Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25990 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 15/10/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 15/10/2019), n.25990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10600 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

G.E., titolare della ditta Fidauto Import, rappresentata e

difesa dall’Avv. Renato Paciello per procura speciale a margine del

controricorso, elettivamente domiciliata in Roma, vicolo Orbitelli,

n. 31, presso lo studio dell’Avv. Michele Clemente;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, n. 69/26/2011,

depositata in data 9 marzo 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 maggio

2019 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

Fatto

Rilevato

che:

dalla narrazione in fatto della pronuncia impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso, nei confronti di G.E., esercente l’attività di commercio di auto, tre avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 1999, 2002 e 2003, con i quali aveva richiesto il pagamento di una maggiore Iva, oltre sanzioni e interessi, avendo verificato l’erronea applicazione del regime del margine sulle operazioni di acquisto intracomunitario di autovetture usate e la mancata annotazione di fatture, integrate con l’applicazione dell’Iva al venti per cento, sia nel registro delle fatture emesse che in quello degli acquisti, secondo la procedure dell’inversione contabile; la Commissione tributaria provinciale di Foggia aveva accolto i ricorsi riuniti; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate;

la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, ha rigettato l’appello, in particolare, ha ritenuto che: l’Agenzia delle entrate aveva prestato acquiescenza alla pronuncia del giudice di primo grado relativa all’avviso di accertamento dell’anno 2003; negli avvisi di accertamento in esame era stata contestata la mancata verifica della corretta applicazione, da parte del cedente, del regime del margine, con conseguente responsabilità oggettiva del cessionario; nessun riferimento, con riguardo alle violazioni contestate, era stato fatto alla successiva rivendita delle auto all’imposta dovuta ed alle conseguenti sanzioni, sicchè nessuna pretesa era stata fatta valere con riferimento a queste successive operazioni; solo in sede di appello l’ufficio aveva contestato le suddette violazioni non contenute negli avvisi di accertamento; non sussisteva una responsabilità oggettiva della contribuente; la mancata annotazione su registri Iva degli acquisti intracomunitari non comportava il recupero dell’Iva, attesa la neutralizzazione dell’Iva a debito con l’Iva registrata a credito;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi di censura;

la contribuente si è costituita depositando controricorso;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, artt. 36 e 37, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1; nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio;

in particolare, la ricorrente lamenta, quale vizio di violazione di legge, l’erroneità della pronuncia, in quanto la pretesa impositiva aveva a fondamento la circostanza che le fatture di acquisto non indicavano (diversamente che per quanto riguardava l’avviso di accertamento relativo all’anno 2003) che la cessione era stata effettuata secondo il regime del margine, sicchè la contribuente avrebbe dovuto provvedere ad applicare l’ordinario regime di pagamento dell’iva;

inoltre, si lamenta la contraddittorietà della motivazione della sentenza per avere ritenuto non condivisibile l’affermazione dell’Agenzia delle entrate della non configurabilità di una responsabilità oggettiva della contribuente e, inoltre, per non avere considerato che quest’ultima non aveva dato alcuna prova della sussistenza dei presupposti di applicazione del regime del margine; il motivo è infondato;

la pronuncia censurata ha posto a fondamento del percorso motivazionale il fatto che nei tre avvisi di accertamento la ragione della contestazione trovava fondamento sul mancato assolvimento da parte del cessionario dell’onere di verificare se il cedente aveva correttamente applicato il regime del margine;

pertanto, il giudice del gravame ha ritenuto che alla contribuente era stato contestato solo il fatto che il cedente non aveva correttamente dichiarato, all’atto della cessione, che la merce era stata venduta secondo il regime del margine, sicchè di esso la contribuente si era irregolarmente avvalso;

parte ricorrente, con il presente motivo di ricorso, prospetta, invece, che la ragione della contestazione risiedeva nella mancata indicazione da parte del cedente comunitario della applicabilità del regime del margine, ma tale profilo viene affermato senza alcun rispetto del principio di specificità, non avendo provveduto a riportare o a richiamare in questa sede il contenuto degli avvisi di accertamento al fine di consentire a questa Corte di apprezzare la rilevanza della ragione di censura prospettata;

nè si rileva alcun profilo di contraddittorietà della pronuncia, in quanto il riferimento alla non configurabilità, nel caso di specie, della responsabilità oggettiva, quindi di un onere di controllo da parte del cessionario della correttezza dell’applicazione del regime del margine, viene compiuta dal giudice del gravame riportando la motivazione contenuta nei due avvisi di accertamento e la correttezza di tale considerazione viene esclusa tenuto conto del fatto che in sede di appello era stata prospettata una ragione di contestazione diversa rispetto a quella indicata nella motivazione degli atti impugnati;

sotto tale profilo, il giudice del gravame ha inteso, quindi, evidenziare che l’affermazione della insussistenza di una responsabilità oggettiva contenuta negli avvisi di accertamento era in contrasto con la introduzione di una diversa prospettazione operata in sede di appello, nella quale la pretesa non veniva fondata sulla ritenuta non applicabilità del regime del margine, ma su ragioni diverse non oggetto della contestazione di cui agli avvisi di accertamento impugnati;

infine, il riferimento finale, compiuto nel presente motivo di ricorso, alla circostanza che la contribuente non aveva dato prova della sussistenza dei presupposti di applicazione del regime del margine, risente, ancora una volta, del difetto di specificità sopra indicato, non risultando riprodotto il contenuto degli atti di accertamento, profilo che non consente di apprezzare il fondamento della ragione di censura in esame;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 23 e 25, per avere ritenuto che la mancata annotazione sui prescritti registri di cui ai suddetti articoli, non comportando un recupero di imposta, attesa la compensabilità delle posizioni di debiti e di credito, non determina l’applicabilità delle conseguenti sanzioni;

il motivo è infondato;

anche in questo caso parte ricorrente prospetta la ragione di censura senza alcuna allegazione o specificazione degli avvisi di accertamento impugnati, non consentendo a questa Corte di apprezzare la rilevanza delle ragioni sulla cui base era stata irrogata la sanzione;

peraltro, va tenuto conto del fatto che la sentenza ha evidenziato che, nella fattispecie, la duplice registrazione della fattura ha comportato la compensazione delle posizioni a debito e credito verso l’erario di identico importo, in tal modo escludendo la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della sanzione;

in conclusione, il primo e secondo motivo di ricorso sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio.

PQ

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 5.000,00 oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 15 ottobre 2019

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