Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25984 del 20/11/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 25984 Anno 2013
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: GRECO ANTONIO

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’ED:1~k E DELLE FINANZE, in persona del Ministro
pro-tempore, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore
generale pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma in
via dei Portoghesi n. 12;

ricorrente

contro
CATALANO CNCFRIO,

rappresentato e difeso dall’avv. Claudio

Berliri e dall’avv. Alessandro Cogliati Dezza presso il quale è
elettivamente domiciliato in Roma alla via Alessandro Farnese n.
7;

– controricorrente e ricorrente incidenta/e avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
del Lazio n. 88/3/05, depositata il 28 ottobre 2005;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26 aprile 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
udito l’avv. Claudio Berliri per il controricorrente e
ricorrente incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Data pubblicazione: 20/11/2013

accertamento
prelevamenti
e
versamenti
sui
conti
correnti
bancari

Generale Dott. Tommaso Basile, che ha concluso per raccoglimento
del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.
SMEGDIENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione,
affidato ad un motivo, nei confronti della sentenza della
Commissione tributaria regionale del Lazio Che, accogliendo
parzialmente l’appello di Onofrio Catalano, nel giudizio
introdotto con l’impugnazione degli avvisi di accertamento ai
sulla base di verifiche sui conti correnti bancari riferibili al
contribuente – che facevano seguito ad indagini a fini penali I-44 =2.311Inn nhn, per de„t~inare 11 reddito s.gtggetto a tassazione,
dovessero sommarsi al totale dei versamenti effettuati su tali
conti anche le somme da essi prelevati, che andavano invece
decurtate dall’ammontare dell’imponibile accertato.
Il giudice d’appello, mentre ha rilevato che l’utilizzo dei
conti bancari ed il conseguente ricorso all’accertamento
induttivo da parte dell’ufficio sono pienamente legittimi in
applicazione di precise norme di riferimento, ha tuttavia
ritenuto “non condivisibili le risultanze dell’accertamento
atteso che nel determinare il reddito da assoggettare a
tassazione l’ufficio ha sommato al totale dei versamenti
effettuati sui vari conti correnti bancari anche le somme
prelevate nel contempo dagli stessi conti, Che a giudizio di
questo Collegio, devono invece essere decurtate dall’ammontare
dell’imponibile accertato”, rilevando al riguardo “che nessun
concreto riscontro obbiettivo è stato eseguito per supportare la
pretesa impositiva in contestazione, mentre per altro verso non
si può non tenere conto anche del fatto che, come ha sostenuto
l’appellante, questi, a partire dal 1989 e dunque anche negli
anni” oggetto dell’accertamento ha svolto semplicemente attività
di “familiare coordinatore” della moglie, a quell’epoca titolare
dell’impresa esercente il commercio di orologi ed oggettistica”.
Ed ha perciò rideterminato il reddito imponibile a carico del
contribuente – “si ritiene più rispondente alla realtà dei fatti
determinare il reddito imponibile,..” – decurtando, tanto per il
1990 che per il 1992, dall’importo accertato “le somme in
uscita”, vale a dire i prelievi.

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fini dell’IRPEF e dell’ILOR per gli anni 1990 e 1992, emessi

Il contribuente resiste con controricorso, articolando un
motivo di ricorso incidentale.
MOTIVI DEIIALDECISICNE

I ricorsi principali e quello incidentale, siccome proposti
nei confronti della medesima sentenza, vanno riuniti per essere
definiti con unica pronuncia.
Va anzitutto dichiarata l’inamaissibilità del ricorso
proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, rimasto
gennaio 2001 e svoltosi nei soli confronti dell’Agenzia delle
entrate, divenuta operativa a quella data, ed alla quale deve
attribuirsi la qualità di successore a titolo particolare dello
stesso Ministero (Cass., sez. un., 14 febbraio 2006, n. 3116).
Con l’unico motivo del ricorso principale, denunciando
violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, nonché dell’art. 113 cod. proc. civ.,
l’amministrazione deduce l’erroneità e la contrarietà alla
lettera della prima disposizione in rubrica, assumendo che la
Commissione abbia così “voluto decidere secondo equità”, in
clamorosa violazione della norma di cui all’art. 113 cod. proc.
civ., “la quale impone al giudice di giudicare secondo diritto”.
Con il ricorso incidentale il contribuente, denunciando
violazione dell’art. 32, primo coma, e 39, secondo coma, del
d.P.R. n. 600 del 1973, nonché vizio di motivazione, deduce
l’illegittimità del ricorso dell’ufficio all’accertamento
induttivo “nei confronti di un contribuente qualificato dallo
stesso giudice d’appello come semplice collaboratore familiare
nell’ambito dell’attività commerciale della moglie, e quindi non
come imprenditore, anche in considerazione del fatto che
l’accertamento sarebbe stato basato unicamente sulle risultanze
di conti correnti bancari intestati non solo al contribuente e
alla moglie, titolare di autonoma attività commerciale, bensì ai
figli degli stessi”.
Il ricorso principale è fondato, ove si consideri che
secondo la giurisprudenza di questa Corte “in tema di
accertamento delle imposte sui redditi, in virtù della
presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600 – che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di

