposto avverso la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Roma, che aveva rigettato la sua domanda, proposta nell’agosto del 2001, intesa ad ottenere la condanna dei detti Ministeri al risarcimento danni corrispondente alla remunerazione per la frequenza del corso d specializzazione in neurologia seguito presso l’Università degli Studi di Milano e concluso con il conseguimento del relativo diploma il 6 luglio 1993, nonchè al risarcimento del danno per l’inidoneità del diploma di specializzazione, entrambe previste dalla disciplina comunitaria di cui alle direttive comunitarie CEE 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, rimaste inadempiute a far tempo dal 31 dicembre 1982 e recepita con il D.Lgs. n. 257 del 191 soltanto per i medici ammessi ai corsi di specializzazione successivi al 1991.

P. 2. Il Tribunale rigettava la domanda reputando fondata l’eccezione di prescrizione formulata dai Ministeri per essere decorso il relativo termine dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991.

P. 3. La Corte d’Appello, per quanto interessa in questa sede, ha rigettato l’appello reputando che il termine di prescrizione risultava decorso dalla sentenza della Corte di Giustizia CEE sul C.D. caso Francovich e, quindi, dal 19 novembre 1991.

P. 4. Gli intimati hanno resistito con congiunto controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

P. 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2948, n. 4 e dell’art. 2957 c.c. e comunque della prescrizione quinquennale al caso di specie (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Dopo avere rilevato che, pur non dicendolo espressamente, la Corte territoriale avrebbe ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale, si sostiene, invocando Cass. sez. un. n. 9147 del 2009, che l’azione andrebbe qualificata ala stregua di quanto da tale decisione ritenuto e che il termine di prescrizione applicabile nella specie sarebbe allora quello ordinario decennale. Sulla base di questa premessa si assume, poi, in prima battuta che pur considerando tale termine decorrente dalla pubblicazione della sentenza Francovich, la prescrizione delle pretese fatte valere dalla ricorrente si sarebbe verificata solo in relazione al periodo di frequenza del corso di specializzazione sino a detta pubblicazione.

In seconda battuta si critica l’affermazione di esordio della motivazione della sentenza impugnata, là dove essa ha sostenuto che la ricorrente, allora appellante, aveva omesso qualsiasi contestazione riguardo all’applicabilità, ritenuta dalla sentenza di primo grado, circa l’applicabilità del termine prescrizionale quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., n. 4 o all’art. 2947. Si assume, infatti, che tale affermazione sarebbe frutto di lettura disattenta dell’atto di appello, nel quale detta applicabilità era stata invece contestata anche evocando la giurisprudenza comunitaria di cui alla nota sentenza sul caso Emmott circa l’esclusione della decorrenza della prescrizione nel diritto interno fino all’attuazione della normativa comunitaria. Si ribadisce, quindi, la prospettazione fondata s tale giurisprudenza, sostenendo che nessun termine di prescrizione era decorso.

Con un secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. dal momento in cui la Corte d’Appello di Roma, nella sentenza impugnata, fa decorrere il termine della prescrizione (dies a qu¢) dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia “Francovich” (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

p. 2. Con il terzo e quarto motivo si censura la sentenza impugnata là dove avrebbe escluso, condividendo le affermazioni della sentenza di primo grado, che le pretese della ricorrente potessero trovare rinascimento sulla base dell’applicazione della disciplina della L. n. 370 del 1999, art. 11.

3. Il primo ed il secondo motivo possono esaminarsi congiuntamente e sono fondai nei termini di cui qui di seguito.

Il loro scrutinio deve avvenire nella prospettiva della qualificazione dell’azione della ricorrente alla stregua di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009 e sulla base della individuazione del regime di prescrizione applicabile da essa individuato.

