Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25982 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 15/10/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 15/10/2019), n.25982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5839/2013 R.G. proposto da:

CA.SA. 93 s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore

rappresentata e difesa giusta delega in atti dagli avv. Giampiero

Tasco e Giorgio Pozzi e dall’avv. prof. Alessandro Dagnino con

domicilio eletto in Roma via A. Gramsci n. 54 presso lo studio

legale Tasco e Associati;

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 21/02/12 depositata il 24/01/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del

26/06/2019 dal Consigliere Roberto Succio;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Ettore Pedicini che ha chiesto l’accoglimento

del quinto e del sesto motivo di ricorso e rigetto del ricorso nel

resto;

uditi gli avvocati Gianpiero Tasco e Giorgio Pozzi per la società

contribuente che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso e

l’avvocato dello Stato Alfonso Penso che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società contribuente riceveva la notifica di un avviso di accertamento per IVA 2002 con il quale l’Ufficio sulla scorta del PVC redatto dalla GdF di (OMISSIS) contestava l’applicazione dell’aliquota Iva agevolata del 4% ad acconti incassati dalla società contribuente – a fronte della cessione di immobili – senza la sussistenza di dichiarazioni formali da parte degli acquirenti in merito al possesso da parte degli stessi dei requisiti previsti dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1 ter, part. I nota 1bis della Tabella allegata, per usufruire delle agevolazioni c.d. “prima casa” di cui alla L. n. 168 del 1982.

La società impugnava l’atto di accertamento di fronte alla CTP di Roma; il gravame era accolto dal primo giudice.

La sentenza del primo giudice era appellata dall’Amministrazione Finanziaria di fronte alla CTR del Lazio; l’impugnazione era accolta e la sentenza riformata.

Ricorre a questa Corte CA. SA. 93 s.p.a. con atto affidato a sei motivi; l’Amministrazione Finanziaria ha depositato atto di costituzione al fine di partecipare all’udienza pubblica. La società ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c., illustrativa dei propri motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente dichiarato inammissibile il ricorso come proposto nei confronti del Ministero delle Finanze.

In tema di contenzioso tributario, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale la legittimazione ad causam e ad processum nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetta esclusivamente all’Agenzia (Cass. sent. n. 22889/2006, n. 22992/2010, n. 8177/2011).

Venendo all’esame dei motivi, osserva la Corte come il primo mezzo censuri la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità dei motivi di appello dell’Ufficio, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53.

Il motivo è infondato; si evince dalla sentenza impugnata come la CTR abbia in concreto preso in esame tali motivi, con ciò risultandone comprovata la specificità che ha consentito al secondo giudice la loro disamina.

Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, comma 2, della nota II-bis, parte prima, della tariffa allegata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la CTR ritenuto essenziale, per il riconoscimento dell’aliquota Iva agevolata del 4%, la modalità scritta della dichiarazione dell’acquirente in ordine alla sussistenza dei requisiti previsti per la spettanza del beneficio all’atto della stipula del contratto preliminare a nulla rilevando la sola sussistenza del requisiti sostanziali in difetto di tal adempimento formale.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha ritenuto, in argomento, che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5943 del 08/03/2017) in tema di IVA, laddove l’acquirente non abbia dichiarato, già nel contratto preliminare di volersi avvalere dell’agevolazione per l’acquisto della casa di abitazione non di lusso, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, tabella A, parte II, n. 21, come possibile, ferma restando la necessità di ripetere la dichiarazione nel definitivo, le fatture già emesse per eventuali acconti possono essere rettificate per consentire l’applicazione dell’aliquota ridotta sull’intero corrispettivo.