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estraneo al giudizio di merito, introdotto successivamente al 1 0

gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod.
civ. per le presunzioni semplici – sia i prelevamenti che i
versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a
ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività
d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella
determinazione della base imponibile oppure Che sono estranei
alla produzione del reddito. Pertanto, il contribuente può
fornire prova contraria, che deve essere valutata dal giudice in
verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo
di attività, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali
operazioni la documentazione fornita dal contribuente si
riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile soltanto
quanto risultante dai singoli movimenti bancari” (Cass. n. 16650
del 2011; n. 9103 del 2001).
Si è in particolare ritenuta “manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli
artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 32, primo coma, n. 2, del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui prevede che i
prelevamenti effettuati nell’ambito dei rapporti bancari siano
posti, come ricavi, a base delle rettifiche ed accertamenti
dell’amministrazione finanziaria, se il contribuente non ne
indichi il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle
scritture contabili, poiché, come osservato dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 225 del 2005, detta norma non
viola né l’art. 53 Cost., risolvendosi, quanto alla destinazione
dei prelievi non risultanti dalle scritture contabili, in una
presunzione di ricavi suscettibile di prova contraria attraverso
l’indicazione del beneficiario dei prelievi, non lesiva del
principio di ragionevolezza, non essendo manifestamente
arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dei conti
correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati
destinati all’esercizio dell’attività d’impresa e siano quindi
considerati, detratti i relativi costi, in termini di reddito
imponibile, né il principio di eguaglianza in danno deì titolari
dei conti bancari, essendo la disponibilità di tali conti
elemento idoneo a legittimare il rilievo meramente probatorio

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rapporto agli elementi risultanti dai conti correnti, per

attribuito al prelievo non giustificato di somme” (Cass. n. 13036
del 2012).
E’ invece infondato il ricorso incidentale, in quanto “la

presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. 29 setteffibre 1973, n.
600 – secondo cui sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui
conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal
contribuente nella propria attività, se questo non dimostra di
averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono
nonostante l’utilizzo (nella versione applicabile

ratione

terporís, e cioè anteriore alla modifica recata dall’art. 1 della
legge 30 dicembre 2004, n. 311) dell’accezione “ricavi” e non
anche di quella “compensi” ed è applicabile, quindi, non solo al
reddito di impresa, ma anche al reddito da lavoro autonomo e
professionale” (Cass. n. 14041 del 2011). Le disposizioni dettate
dall’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, e quindi anche quelle
relative all’accertamento con metodo induttivo, del resto, alla
luce della previsione dell’ultimo coma trovano applicazione
anche per i redditi da lavoro autonomo e professionale (“…anche
per i redditi delle imprese minori e per quelli derivanti
dall’esercizio di arti e professioni…”).
Il contribuente d’altronde, come si evince dalla sentenza
e dal ricorso per cassazione, sostiene di aver svolto fino a
tutto il 1988 “attività imprenditoriale in proprio”, sicché anche
la circostanza del non attuale (in relazione ai periodi d’imposta
di cui all’accertamento) svolgimento della detta attività avrebbe
dovuto essere oggetto della prova contraria, al cui onere, come
risulta dalla sentenza impugnata, egli non ha assolto,
limitandosi a mere asserzioni (“…come ha sostenuto
In conclusione, il ricorso principale dell’Agenzia delle
entrate deve essere accolto, mentre deve essere rigettato il
ricorso incidentale del contribuente, la sentenza impugnata deve
essere cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere
decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo del
contribuente.

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estranei alla produzione del reddito – ha portata generale,

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Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si
liquidano corre in dispositivo, mentre vanno compensate le spese
relative ai gradi di merito.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il
ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze.
Accoglie il ricorso principale dell’Agenzia delle entrate e
rigetta il ricorso incidentale del contribuente, cassa la

nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.
Condanna il contribuente al pagamento delle spese del
presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.000, oltre
alle spese prenotate a debito.
Dichiara compensate fra le parti le spese dei gradi di
merito.
Così deciso in Roma il 26 aprile 2013.

sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo

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