La difesa dei resistenti nel controricorso ha prospettato rilievi critici nei confronti della decisione delle Sezioni Unite, ma a quest’ultima questa sezione semplice ha già ritenuto – condividendone le argomentazioni, che non sono in alcun modo validamente oppugnate dai rilievi del controricorso – di prestare ossequio con le sentenze (sostanzialmente gemelle) nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011, i cui principi sono stati seguiti dalle altre sentenze su questioni simili successivamente depositate e relative a ricorsi decisi nella stessa udienza del 18 aprile 2011.

Nelle dette decisioni si è anzitutto inteso dare continuità all’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte circa la natura dell’azione esercitata per pretese come quella del ricorrente e circa il termine di prescrizione applicabile. Tale insegnamento, ignorato dalla sentenza impugnata, ha espresso il seguente principio di diritto: In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione “ex lege” riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione.”.

Le citate sentenze gemelle, facendosi carico delle critiche rivolte alle Sezioni Unite quanto a detta qualificazione, hanno precisato che il concetto di responsabilità contrattuale è stato usato dalle Sezioni Unite palesemente nel senso non già di responsabilità che suppone un contratto, ma nel senso – comune alla dottrina in contrapposizione all’obbligazione da illecito extracontrattuale – di responsabilità che nasce dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, considerato dall’ordinamento interno, per come esso deve atteggiarsi secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, come fonte dell’obbligo risarcitorio, secondo la prospettiva scritta nell’art. 1173 c.c. p. 3.1.1. In secondo luogo, sulla base di un’ampia ricognizione dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria a partire dalla invocata sentenza sul caso Emmott (ivi compresa quella sulla causa C- 445/06, considerata dalla sentenza impugnata come determinativa del suo superamento) si sono affermati i seguenti principi di diritto: la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in tema di azione risarcitoria di diritto interno, da inadempimento di direttiva sufficientemente specifica nell’attribuire ai singoli diritti, ma non self-executing, evidenzia conclusioni certe nel senso: a) la regolamentazione delle modalità, anche quoad termini di decadenza o prescrizione, dell’azione risarcitoria da inadempimento di direttiva attributiva di diritti ai singoli compete agli ordinamenti interni;

b) in mancanza di apposita disciplina da parte degli Stati membri, che dev’essere ispirata ai principi di equivalenza ed effettività, il giudice nazionale può ricercare analogicamente la regolamentazione dell’azione, ivi compresi eventuali termini di decadenza o prescrizione, in discipline di azioni già regolate dall’ordinamento, purchè esse rispettino i principi suddetti e, particolarmente, non rendano impossibile o eccessivamente gravosa l’azione; c) l’applicazione di un termine di prescrizione che così ne risulti, cioè che derivi dal riferimento che il giudice nazionale fa ad una disciplina interna regolamentante altra azione, è possibile comunque solo se essa può considerarsi sufficientemente prevedibile da parte dei soggetti interessati, dovendo, dunque, il giudice nazionale procedere necessariamente a tale apprezzamento; d) l’eventuale termine di prescrizione può decorrere anche prima della corretta trasposizione della direttiva nell’ordinamento nazionale, se il danno, anche solo in parte (è questo il significato del riferimento ai primi effetti lesivi contenuto nella sentenza nella sentenza Danske Slagterier) per questo soggetto si è verificato anteriormente; e) l’applicazione del termine di prescrizione decennale, della quale sopra si è data giustificazione, ove sia apprezzata sotto il profilo della prevedibilità da parte dei soggetti interessati, appare prevedibile, tenuto conto che il termine di prescrizione decennale (di cui all’art. 2946 c.c.) è quello generale e certamente più favorevole rispetto ai termini speciali, più brevi. Risponde, quindi, al principio comunitario di effettività.