Coerentemente con tal principio ha ritenuto ancora questa Corte (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3132 del 08/02/2018) che in caso di stipulazione di un contratto preliminare nel quale le parti abbiano concordato il corrispettivo in una misura tale da comprendere anche l’ammontare dell’imposta al cui pagamento è tenuto il cedente, ai fini delle agevolazioni previste per la “prima casa”, dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, nota II-bis, parte prima, della tariffa allegata, le dichiarazioni di sussistenza delle condizioni ivi previste ove non siano state rese nel contratto preliminare e il contratto definitivo non sia stato stipulato con la conseguente proposizione della domanda di esecuzione in forma specifica, possono essere rese anche nel corso del giudizio, fino alla sentenza pronunciata a norma dell’art. 2932 c.c..

Ciò in forza della considerazione secondo la quale (Cass. n. 2261/2014) un’agevolazione non richiesta al momento dell’imposizione non è perduta, essendo possibile, sia pur con gli ovvi limiti temporali, rimediare all’erronea imposizione (così Cass. n. 10354 del 2007 e 14117 del 2010 cit.) con il meccanismo della c.d. note di variazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26.

Le prescritte manifestazioni di volontà vanno dunque in via generale rese, attenendo ai presupposti dell’agevolazione, anche, quando il contribuente intenda far valere il proprio diritto all’applicazione dei relativi benefici rendendosi acquirente in sede di domanda ex art. 2932 c.c.; in tal caso le anzidette dichiarazioni dovranno essere rese prima della registrazione della sentenza sostitutiva del contratto non concluso, che costituisce l’atto al quale va riconosciuta efficacia traslativa della proprietà del bene.

Premessa quindi la centralità nel sistema del momento in cui la proprietà del bene passa dal venditore all’acquirente, vale a dire del momento traslativo che complessivamente caratterizza l’intera vicenda a fini IVA, va ricostruito complessivamente il sistema normativo applicabile.

E’ ben vero che da esso discende come l’intento del legislatore sia quello di consentire – ove ne sussistano ovviamente i requisiti in tal momento – di sottoporre l’intera operazione, anche nelle sue eventuali fasi antecedenti la manifestazione del consenso con gli effetti reali conseguenti e quindi anche nelle fasi in cui si realizzano meri effetti obbligatori a un solo e unico regime a fini IVA. Esso potrà quindi essere applicabile a tutti gli atti che compongano l’operazione inclusi i versamenti degli acconti che come è noto sono ordinariamente, secondo un modus operandi non disciplinato dalla legge ma socialmente tipizzato, corrisposti antecedentemente la stipula del contratto definitivo di compravendita.

Opportunamente, quindi, la giurisprudenza di questa Corte citata in esordio di motivazione ammette che le fatture dapprima emesse per eventuali acconti possano essere poi rettificate per consentire l’applicazione dell’aliquota ridotta sull’intero corrispettivo versato, per il tramite della procedura già richiamata di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26.

E proprio onde consentire l’assoggettamento all’aliquota agevolata, sussistendone i presupposti come in questo caso, era onere della società in all’atto della stipula dei contratti definitivi provvedere D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 26, all’emissione delle note di variazione necessarie e alla conseguente rettifica della dichiarazione che ne derivava. Questa la via indicata e prevista dal sistema, che consente di prender atto del modificarsi – per così dire strada facendo – del presupposto dell’imposta, che viene a variare nel suo profilo quantitativo, in forza della diversa aliquota; tal variazione andava e va quindi registrata ex art. 26 ricitato, nel rispetto dei termini pure ex lege previsti, adeguando la situazione di diritto sussistente all’epoca dei contratti preliminari (naturalmente previa esistenza dei requisiti in capo agli acquirenti per fruire del regime agevolta) con quella sussistente all’epoca dei contratti definitivi (anche in questo caso pure verificando l’esistenza dei medesimi requisiti ancora in capo agli stessi acquirenti).

Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1 comma 2 della nota II-bis, della Tariffa allegata – parte prima, al in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto altro profilo, e conseguente omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalla contribuente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; error in procedendo per mancata applicazione del c.d. “principio di non contestazione” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR ritenuto che la mancata resa delle dichiarazioni di cui si è detto da parte degli acquirenti sia prevista a pena di decadenza dall’agevolazione.

