Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25990 del 16/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 16/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 16/11/2020), n.25990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14581-2015 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIULIO

EMANUELE RIZZO 66, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA LALLI,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) DI CAGLIARI, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CASSIODORO 9, presso lo studio dell’avvocato MAURO CATI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO URAS;

AZIENDA SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) DI CARBONIA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE PARIOLI 79/H, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA

ROSSI, rappresentata e difesa dall’avvocato RICCARDO SISSA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 380/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 07/01/2015 R.G.N. 383/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza in data 7 gennaio 2015 n. 380 la Corte d’ Appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da O.M. – dipendente dall’1 settembre 1981 della Azienda USL n. (OMISSIS) di Cagliari, transitata per mobilità dall’1 dicembre 1995 alla Azienda USL n. (OMISSIS) di Carbonia – per l’accertamento del diritto al superiore inquadramento, dal gennaio 1986, nell’ex VII livello e per la condanna delle due aziende sanitarie, ciascuna per il rispettivo periodo di lavoro, al pagamento delle differenze di retribuzione.

La Corte territoriale esponeva che la O. sosteneva la illegittimità della Delib. n. 574 del 2006 adottata della ASL n. (OMISSIS), con la quale era stato disposto il suo declassamento dalla posizione di “coordinatore” a quella di “collaboratore”, assumendo che essa vanificava gli effetti della sentenza del TAR SARDEGNA n. 829/1999, passata in giudicato.

Osservava che la O., essendo stata assunta successivamente al 20.12.1979, avrebbe dovuto essere inquadrata, ai sensi del D.P.R. n. 348 del 1983, con la qualifica di “operatore professionale collaboratore” di V livello (come evidenziato dall’assessorato alla sanità della Regione Sardegna con circolare del 9.3.1994 n. 1854) mentre le era stata erroneamente attribuita la qualifica di “operatore professionale coordinatore” di VI livello retributivo.

Dal 1 gennaio 1986 la amministrazione sanitaria le aveva riconosciuto la progressione di un livello – (e dunque il livello VII) – in virtù dell’automatismo previsto dal D.P.R. n. 3581 del 1985; tale Delib. era stata poi annullata e l’annullamento impugnato dalla O. davanti al TAR.

Il giudice amministrativo aveva accolto il ricorso, osservando che il VI livello attribuito alla O., ancorchè illegittimamente, comportava, nella sua vigenza, il passaggio automatico nel livello VII, ai sensi del D.P.R. n. 270 del 1987, art. 43 potendo, peraltro, la Amministrazione annullare d’ufficio l’errato inquadramento iniziale.

La Amministrazione aveva provveduto in tal senso con la Delib. n. 574 del 2006 che, annullando gli atti precedenti, ricostruiva la carriera ed inquadrava la O. inizialmente nel V livello, con progressione nel VI livello ai sensi del D.P.R. n. 270 del 1987.

A giudizio della Corte di merito non sussisteva la lamentata violazione del giudicato amministrativo, che non aveva ad oggetto la legittimità dell’inquadramento iniziale nel livello VI ma il passaggio automatico al livello superiore, ferma la possibilità della amministrazione di annullare d’ufficio l’originario inquadramento illegittimo.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza O.M., articolato in cinque motivi, cui hanno opposto difese con controricorso la ASL n. (OMISSIS) di CAGLIARI e la ASL n. (OMISSIS) di CARBONIA.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – error in procedendo ed omessa pronunzia su un fatto controverso decisivo per il giudizio ovvero la esecuzione della sentenza del TAR SARDEGNA n. 829/1999, passata in giudicato.

Ha esposto che nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e con il successivo atto di appello si deduceva che l’inquadramento superiore era avvenuto con sentenza del TAR SARDEGNA passata in giudicato ed ha dedotto che entrambi i giudici del merito non si erano espressi su tale domanda ma, piuttosto, erano entrati nel merito di una questione già decisa dal TAR, pronuncia non corrispondente ai contenuti della domanda.

Con la seconda censura si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per error in procedendo, in relazione all’art. 113 c.p.c..

Si assume che il giudice dell’appello aveva accertato la illegittimità del primo inquadramento nel VI livello, ex D.P.R. n. 384 del 1983, per coloro che erano stati assunti dopo il 20.12.1979 (data di entrata in vigore del D.P.R. n. 761 del 1979) laddove tale fatto non era stato mai allegato, in quanto l’azione riguardava unicamente l’esecuzione della sentenza del TAR SARDEGNA n. 829/1999 e, quindi, l’inquadramento retroattivo e le differenze di retribuzione.