p. 3.1.2. La sentenza n. 17868 del 2011, deliberata sempre nella udienza del 18 aprile 2011, ma depositata il 31 agosto successivo, ha precisato, altresì, che la ricostruzione dello stato della giurisprudenza comunitaria fatta dalle citate sentenze gemelle risultava conforme a quanto, successivamente al loro deposito, aveva deliberato la Corte di Giustizia con la sentenza 19 maggio 2011, resa sulla causa C-452, su un rinvio pregiudiziale simile a quello richiesto dal ricorrente, operato dal Tribunale di Firenze (e considerato dalla dette sentenze, le quali avevano escluso, invece, ch’esso fosse necessario ed erano state, peraltro, depositate senza che le parti avessero fatto presente l’imminenza della discussione davanti a quella Corte il 19 maggio 2011 ed in situazione nella quale nel sito della Corte di Giustizia non risultava all’epoca della camera di consiglio e del deposito delle decisioni la calendarizzazione dell’udienza).

p. 3.1.3. Le citate sentenze gemelle e le altre che vi si sono accodate, dopo la ricognizione della giurisprudenza comunitaria e le conclusioni sulle sue implicazioni, hanno, quindi, affrontato il tema del dies a quo del termine prescrizionale e sono pervenute all’affermazione del seguente principio di diritto: il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto a favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata adempiuta avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11.

Questo principio – lo si osserva perchè la questione rileva in questa sede, dato che la ricorrente ha seguito il corso di specializzazione parte prima e parte dopo l’entrata in vigore della disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 – va precisato nel senso che la platea dei soggetti cui esso si riferisce concerne, in realtà anche i soggetti che si erano immatricolati in un corso di specializzazione in quel periodo ed hanno, in ipotesi completato il corso di specializzazione in anni accademici successivi al 1990-91: a tali soggetti, infatti, non trovava applicazione il D.Lgs. n. 257 del 1991, perchè il suo art. 8 la limitata ai medici iscritti a far tempo dall’anno accademico 1991-1992.

p. 4. Applicando il riportato principio di diritto al ricorso in esame il primo ed il secondo motivo, là dove postulano l’applicabilità della prescrizione decennale (e non di quella quinquennale come ritenuto dalla sentenza impugnata) e l’erroneità della individuazione del dies a quo della prescrizione, risultano fondati, sia pure per le ragioni ampiamente spiegate nelle sentenze gemelle, alle quali si rinvia e nelle quali, fra l’altro, si è anche esclusa proprio la prospettiva di un decorso del termine prescrizionale dalla nota sentenza Francovich.

E’ appena il caso di notare che correttamente la ricorrente ha sostenuto che nel suo atto di appello aveva criticato l’applicazione del termine quinquennale, contrariamente a quanto ha ritenuto la sentenza impugnata.

5. Il ricorso dev’essere, pertanto, accolto quanto ai primi due motivi nei termini su indicati e la sentenza cassata, perchè il diritto fatto valere dalla ricorrente non si era consumato per prescrizione al momento in cui venne fatto valere con la domanda giudiziale.

Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Roma, comunque in diversa composizione dovrà, dunque, considerare non prescritta la pretesa dei ricorrenti, perchè all’atto della domanda giudiziale risultava non prescritta, e provvederà ad esaminarla considerando la qualificazione di essa, emergente dalla giurisprudenza di questa Corte e segnatamente dalla più volte citata sentenza delle Sezioni Unite, secondo le implicazioni emergenti delle sentenze gemelle.

p. 6. Il terzo e quarto motivo restano assorbiti, perchè fondati su una qualificazione della domanda della ricorrente che non è quella emergente sulla base della giurisprudenza sopra ricordata, cioè l’invocazione della diretta estensione alla ricorrente della disciplina di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11. Non senza, peraltro, che debba osservarsi che i due motivi sarebbero stati comunque inammissibili, perchè la Corte territoriale, dopo avere considerato esatte le valutazioni del primo giudice sull’inapplicabilità alla posizione della ricorrente della disciplina di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 1 in realtà ha adottato come vera rato deciderteli la prescrizione della pretesa della ricorrente pur secondo tale prospettazione. Onde i due motivi non sarebbero stati pertinenti alla effettiva motivazione della sentenza impugnata.

7. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso. Dichiara assorbiti il terzo ed il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma, comunque in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2011

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