Il mezzo risulta infondato, nella sua prima articolazione, alla luce della decisione del mezzo che precede; invero non si verifica alcuna decadenza ove il contribuente, come si è detto poc’anzi, provveda alla redazione e registrazione delle note di variazione per mezzo delle quali l’intera operazione viene ad essere, sia pure in occasione del contratto definitivo, ad essere assoggettata ad Iva nella misura corretta.

Quanto al profilo di cui alla seconda articolazione, il motivo è pure infondato; a pag. 1 della sentenza impugnata di legge come “Comunque l’Ufficio contro-deduceva in merito alle singole eccezioni sollevate dalla società”; e ancora a pag. 2 la CTR dà atto di come anche a fronte delle eccezioni preliminare del contribuente appellato “l’Amministrazione Finanziaria ha puntualmente contro-dedotto”; ne discende che – anche non trascrivendo parte ricorrente gli atti dell’Ufficio dai quali deriverebbe la percezione per la Corte dell’omessa valutazione denunciata – non è dato rilevare alcun comportamento dell’Erario diretto a non contestare affermazioni del contribuente, nel senso che si intende in ricorso; tuttavia, comunque di una questione di diritto sulla quale era fondato l’avviso, per cui non è un gioco di principio di non contribuire (Cass. 2196/15).

Il quarto motivo di ricorso censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1 della 1, comma 2, della nota II-bis, Tariffa allegata – parte prima, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto ulteriore profilo, per avere la CTR ritenuto che la spettanza del beneficio dell’aliquota agevolata debba sussistere al momento in cui si realizza l’effetto traslativo, e non ha alcun effetto prescrittivo circa le modalità in cui le dichiarazioni possono essere rese nelle due situazioni.

Il motivo risulta privo di fondamento; invero, è indubbio che i requisiti sostanziali debbano esser presenti, in capo agli acquirenti, sia all’atto del versamento degli acconti, sia all’atto del versamento del saldo del prezzo; è però altrettanto indubbio che ciò che conta è che l’eventuale rettifica dell’aliquota (della quale qui si discute) avvenga al più tardi in occasione della stipula del contratto definitivo di compravendita, con il quale si realizza l’effetto traslativo dell’operazione di cessione del bene compravenduto. Infatti, ove le condizioni in capo agli acquirenti non sussistano all’atto della stipula del preliminare, andrà applicata l’aliquota ordinaria non risultando possibile in radice alcuna rettifica in sede di stipula del contratto definitivo; ove tali requisiti non sussistano all’atto del contratto definitivo ma sussistano all’atto del contratto preliminare, solo gli acconti in quella sede versati potranno usufruire dell’aliquota agevolata e pertanto quelle fatture potranno essere rettificate D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 26.

In altri termini, è sempre consentita, come per ogni operazione Iva nella quale, successivamente al suo perfezionamento, venga meno in tutto o in parte il presupposto impositivo, anche solo quantitativamente, la rettifica dell’operazione e la sua correlativa variazione in dichiarazione: ciò deve però avvenire con il meccanismo previsto ad hoc dal legislatore che consente al contribuente vigilante di non subire alcun pregiudizio anche quanto all’applicazione di aliquota agevolata.

Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 5-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto dovute le sanzioni anche a fronte di assenza di danno per l’Erario.

Il motivo è infondato.

Si evince dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, a pag. 43, terz’ultimo periodo, come al momento della verifica l’intero imponibile abbia scontato l’imposta nella misura del 4%; in concreto, infatti, le note di variazione non sono state emesse avendo la contribuente impugnato l’atto con il quale l’Erario contestava l’omessa applicazione dell’aliquota del 10%. E’ quindi indubbio che vi sia stato pregiudizio per l’Erario, consistente nella minor iva derivante dall’applicazione ai pagamenti operati a titolo di acconto dell’aliquota del 4% in luogo di quella ordinariamente in quel caso prevista del 10%, e non oggetto di rettifica all’esito del perfezionamento dei contratti definitivi di compravendita.

Complessivamente, quindi, il ricorso va respinto; le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i requisiti per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 9.000,00 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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