In ogni caso, si contesta il decisum, invocando a sostegno della propria tesi, sulla correttezza dell’inquadramento iniziale, la stessa sentenza del TAR SARDEGNA n. 829/1999 (pag. 3) e la giurisprudenza del Consiglio di Stato, alle quali non poteva essere opposta una circolare.

Si ribadisce che la Delib. di declassamento sarebbe nulla, in quanto elusiva del giudicato amministrativo.

Con il terzo mezzo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29 e del relativo allegato 2 nonchè del D.P.R. n. 348 del 1983, artt. 37 e 54 e del D.P.R. n. 270 del 1987, art. 43 assumendo la legittimità del primo inquadramento nel VI livello ai sensi del D.P.R. n. 761 del 1979 e del D.P.R. n. 348 del 1983.

Si sostiene che sulla base dei richiamati D.P.R. le mansioni svolte (ostetrica) erano riconducibili al livello VI, con profilo di “operatrice professionale di prima categoria” mentre nel V livello erano compresi i collaboratori di seconda categoria (addetti alle pulizie, infermieri generici).

Con il quarto motivo si denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione della L.R. SARDEGNA 28 luglio 1981, n. 25, art. 6 a tenore del quale per la modifica dei ruoli sanitari regionali occorreva l’intervento dell’Assessorato regionale alla Sanità della Regione Sardegna sicchè le USL non potevano, attraverso propri provvedimenti di re-inquadramento, modificare la posizione giuridica ed economica attribuita in sede di primo inquadramento ai dipendenti della amministrazione regionale.

Con il quinto mezzo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 24,36 e 97 Cost. e della L. n. 241 del 1990, art. 21 septies.

Si addebita alla amministrazione sanitaria: di avere posto nel nulla la decisione del TAR; di avere adottato – benchè ella fosse vincitrice di concorso e dal 2006 anche laureata – un atto di declassamento non pertinente al suo profilo professionale, con conseguente pregiudizio economico; di avere violato il principio costituzionale del buon andamento.

Si addebita inoltre al giudice dell’appello di avere posto a base del decidere un atto nullo della USL n. (OMISSIS) di CAGLIARI, ormai cessata nonchè elusivo del giudicato amministrativo.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè si prestano a rilievi analoghi, sono inammissibili.

Le censure in questa sede proposte presuppongono una ricognizione dell’oggetto del giudizio, nel primo grado ed in appello, che non è consentita dal contenuto del ricorso, che non trascrive gli atti introduttivi dei due gradi di merito e ne offre una sintesi generica e contraddittoria.

La parte ricorrente deduce, con il primo ed il secondo motivo di ricorso: che il giudizio aveva ad oggetto unicamente la esecuzione del giudicato amministrativo e che la legittimità del primo inquadramento era stata già sancita dal giudicato; che i giudici dei due precedenti gradi si erano pronunciati nuovamente sul merito di un giudizio già definito dal TAR e su di una questione non sollevata nel presente giudizio (pagina 5 del ricorso, primo periodo e pagina 6 del ricorso, primo e secondo capoverso).

Se così è, appare preclusiva la mancata trascrizione in questa sede del giudicato amministrativo, che non consente a questa Corte di verificare il fondamento delle censure ed, in particolare, la correttezza della interpretazione del giudicato amministrativo che la Corte territoriale ha comunque offerto, pervenendo al rigetto della domanda che su di esso fondava.

In ogni caso, a volere ammettere che il giudizio riguardasse – anche ed autonomamente – la legittimità dell’inquadramento iniziale nel VI livello retributivo (poi annullato dalla amministrazione), questione oggetto dei motivi dal terzo al quinto del ricorso, appare preclusivo il rilievo della mancata trascrizione dell’atto di primo inquadramento nonchè dell’atto di reinquadramento adottato nell’anno 2006, che non consente a questa Corte di valutare la legittimità del declassamento alla luce delle previsioni dei D.P.R. citati nella rubrica del terzo motivo.

I temi posti con il quarto motivo non sono stati affrontati nella sentenza impugnata sicchè la parte ricorrente, per evitare la statuizione di novità della censura, avrebbe dovuto trascrivere gli atti del primo e del secondo grado attraverso i quali gli stessi erano stati portati alla attenzione del giudice del merito.

Il quinto motivo non censura specifici passaggi della sentenza ma sottopone genericamente a questa Corte la questione di legittimità dell’atto di declassamento, chiedendole, nella sostanza, una nuova pronuncia di merito.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2020

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